Bce, Draghi aggrava il disastro Europa: nipponizzazione e tassi ‘ultra sotto-zero’

“In attesa della riunione di politica monetaria della Bce prevista giovedì a Francoforte, ci aspettiamo tassi di interesse negativi ancora maggiori e l’adozione, da parte di Draghi, di …

“In attesa della riunione di politica monetaria della Bce prevista giovedì a Francoforte, ci aspettiamo tassi di interesse negativi ancora maggiori e l’adozione, da parte di Draghi, di una strategia accomodante con un potenziale taglio dei tassi di 20 basis point. Nel contesto del QE, portata e durata saranno di importanza cruciale e ci aspettiamo una crescita di entrambi.  Le parole di Draghi, compreso il modo in cui saranno implementati i tassi negativi, saranno essenziali.

Come reazione, i mercati proseguiranno la tendenza di nipponizzazione, in particolare i bund tedeschi.  I bond decennali giapponesi hanno iniziato a entrare in territorio negativo ed è solo questione di tempo prima che questo avvenga anche in Europa.  Qui, infatti, i rendimenti sono già bassi, ma rispetto al Giappone c’è ancora spazio per un ulteriore calo di 20-25 basis point. Detto questo, se Draghi dovesse deludere i mercati e si verificasse un sell-off nei mercati obbligazionari europei, considereremmo la situazione temporanea, vista la gravità sottostante nel mercato dei tassi, che punta ancora al ribasso data l’incidenza di disinflazione/deflazione”.

Analisi di Salman Ahmed, Global Strategist di Lombard Odier Investment Managers.

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Un quantitative easing che non si ferma a marzo 2017 ma prosegue per altri 3-6 mesi. Un ammontare da acquistare che sale da 60 a 70-80 miliardi al mese. Un raggio di titoli acquistabili che non si limita ai bond statali ma si amplia alle obbligazioni degli enti locali e delle società. Un tasso d’interesse sui fondi in deposito presso la Bce che scende ancora dal -0,3 al -0,4 e forse -0,5 per cento.

Ecco il pacchetto “rafforzato” che uscirà, secondo i più autorevoli centri studi europei e le banche d’affari, dalla riunione di giovedì della Bce. Pur nella consapevolezza che le misure monetarie da sole non bastano alla ripresa, come puntualizza la Bri ma come lui stesso non manca di ricordare, Draghi rilancia il suo progetto in favore della liquidità. Lo fa su un sentiero sempre più stretto, non senza una premessa realistica: ormai il traguardo del 2% di inflazione, come emerge dalle “minute” delle riunioni precedenti della Bce, è ritenuto irraggiungibile.

Il think-tank Brugel di Bruxelles definisce un vero shock quello di febbraio «quando per Eurostat l’inflazione è crollata dal +0,3 di gennaio a -0,2% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso». Così, prevede dal canto suo l’Ubs, «la Bce taglierà la sue previsioni d’inflazione per il 2016 dall’1 allo 0,3%, e per il 2017 dall’1,6 all’1,5. Nel frattempo abbasserà dall’1,7 all’1,5% la previsione di crescita del Pil nell’eurozona sia per il 2016 che per l’anno prossimo».

Persa la partita dell’inflazione (soprattutto per i prezzi del petrolio), non resta per la Bce che puntare sul rilancio del credito, l’altro aspetto della complessa “operazione qe”. E su questo il bazooka di Draghi aumenterà la potenza di fuoco. Non senza problemi, legati l’uno all’altro. Se si andrà avanti oltre la scadenza, ad esempio, c’è la certezza che i buoni del Tesoro dei Paesi non basteranno: la Bce non può comprare più del 33% di ogni emissione né più del 33% dello stock di titoli pubblici esistenti.

«L’unica è ricorrere ai titoli degli enti locali partendo da quelli a minor rischio – nota il Credit Suisse nel report del weekend – come si è cominciato a fare in minima misura negli ultimi mesi». Non basta neanche, e allora si ricorrerà alle obbligazioni delle aziende: «Le regole ci sono già, le ha messe online il 22 dicembre la Bce in una comunicazione poco notata», ricorda da Londra Brunello Rosa, capo economista dell’Rge, il pensatoio di Nouriel Roubini. «Si partirà dai gruppi a partecipazione pubblica: per l’Italia sono nell’elenco Cdp, Terna, Fs, Enel e Snam. Niente banche commerciali per evitare conflitti d’interessi».

Il capitolo più difficile è quello dei tassi. Gli economisti sono concordi: verrà tenuto fermo il valore di riferimento, il vecchio tasso di sconto, allo 0,05%, ma si agirà ancora sulla deposit facility, gli interessi sui fondi che le banche tengono in “custodia” presso la Bce anzichè destinarli all’economia reale. Già sono negativi ma si scenderà da -0,3% a -0,4 e forse ancora più giù. Draghi si rende conto dei problemi per le banche che la misura comporta, e allora, pur senza attuarla subito, annuncerà una procedura che è in fase sperimentale in Giappone e in Svezia (dove la Riksbank pratica tassi del -0,5).

Si chiama two-tiered, a due velocità, e consiste nell’applicare tassi così pesanti solo quando i fondi depositati presso la Bce superano un certo livello. Per gli altri sarà praticato un trattamento più favorevole. Infine gli Ltro, i finanziamenti straordinari e superconvenienti per le banche in cambio di vari titoli e garanzie, lanciati a metà 2014: non hanno avuto grande accoglienza, ma a fine marzo è prevista una nuova asta, e la Bce annuncerà condizioni ancora più favorevoli.

di Eugenio Occorsio

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Repubblica

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FLOP DEL QUANTITATIVE EASING

a cura dell’ufficio studi della Cgia di Mestre

A un anno dall’avvio dei massicci acquisti di titoli da parte della Banca Centrale Europea (60 miliardi al mese), non trovano soluzioni i problemi nell’Eurozona della bassa inflazione e della stretta dei prestiti alle imprese.

È l’Ufficio Studi della CGIA a stilare un primo bilancio del Quantitative Easing (QE), l’operazione avviata dalla Bce il 9 marzo del 2015 con l’intento di riportare il tasso di inflazione al 2% e dare fiato all’economia. Nell’ultimo anno nell’area dell’euro la Bce ha comprato titoli per oltre 713 miliardi di euro, in particolare del settore pubblico (quasi 600 miliardi di euro). Questo piano di acquisto titoli è stato in linea con quanto previsto inizialmente, tant’è che tra il 9 marzo 2015 e il 26 febbraio 2016 (ultimo dato disponibile) Francoforte ha acquistato titoli e obbligazioni per 59,5 miliardi di euro al mese.

Cosa è successo nell’Eurozona ?

I risultati del QE sono stati deludenti specie se si considera che, nell’ultimo anno, il livello medio dei prezzi nell’Area dell’euro è cresciuto di appena lo 0,1 per cento mentre i prestiti alle società non finanziarie europee sono scesi di 0,7 punti percentuali. Anche in Germania e in Francia, dove le previsioni di crescita economica per il biennio 2016-2017 sono più favorevoli che in Italia e dove i prestiti alle società non finanziarie sono aumentati negli ultimi 12 mesi, l’inflazione è prossima allo zero (+0,2 per cento per i consumatori tedeschi e +0,1 per cento per quelli francesi).

Vi sono poi alcuni paesi in piena deflazione: valutando l’andamento dell’indice medio dei prezzi al consumo HICP negli ultimi 12 mesi (febbraio 2015-gennaio 2016) si evince come, rispetto allo stesso periodo di un anno prima, i prezzi siano scesi dello 0,5 per cento in Spagna e in Lituania, dello 0,8 per cento in Slovenia, dello 0,4 per cento in Slovacchia e dello 0,1 per cento in Finlandia. Nessun paese dell’Area Euro presenta un’inflazione superiore all’1  per cento (il tasso di crescita dei prezzi più elevato si trova in Austria, +0,9 per cento) e l’obiettivo del 2 per cento rimane un miraggio.

E in Italia ?

Sebbene la Bce abbia acquistato più di 87 miliardi di titoli di stato italiani (dati al 31 gennaio 2016, pari al 16 per cento del totale), con riferimento agli ultimi 12 mesi,  l’inflazione è salita di appena lo 0,2 per cento, mentre i prestiti alle società non finanziarie (cioè alle imprese) sono scesi del 2,3 per cento (pari a una contrazione di 15 miliardi di euro) …..

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