Natixis: “Il crollo del petrolio non fa presagire una recessione globale”. Analisi

Reazione istintiva o reazione alla sovra produzione? Con la discesa dei prezzi del greggio al di sotto dei  30 dollari al barile durante il mese di gennaio, provocata …

Reazione istintiva o reazione alla sovra produzione? Con la discesa dei prezzi del greggio al di sotto dei  30 dollari al barile durante il mese di gennaio, provocata dai timori legati ad un eccesso di offerta e ad un   calo della domanda in Cina a fronte del rallentamento dell’economia, i mercati finanziari di tutto il mondo   hanno iniziato ad assumere posizioni ribassiste.

Quattro esperti degli investimenti di Natixis Global Asset Management illustrano le proprie opinioni in   merito a cosa possono comportare i bassi prezzi del petrolio per gli investitori azionari e obbligazionari,   per il lato della domanda e dell’offerta, nonché le opportunità emerse a seguito del recente sell-off di   mercato.

“Come dimostra l’andamento recente dei mercati a livello internazionale, il prezzo del petrolio   rappresenta un elemento di incertezza e volatilità” – afferma Antonio Bottillo, Country Head ed   Executive Managing Director per l’Italia di Natixis Global Asset Management. “Tuttavia, come i nostri   specialisti degli investimenti sottolineano, può creare ben selezionate opportunità. La chiave, come   sempre, è l’attenta valutazione e selezione, unita a un’analisi che sappia guardare oltre il breve periodo in   un’ottica di più lungo termine. In un momento come quello attuale, caratterizzato da alti e bassi sui listini   mondiali, per l’investitore appare ancora più utile avere accesso alle competenze di gestori specializzati   ed essere affiancato da consulenti che lo aiutino a navigare in acque complesse”.

David Herro, CFA®, CIO International Equities  Harris Associates  

A parte il rallentamento della crescita cinese, l’altro argomento che spaventa maggiormente i mercati   azionari globali è il prezzo del petrolio. Ma il fatto che il prezzo del petrolio sia letteralmente crollato è   davvero, tutto ad un tratto, un fatto così negativo per i mercati? Il motivo per cui non ascoltiamo più gli   esperti di macroeconomia che spopolano nei notiziari è che furono proprio loro a dirci, appena qualche   anno fa, che il petrolio avrebbe toccato i 200 dollari al barile e che la domanda avrebbe superato l’offerta.   Ebbene, oggi il petrolio è sui 30 dollari al barile. Mi viene forse da dire che il pendolo stia oscillando verso   l’estremo opposto.

I prezzi bassi fanno aumentare la domanda di petrolio

Contrariamente a quanto potrebbe suggerire il prezzo, non credo che la domanda di petrolio sia   precipitata. In realtà, stiamo assistendo ad una ripresa della domanda. Ad esempio, secondo i dati del   Dipartimento dei Trasporti statunitense, la media dei chilometri percorsi negli Stati Uniti è salita del 4%. I   chilometri percorsi erano invece in calo quando il prezzo del petrolio e della benzina era più elevato.

Inoltre, mentre le Toyota Prius restano parcheggiate presso i concessionari ad accumulare polvere, le   vendite di SUV stanno aumentando rapidamente. Ci stiamo quindi adattando a questi nuovi prezzi e i   consumatori stanno aumentando, a ragione o torto, i chilometri percorsi e stanno acquistando vetture più   grandi.   Inoltre, se le economie globali cresceranno nei prossimi cinque anni al tasso previsto dalla Banca   Mondiale, continueremo ad utilizzare più petrolio.

Esaurimento dell’offerta offshore

Le risorse e le riserve di petrolio più costose sono quelle offshore e costituiscono il 20% dell’offerta   complessiva. La perforazione offshore si esaurisce di circa l’8%-12% all’anno se le aziende non vi   destinano maggiori investimenti. Pertanto, con il petrolio prezzato ben al di sotto degli 80 dollari al barile,   diventa praticamente proibitivo perforare in mare. Prevedo quindi che l’offerta offshore rallenterà e   scenderà in territorio negativo ancor più rapidamente. Ciò contribuirà a far calare l’offerta di petrolio.

La volatilità crea opportunità per l’investitore value

A gennaio i prezzi dei titoli azionari sui mercati globali si sono ridotti sensibilmente. Tuttavia non   pensiamo che ciò abbia compromesso il valore reale di lungo termine delle aziende di alta qualità. Ciò   crea un contesto interessante per l’acquisto di titoli, sfruttando la volatilità di mercato causata da vari   fattori non legati ai fondamentali.   Inoltre, occorre considerare che i bassi prezzi energetici possono rappresentare una manna per i   consumatori, i quali si trovano ora a pagare meno per benzina e riscaldamento. I portafogli dei   consumatori sono più pieni di soldi da spendere, contribuendo così ad alimentare l’economia.

Matthew Eagan, CFA®, Global Fixed Income Manager  Loomis, Sayles & Company  

Riteniamo che il mercato obbligazionario non sia efficiente nel prezzare rischi specifici come la rapida   discesa del prezzo del petrolio e i suoi effetti sul credito del settore energetico. E quando i titoli sono   scambiati ad un prezzo inferiore al loro valore intrinseco o al valore reale che noi attribuiamo alla relativa   azienda, ci troviamo in un momento propizio per acquistare titoli selezionati e tenerli per un certo periodo   di tempo. Detto questo, ritengo che il periodo attuale sia molto positivo per che investe sul credito.

Valore nelle obbligazioni high yield

Il settore high-yield statunitense ha appena chiuso uno degli anni più difficili, registrando la terza maggior   perdita di sempre in un anno solare dopo il 2008 e il 2000. È interessante sottolineare che ciò è avvenuto   in assenza di una recessione negli Stati Uniti. Inoltre, abbiamo visto che quando gli investitori   abbandonano il settore delle obbligazioni ad alto rendimento, non si limitano a vendere obbligazioni   connesse al settore energetico. Vendono anche i titoli non legati alle commodity. Dall’inizio del 2016,   siamo in presenza di uno sconto di circa 86 centesimi sul dollaro, un buon livello per entrare nel mercato   high-yield.

Forti sconti nel settore energetico

Il mercato delle obbligazioni high yield è oggi nettamente diviso tra il settore delle commodity ed i settori   diversi dalle commodity. Per esempio, se togliamo l’indice energetico dal mercato high yield statunitense   complessivo, il prezzo medio è appena sotto i 58 centesimi sul dollaro (al 4 febbraio). Ciò dimostra che le   obbligazioni high-yield del comparto energetico sono scambiate a livelli molto inferiori rispetto al mercato   high-yield nella sua globalità. Gli attuali prezzi suggeriscono inoltre che circa un terzo o più degli emittenti   nel settore energetico andrà in default. Noi non prevediamo default così numerosi, né crediamo che i   prezzi energetici resteranno così bassi a lungo. Pertanto, pensiamo sia possibile individuare diverse   opportunità di valore in questo contesto: aziende che hanno costi di break-even per il petrolio  relativamente bassi, nell’arco di un intero ciclo di business, e sono sufficientemente flessibili per resistere   almeno due anni a bassi prezzi delle risorse energetiche.

La domanda di petrolio continua ad aumentare

Nonostante il rallentamento della propria crescita, anche la Cina continua a consumare molto petrolio.   Sulle strade circolano più vetture che mai e il mercato cinese di SUV è il più grande al mondo.   Cominciamo a vedere una crescita annualizzata di circa il 4% delle importazioni di petrolio dalla Cina. Vi   sono anche altre aree geografiche che stanno crescendo, inclusi gli Stati Uniti. Quindi non riteniamo che   il crollo del petrolio sia dettato dalla domanda, ma piuttosto dall’offerta, e chiaramente ci troviamo di   fronte ad un eccesso di offerta. Detto questo, non ci aspettiamo né vi è la necessità che gli aggiustamenti   in termini di produzione vengano implementati dall’OPEC. Il Nord America sta già provvedendo in tal   senso.

In generale, penso che i prezzi del petrolio probabilmente aumenteranno entro la fine dell’anno. L’offerta   di petrolio dovrebbe continuare a restringersi nel 2017, e penso che i mercati finanziari e valutari   inizieranno a tenerne conto nel prossimo futuro nel relativo prezzo – specialmente per le valute legate alle   commodity.

Chris Wallis, CFA®, CEO, CIO  Vaughan Nelson Investment Management 

Osservando i prezzi del petrolio e altri dati macroeconomici che hanno determinato il sell-off di mercato   avvenuto durante il mese di gennaio, non vedo alcun elemento che debba spaventare gli investitori sul  lungo termine. Piuttosto, considero tale scenario come un’opportunità per acquistare titoli in modo   selettivo e a prezzi molto interessanti. Attualmente gli storni di mercato creano valore.

Oggi, il barile di petrolio è uno degli asset più economici al mondo. Riteniamo che l’intero settore E&P   (esplorazione e produzione nell’ambito del settore Oil & Gas) fallirebbe se un barile di petrolio dovesse   rimanere a 30 dollari, pertanto qualcosa dovrà cambiare. Pensiamo che i prezzi del petrolio   aumenteranno nel corso del 2016. Le riserve di magazzino sono in eccesso in numerosi settori, dal   settore petrolifero a quello industriale, a quello delle vendite al dettaglio e così via. Una volta assimilata   tale offerta, riteniamo che i prezzi ricominceranno a risalire.

Prospettive per il settore energetico

Sebbene il mondo sia di fronte ad un eccesso di produzione di petrolio, l’offerta ha cominciato a ridursi  significativamente. Negli Stati Uniti, l’attività di estrazione è proliferata anche troppo. Ritengo tuttavia che   l’eccedenza sia di solo un milione e mezzo di barili al giorno. Siamo quindi molto lontani dai livelli degli   anni Ottanta, quando l’eccesso di produzione dell’OPEC e dell’Arabia Saudita era molto maggiore. A quel   tempo, era possibile produrre in sovrabbondanza e mantenere l’eccesso di offerta per anni, causando   l’uscita dal mercato dei propri concorrenti. Oggi l’eccesso d’offerta non è della stessa entità.

Pertanto, oggi non è necessario un grande aumento della domanda per poter assorbire l’offerta. Il mondo   non può produrre la quantità di petrolio di cui necessita a 35 dollari al barile. I dati ci dicono che la   domanda di petrolio è significativa e credo che nell’arco di un anno o un anno e mezzo assisteremo ad   una riduzione dell’offerta di petrolio, a meno che, ovviamente, non si riduca significativamente la   domanda.

Quando i prezzi del petrolio scendono, la domanda tende a salire. Quindi vi sono le premesse per un   rapido aumento della domanda. Penso che potremmo produrre tutta l’energia di cui abbiamo bisogno nel   mondo a circa 90 dollari al barile, livello al quale non vi sarà probabilmente bisogno di perforazioni in  mare. Per questo motivo, probabilmente le aziende specializzate in perforazione offshore, ed i relativi   fornitori, usciranno dal mercato, il che contribuirà a ridurre l’offerta di petrolio.

Opportunità nella selezione di azioni small cap

Riteniamo vi siano opportunità interessanti legate alle aziende a bassa capitalizzazione in alcuni comparti   del settore energetico. Ad esempio, le aziende che forniscono assistenza alle raffinerie hanno prospettive   positive. E dal momento che il mercato non discrimina, a seguito del sell-off questi titoli sono attualmente   ben prezzati. Come si dice a Houston, “Vai corto sul west side e lungo sull’east side”. Le raffinerie sono   sull’east side.   In generale, presso Vaughan Nelson consideriamo un orizzonte temporale di tre anni, non di tre mesi, e   quindi gli effetti a breve termine dei prezzi del petrolio non rappresentano per noi una causa di   preoccupazione.

David Lafferty, CFA®, Chief Market Strategist  Natixis Global Asset Management 

Sulla base dell’insieme dei dati economici e dei fondamentali di mercato, non credo che il livello del   prezzo del petrolio faccia presagire una recessione globale. Il crollo dei prezzi del petrolio da oltre 100   dollari al barile a metà 2014 all’attuale valore è dovuto a una complessa serie di fattori, tra cui:

• l’indebolimento della domanda

• l’aumento dell’offerta

• il rafforzamento del dollaro statunitense

Seppure la domanda globale non sia stata sicuramente robusta, continua in ogni caso a crescere. In   termini marginali, riteniamo che gran parte del calo del prezzo del petrolio derivi dall’eccesso di offerta  anziché dall’indebolimento della domanda debole. La tecnologia di fratturazione idraulica statunitense  (fracking), unitamente alla riluttanza dell’OPEC a frenare la produzione, ha creato un eccesso di offerta   che sta spingendo i prezzi verso il basso. Poiché pensiamo che il calo dei prezzi del petrolio sia dettato   essenzialmente dall’offerta anziché dalla domanda, è improbabile che tale situazione preannunci una   recessione globale.

Inoltre, è probabile che i consumi aumenteranno lievemente poiché quest’anno i lavoratori hanno più   denaro da spendere rispetto all’anno scorso a causa del calo dei prezzi del petrolio.

Il petrolio non resterà per sempre a questi livelli

Riteniamo che il prezzo del petrolio, ai bassi livelli di oggi, non sia sostenibile. Sebbene il costo marginale   di produzione vari nel mondo e a seconda dell’asset, siamo dell’avviso che un prezzo al di sotto dei 40   dollari al barile porterà eventualmente a una riduzione della produzione.

Attualmente alcuni produttori si sono “coperti” avendo venduto a termine la propria produzione a prezzi   più elevati. Riteniamo che alcuni paesi produttori di petrolio continueranno ad aumentare la produzione in   una situazione di prezzi in calo allo scopo di sostenere i propri bilanci fiscali e la spesa sociale. Inoltre, le   attuali scorte di petrolio sono a livelli storicamente elevati.

Tali condizioni, però, non sono destinate a permanere. Prevedo che il flusso di petrolio calerà nel tempo,   eventualmente riducendo l’offerta e quindi allineandola alla minor domanda. Pertanto, pensiamo che il   prezzo dovrebbe risalire verso i 45 – 65 dollari al barile in questa nuova fase di equilibrio.  Ma ci potrebbero volere altri 6-18 mesi prima che ciò avvenga.  Il trading di commodity comporta un notevole rischio di perdita.

Le performance del passato non sono garanzia né sono necessariamente indicative di risultati futuri. 

[DEFINIZIONI E DISCLOSURE]  Commodity indica una materia prima o un prodotto agricolo di base che può essere acquistato e venduto, come il rame o il caffè.   Le commodity currency fanno generalmente riferimento al dollaro australiano, al dollaro canadese, al dollaro neozelandese, alla   corona norvegese, al rand sudafricano, al real brasiliano, al rublo russo e al peso cileno.  L’OPEC è l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, un’organizzazione intergovernativa di 13 nazioni che rappresentano   circa il 40% della produzione mondiale di petrolio.   Tutti gli investimenti comportano un rischio, compreso il rischio di perdita.  Il presente materiale è fornito solo a scopo informativo e non deve essere interpretato come una consulenza in materia di   investimenti o come una raccomandazione ad acquistare o vendere, o come un’offerta di, qualsiasi titolo menzionato nello stesso.   L’autore (o gli autori) potrebbero avere interessi finanziari in uno o più dei titoli qui trattati.  Le opinioni espresse sono quelle dei relativi autori. Non riflettono necessariamente le opinioni di Natixis Global Asset Management   (“NGAM”) o di qualsiasi sua società affiliata. Le opinioni espresse possono cambiare sulla base di condizioni di mercato e altre   condizioni e sono soggette a modifica in qualsiasi momento, e non vi è alcuna garanzia che gli sviluppi previsti si verificheranno   come qui indicato. Le opinioni e le informazioni cui si fa riferimento sono datate come indicato e, successivamente alla data indicata,   non possono essere viste come opinioni ed informazioni attuali.

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1 commento

  1.   

    ..ci racconta il Sig,. Bottillo ..” In un momento come quello attuale, caratterizzato da alti e bassi sui listini   mondiali, per l’investitore appare ancora più utile avere accesso alle competenze di gestori specializzati   ed essere affiancato da consulenti che lo aiutino a navigare in acque complesse”.  Capirai..adesso che ci hanno fregato pure i mari, vogliono anche insegnarci a navigare… Non leggono neppure le statistiche che rilevano diminuzioni di consumo di petrolio , in Europa, sempre crescente, a due cifre.. Ci mancano pure gli economisti Francesi..