Gli elettori mostrano insoddisfazione per l’operato dell’esecutivo dopo due anni. Non vedono segni di ripresa, bocciano il Jobs Act e preferiscono le Unioni civili senza stepchild. I risultati del sondaggio Ixè.
Il governo italiano? Sfiora la sufficienza. E i segni della ripresa non si vedono. È questa la fotografia scattata Ixè, società specializzata nei sondaggi, nelle rilevazioni compiute per la trasmissione di Rai3 “Agorà”.
Governo appena sufficiente
Entrando nello specifico, è un giudizio che sfiora la sufficienza quello espresso dagli italiani dopo 2 anni di governo Renzi. La media dei voti espressi (da 0 a 10) sull’azione dell’esecutivo è stata infatti di 5,8.
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Il premier sale
Di contro, sale di 1 punto la fiducia nel premier (32%), secondo Ixè. Anche se al comando tra i leader politici c’è sempre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al 60%. Più in alto di tutti come al solito Papa Francesco, con l’88% di fiducia. La tabella completa è:
Sergio Mattarella |
60,00% |
Matteo Renzi |
32,00% |
Luigi Di Maio |
28,00% |
Matteo Salvini |
24,00% |
Giorgia Meloni |
23,00% |
Beppe Grillo |
21,00% |
Silvio Berlusconi |
18,00% |
Angelino Alfano |
14,00% |
Enrico Zanetti |
14,00% |
Data di esecuzione: 17/2/2016 Metodologia di rilevazione: sondaggio Cati-Cami su un campione casuale probabilistico stratificato di 1.000 soggetti maggiorenni (su 9.926 contatti complessivi), di età superiore ai 18 anni. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’Istat. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età e macro area di residenza. Margine d’errore massimo: 3,1%. |
Ma quale ripresa?
La rilevazione settimanale di Ixè per Agorà sul tasso di fiducia degli italiani nella ripresa economica, indica che nell’ultima settimana, la quota di chi vede segni di ripresa è scesa dal 29% al 28%, mentre chi (ancora) non la vede è passata dal 68% al 70%.
Partiti politici
Piccole oscillazione per Pd e M5S e balzo in avanti della Lega Nord nelle intenzioni di voto. In una settimana, infatti, il partito del premier Renzi è passato dal 33,9% al 33,7%, mentre il Movimento 5 Stelle sale dal 24,4% al 24,5%. Il Carroccio passa dal 13,8% al 14,5%, infine Forza Italia scende dello 0,3% (11,5%). Se si votasse oggi, l’affluenza sarebbe al 61,9%.
Sì alle Unioni civili, no alla stepchild adoption
Il 54% degli italiani, se fosse in Parlamento, voterebbe sì all’ultima versione del ddl Cirinnà sulle unioni civili, quella che non prevede la stepchild adoption. È quanto emerge sempre dal sondaggio, secondo il quale il 37% darebbe comunque voto contrario. Lo stesso campione considera lo stralcio della stepchild adoption una vittoria del M5S per il 19%, di Renzi per il 15%, di Ncd per il 10%. Il 68%, infine, è contrario all’adozione del figlio da parte delle coppie omosessuali.
Il Jobs Act non piace
Commentando gli ultimi dati dell’Inps sull’occupazione (+800mila posti stabili nel 2015), Matteo Renzi ha detto che il Jobs act funziona. Ma, a leggere i risultati di Ixè non la pensa così il 55% degli italiani, secondo cui la riforma del lavoro approvata dal governo avrà effetti positivi solo di breve durata. Il 39%, invece, si schiera con il premier.
Immigrazione, bocciati i “muri” austriaci
Infine, l’ipotesi dell’Austria di alzare “muri” al confine con l’Italia (ovvero rafforzare i controlli ai valichi tra i due Paesi) non piace al 71% degli intervistati da Ixè. Il 26%, al contrario, approva l’idea.
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Unioni civili, sì al Senato ma Verdini determinante. Protesta Lgbt
Il 25 febbraio del 2016 il Senato italiano ha dato il suo primo via libera alle unioni civili. La data non è elemento marginale perché il sì arriva diversi anni dopo quello di quasi tutti i Paesi Ue, a un decennio dalla partita persa dei Dico e diversi mesi dopo le previsioni dello stesso premier Matteo Renzi. Segno di una partita difficilissima per il Pd, disseminata da dissensi trasversali, segnata dalla trincea di Ap, “colpita” dallo stop del M5S al canguro e sfociata in un emendamento del governo, con tanto di fiducia, frutto di un delicato patto con centristi.
Al testo arrivano i 173 sì del Senato (71 i contrari) in una votazione non priva di una coda velenosa: quella, per la prima volta, dei 18 sì verdiniani, ininfluenti per l’approvazione in prima lettura del ddl ma determinati nella blindatura, sopra quota 161, della maggioranza. È una giornata che “resterà nella storia, ha vinto l’amore” esulta Matteo Renzi, sottolineando che “se, come minaccia qualcuno, andrò a casa perché ‘colpevole’ di aver ampliato i diritti, lo farò a testa alta”. Per il ministro Maria Elena Boschi il ddl “è un contributo alla felicità delle persone” mentre il Guardasigilli Andrea Orlando parla di “legge unirà il Paese più di quanto abbia diviso il Parlamento”. In mattinata sono di Angelino Alfano a scatenare l’ultima polemica sul ddl Cirinnà. “Abbiamo impedito una rivoluzione contro-natura”, sottolinea il ministro dell’Interno scatenando la reazione e della sinistra e dell’intero Pd, con Lorenzo Guerini che lo invita ad evitare “uscite infelici”.
Ma la polemica è lo specchio dell’odissea che al Senato ha segnato l’iter del ddl, privato alla fine, oltre che dell’obbligo di fedeltà di quella stepchild adoption che divideva Pd e maggioranza. Mentre decisiva per tenere compatto il Pd è stata la scelta di salvare, nell’ultima riformulazione, la libertà dei giudici che decideranno sui futuri ricorsi di coppie gay in merito all’adozione speciale. È un via libera che, dopo le mille piazze arcobaleno e il Family Day, scontenta le posizioni più “estreme”, con le associazioni Lgbt che annunciano nuove proteste di piazza per un accordo giudicato al ribasso e Massimo Gandolfini, presidente del “Comitato Difendiamo i nostri figli”, che tuona: “Renzi avrà una risposta al referendum costituzionale”.
E dentro al Parlamento le divisioni non sono state da meno, vedendo nell’ordine, la trincea di Ap e quella, contro le adozioni, dei Cattodem, le resistenze di Giovani Turchi e minoranza Pd a cancellare la stepchild e le barricate dell’opposizione del centrodestra contro il canguro Marcucci e la questione di fiducia. Punti, questi ultimi, che hanno causato lo sgretolamento della fragile alleanza Pd-M5S, deflagrata oggi in Aula nel sonoro “vaffa” pronunciato contro Renzi e il Pd dal 5S Alberto Airola. Alla fine il sì alle unioni civili arriva dalla maggioranza di governo, meno 2 senatori Dem (Manconi e Casson) e 6 di Ap, con Maurizio Sacconi che non nasconde la “delusione” per la gestione, da parte del suo partito, dell’accordo. Non determinante per il voto ma di certo “ingombrante” è invece il sì alla fiducia di Denis Verdini, che poco dopo rilancia con una nota “il contributo essenziale” dato da Ala per l’ok al ddl. Contributo sul quale la minoranza Pd rumoreggia.
“Se c’è un accordo” strutturale “si apre un caso politico”, osserva Federico Fornaro dopo una riunione al Senato alla quale, Roberto Speranza, è chiamato a “sedare” i malumori della sinistra Pd prima del voto. “Il voto di Ala non certifica l’ingresso in maggioranza” precisa in serata Orlando mentre il presidente emerito Giorgio Napolitano spazza via con una battuta l’eventualità (richiesta dalle opposizioni) di un passaggio di Renzi al Colle. “Una passeggiata forse…”, scherza Napolitano che poi si fa serio e spiega che quelli di Verdini “sono voti aggiuntivi e non sostitutivi” di una maggioranza che l’ex capo dello Stato reputa di per sé “compatta”.
robyuankenobi
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