A un quarto di secolo dall’inizio della globalizzazione, che i suoi cantori promettevano come era di pace e di sviluppo, nella quale le spese militari sarebbero crollate per dare spazio agli investimenti produttivi cancellando la miseria e diffondendo benessere e democrazia, dobbiamo constatare come le cose non siano andate esattamente in questo modo.
Mai le spese militari complessive sono state così alte, le guerre si sono succedute senza posa, i punti di crisi moltiplicati, l’economia mondiale è investita dalla crisi più grave dopo quella del 1929 (e che minaccia di diventare più grave di quella), le diseguaglianze sociali si sono moltiplicate sia fra le diverse nazioni che al loro interno.
Quanto all’espansione della democrazia, semplicemente non se ne parla più ed il trasparente velo della sua esportazione ormai è stato abbandonato. Ormai le guerre non hanno più questa motivazione “nobile”, sono confessatamente dirette a preservare il predomino occidentale (in realtà solo americano) nell’ordine mondiale.
La classe dirigente occidentale non cerca neppure di capire il perché le cose sono andate in questo modo e non prende neppure in condiderazione l’idea di un diverso ordine di potere sia sul piano interstatale che si quello economico e sociale.
Negli Usa di inizi secolo spadroneggiava il progetto del “nuovo secolo americano” un progetto di ordine mondiale a guida monopolare americana, poi subito travolto dall’evoluzione sfavorevole dei conflitti mediorientali (da cui gli Usa si sono ritratti non essendo più in grado di sostenerli) e dai colpi della crisi finanziaria. Avrebbe dovuto seguire un nuovo progetto di ordine mondiale multipolare, basato sull’accordo fra vecchie e nuove potenze (Usa, Giappone, Europa, Russia, Cina, India, Brasile …) ma questo avrebbe comportato non poche rinunce da parte degli Usa, che non intendono recedere dalla loro posizione di unica super potenza mondiale, per acconciarsi nella posizione di grande potenza regionale. La più grande fra tutte le grandi potenze, ma pur sempre su un piede di parità con gli altri. Il progetto imperiale americano non ammette ridimensionamenti, perché la stessa stabilità interna del paese è basata su questa posizione dominante, a cominciare dal ruolo del dollaro come moneta internazionale, giustificato solo con il predominio militare e finanziario a livello mondiale.
In questo gli americani sono sostenuti dall’indecente servilismo delle classi dirigenti europee che accettano di avventarsi contro qualsiasi loro avversario, nella speranza che dalla loro tavola cada qualche osso. E questo nonostante sia evidente che gli interessi del vecchio continente vadano in direzione diametralmente opposta (vedi questione Ttip, sanzioni alla Russia ecc.). Ormai l’Europa ha rinunciato ad avere un suo ruolo autonomo nella politica mondiale, per accomodarsi nella posizione di “servitù protetta” dal potente amico e, tutto sommato, quando Obama dice che i suoi alleati sono solo parassiti, tutto sommato non ha torto.
Tutto questo ha generato una reazione rabbiosa e irrazionale di cui è causa anche il fallimento dell’unificazione politica europea: aver mantenuto l’Alleanza atlantica oltre lo scioglimento dell’Urss, con l’implicita rinuncia a svolgere un ruolo politico mondiale, ha segnato il fallimento definitivo del progetto europeo, che, a quel punto, era inutile, mentre tutti potevano dedicarsi al proprio interesse di breve durata accucciato ai piedi della potenza a stelle e strisce. Quel che ne è seguito è stata solo una lunga, indecorosa agonia che ancora dura.
Una interpretazione singolare di questo fallimento è stata data da Angelo Panebianco nel suo ormai celebre articolo sul Corriere nel quale leggiamo una frase che merita una riflessione: << Si dimentica che le unificazioni politiche non si fanno col burro ma con i cannoni. Sono sempre state guerre e minacce geopolitiche a innescarle.>>.
La pregiudiziale antibellicista (che ha ispirato l’art 11 della Costituzione) è così cancellata e la guerra torna ad essere normale strumento di regolazione dell’ordine mondiale (a proposito, mi rivolgo ai collettivi studenteschi bolognesi: ragazzi contestare Panebianco una volta è stato giusto e l’ho scritto qui, averlo fatto una seconda volta può anche starci, ma dalla terza in poi diventa una campagna persecutoria controproducente. Va benissimo la battaglia contro la guerra, ma consiglierei di avere più fantasia).
Non si accorge, l’insigne politologo, che fu proprio la pressione dei cannoni della guerra fredda che spezzò l’Europa e la rese subalterna agli Usa. Quando si dice che c’è bisogno di storia per leggere il passato e decidere nel presente…
di Aldo Giannuli
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da www.aldogiannuli.it