Se il decennale tedesco diventa il termometro della ripresa

Quando il Bund decennale tedesco rendeva lo 0,07% ( il 20 aprile scorso), sembrava dare per scontata la stagnazione economica «secolare» e la deflazione perenne. Insomma: quello 0,07% …

Quando il Bund decennale tedesco rendeva lo 0,07% ( il 20 aprile scorso), sembrava dare per scontata la stagnazione economica «secolare» e la deflazione perenne. Insomma: quello 0,07% preconizzava un futuro nero per l’Europa. Ora che il suo rendimento è tornato per qualche minuto all’ 1%, cioè su livelli più normali, il Bund sembra prevedere invece uno scenario di ripresa economica e di inflazione.

Ma dato che né il primo scenario (quello cupo) né il secondo (quello ottimista) hanno solide fondamenta di certezza, i rendimenti dei Bund e di tutti i titoli di Stato saranno condannati a rimbalzare su e giù come palline di flipper per lungo tempo. Draghi la chiama «volatilità». In realtà è qualcosa di più profondo: è una grande incertezza sull’evoluzione economica globale. Soprattutto in Europa e Usa.

Questo è il vero male del nostro tempo: l’incertezza. Quel malessere che nell’economia reale condanna intere generazioni di giovani a una vita precaria (in tutti i sensi) e nella finanza intere generazioni di investitori a non sapere cosa fare dell’enorme liquidità di cui dispongono. La verità è che dopo 8 anni dall’inizio della crisi, dopo un’immane sforzo pubblico fatto dai Governi e dalle banche centrali, la montagna ha partorito il proverbiale topolino: una crescita economica zoppa, altalenante e a macchia di leopardo. Per di più esposta, in tutto il globo, a rischi di shock.

Se si pensa che le banche centrali – secondo un calcolo di inizio anno di Merrill Lynch – hanno stampato 10.700 miliardi di dollari. Se si considera che solo i Governi di Europa e Stati Uniti hanno impiegato quasi 3mila miliardi (al netto dei rimborsi) solo per salvare le banche. Se si tiene conto del fatto che i debiti pubblici e privati globali sono cresciuti dal 175% del Pil nel 2007 al 215% nel 2013. Se si considera tutto questo, e il fatto che gli stimoli stanno continuando, la crescita dell’1,7% nei Paesi del G10 nel 2014 non è poi un grande risultato. Anche perché l’Europa tenta solo una ripresina, gli Stati Uniti si muovono a singhiozzo e la Cina rallenta.

«Stiamo vivendo la più deludente ripresa economica della storia moderna», scriveva proprio ieri Morgan Stanley. Che aggiunge: «C’è un incredibile mancanza di uniformità di vedute sul futuro». Per questo i mercati finanziari sono sempre più spaesati: perché dall’andamento di economia e inflazione dipendono le scelte delle banche centrali.

Se ha ragione chi pensa che il mondo si avvii verso una «stagnazione secolare», allora ha perfettamente senso comprare titoli di Stato a rendimenti bassissimi. Perché in questo scenario l’inflazione non tornerà e perché le banche centrali non alzeranno i tassi d’interesse. Se ha invece ragione chi pensa che piano piano la crescita economica stia tornando, allora non ha senso investire in titoli di Stato con rendimenti bassi ma su altri mercati più esposti al ciclo economico. Se invece il futuro starà nel mezzo, e vedrà cioè una ripresina incerta con banche centrali solo leggermente più restrittive di ora, allora sarà più difficile prevedere l’evoluzione dei mercati.

Nel frattempo questa incertezza, unita all’abbondanza di liquidità, sta creando un effetto collaterale sempre più preoccupante: possibili bolle speculative. In questi giorni Bill Gross, uno dei più influenti investitori al mondo, ha annunciato che inizierà a speculare sul ribasso della Borsa cinese. In effetti a Shanghai c’è una delle possibili bolle globali: un listino che è salito in 12 mesi del 140%, in cui il rapporto medio tra prezzi azionari e utili aziendali (escludendo il settore bancario) è  a 75, in cui un’azienda che produce cibi per animali vale sul listino 221 volte più degli utili e una che produce ventole capitalizza 732 volte i profitti, qualche problema di profitti, qualche problema di “esuberanza” lo pone.

Stesso discorso per quanto riguarda alcuni mercati immobiliari: a Londra, nei Paesi scandinavi o ancora in Cina tanti sostengono che ci siano eccessi preoccupanti. Qualche tempo fa il «Financial Times» ha raccontato che, in una conferenza a Cannes, molti operatori del settore hanno lanciato un allarme per la bolla immobiliare in Europa. Per non parlare dei mercati obbligazionari, che hanno mostrato – fino a pochissimo tempo fa – rendimenti troppo bassi. Sempre più addetti ai lavori vedono un’esuberanza preoccupante anche a nella Borsa di Wall Street. Che queste siano bolle speculative vere e proprie oppure eccessi gestibili, che siano la «nuova normalità» oppure embrioni di nuove crisi è difficile a dirsi. Come è difficile capire quando e se queste bolle scoppieranno. Dipenderà, in fondo, da dove il mondo deciderà di andare: se verso la «stagnazione secolare» o verso la ripresa economica. La risposta, secondo il presidente della Fed di Dallas Richard Fisher, «potremmo averla tra molti anni». Nel frattempo, i mercati si preparino alla volatilità.

di Morya Longo

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Sole 24 Ore.

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