Si avvicina il momento della conta. Domani si terrà l’assemblea sulla trasformazione in spa, aumento di capitale e quotazione in Borsa della Popolare di Vicenza. Sono attesi circa diecimila soci (deleghe comprese). Ieri il vice ministro dell’economia, Enrico Morando, ha ricordato l’ovvio: l’adesione ai tre punti «è necessario, al fine di rispondere alle richieste della Banca centrale europea». L’alternativa è rischiare misure drastiche (commissariamento compreso).
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Questo non significa che sarà facile far digerire ai soci la perdita di valore esponenziale cui sono stati esposti gli azionisti della banca, che hanno visto in una manciata di anni il prezzo dell’azione scendere da 62,5 a 6,3 euro (il potenziale recesso, che però non potrà essere esercitato da nessuno).
La maggior parte di questi sono stati profondamente danneggiati dalla banca, ma non tutti: come ricostruisce l’esposto presentato nell’agosto scorso dall’allora neo-amministratore delegato Francesco Iorio sulla passata gestione, una parte di quei clienti – i più forti patrimonialmente – hanno avuto remunerazioni e vantaggi di di vario genere per comprare azioni. Secondo alcune fonti, a quel primo esposto in Procura ne sono seguiti altri.
Almeno un aspetto comunque è stato risolto: è stato appena chiuso l’investimento in Athena (uno di quelli, insieme a Optimum Ms1 e Optimum Ms2, sui quali la Bce «ha evidenziato profili di criticità», è scritto nel bilancio 2015 della banca). Il fondo, una Sicav di diritto lussemburghese, ha liquidato le attività e restituito il ricavato alla banca circa un mese fa, con una perdita di circa una quindicina di milioni su 100 (già messa a bilancio).
Lo schema di base prevedeva che alcuni soci ricevevano prestiti per comprare le azioni in sede di aumento di capitale (e infatti il filtro prudenziale al patrimonio, imposto dalla Bce, è stato di 1.086,9 milioni, perché non si trattava di soldi provenienti dagli azionisti, ma di prestiti della banca stessa).
Il meccanismo si applicava anche agli scambi successivi di azioni. In realtà da tempo era sempre più difficile – per non dire impossibile – vendere azioni della Popolare di Vicenza (per mancanza di compratori); per creare un minimo di liquidità sul titolo (sarebbe interessante sapere a vantaggio di chi) la banca aveva messo in piedi un meccanismo incentivante. Le modalità erano quattro.
Il primo passaggio prevedeva il finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni della popolare, con l’impegno al riacquisto e talvolta ad un rendimento. Il cliente non rischiava niente ma la banca qualche volta sì: nel bilancio 2015 ci sono “rettifiche di valore per merito creditizio” per 465,9 milioni (su questo tipo di finanziamenti).
Una variante era il “pronti contro termine” classico: ad alcuni clienti “selezionati su base squisitamente patrimoniale” si proponeva l’acquisto di azioni proprie, accompagnato da un rendimento e dall’impegno della banca al riacquisto a scadenza. C’era poi la forma delle operazioni “parzialmente baciate”, in cui a fronte di un finanziamento concesso per altre ragioni veniva erogata una somma maggiore (e la differenza veniva investita in azioni della banca).
Il meccanismo avveniva «talvolta versando al cliente un compenso, mediante accredito in conto corrente ». C’era infine la variante “riqualificazione impieghi”: in questo caso i tassi praticati «potevano venire ulteriormente ridotti qualora contestualmente al prestito fossero state acquisite azioni» della banca. Il rendimento minimo era variabile, «mediamente l’1-2% netto». Qualche altra volta i benefici ai clienti si manifestavano con «storni e altri rimborsi non giustificati sui conti correnti » (nel secondo semestre 2014 sono stati 3 milioni di euro).
di Vittoria Puledda
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Repubblica