I giovani americani bocciano il capitalismo. Debiti per le università a 1.300 miliardi

I giovani americani rifiutano il capitalismo. E’ la sorprendente scoperta che gli analisti della prestigiosa università di Harvard hanno fatto con un sondaggio condotto tra giovani adulti di …

I giovani americani rifiutano il capitalismo. E’ la sorprendente scoperta che gli analisti della prestigiosa università di Harvard hanno fatto con un sondaggio condotto tra giovani adulti di età compresa tra i 18 e i 29 anni.

I risultati aprono uno squarcio nel “sistema” Usa: il 51% degli intervistati afferma di non supportare il capitalismo, preferito dal 42%. Il 7 percento, invece, non risponde o resta indeciso: segno che qualcosa proprio non va. Il margine d’errore del sondaggio è del 2,4%, ma ciò che sorprende maggiormente è il 33 percento di ragazzi che si dichiara apertamente di ideologia socialista, una novità per gli Stati Uniti.

L’indagine non chiarisce, però, se le nuove generazioni preferiscono un nuovo sistema, alternativo, o una decisa correzione di rotta dell’attuale capitalismo. In generale, fanno sapere gli analisti di Harvard, il sentimento più diffuso è la frustrazione per lo status quo. Sull’umore incidono fattori importanti come la crisi economico-finanziaria, l’incertezza a livello geopolitico e la crescita che comunque prosegue a ritmo troppo lento.

Il messaggio che l’Università consegna alla politica, invece, è un altro: i dati dell’indagine dimostrano che gli elettori più giovani sono concentrati maggiormente sui difetti del libero mercato che non sui vecchi schemi.

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Milletrecento miliardi: negli Usa esplode la bomba del debito degli studenti (raddoppiato in otto anni)

Incredibile ma vero, esiste qualcosa al mondo in grado di relativizzare il problema del debito pubblico italiano (e non è quello giapponese). Arriva dai potenti Stati Uniti ed è enorme, sinistro e apparentemente incontrollabile: è il debito contratto dagli studenti che vogliono frequentare le costose – a volte costosissime – università americane.
La notizia del superamento dei mille miliardi di dollari fece scapore: era il 25 aprile 2012, e tutti gridarono allo scandalo chiedendo urgenti provvedimenti. Quattro anni dopo gli Stati Uniti si ritrovano con gli student debts aumentati di oltre il 13% a quota 1320 miliardi di dollari: quattro volte il Pil della Danimarca, due volte e mezzo il deficit pubblico statunitense, 21 volte il patrimonio netto di Warren Buffett.
«Queste sono cifre enormi – spiega Maggie Thompson, executive director di Generation Progress, braccio “giovanile” di uno dei più importanti think thank americani – è necessario affrontare al più presto il problema, che non è un freno solo per le giovani generazioni ma per l’intera economia».
Gli studenti americani, infatti, si ritrovano appena usciti dall’università con un fardello medio di 35mila dollari da pagare, per lo più attraverso i famosi “prestiti Stafford” dal nome del programma federale che offre tassi di interesse e condizioni di rimborso favorevoli. Il vero problema – e lì non c’è piano di rimborso che tenga – è quando il neolaureato non trova lavoro: accade, secondo le statistiche, al 7,8% degli ex studenti, ai quali andrebbe aggiunto il quasi 17% degli “indefiniti” (quelli che lavorano meno ore di quante vorrebbero, che non lavorano ma sono in cerca di un’occupazione o che hanno abbandonato del tutto la ricerca di un impiego).
Per alcuni di loro c’è lo spettro del default, l’impossibilità di ripagare i prestiti, che colpisce per esempio quasi il 20% degli “studenti mutuatari” dell’Università statale del New Mexico e il 15% di quelli della Ohio University. Non stupisce veder spuntare alcune proteste, come la marcia di studenti dello scorso novembre a New York, condita da striscioni che recitavano “L’istruzione è un diritto” e “Cancellate il debito studentesco”.
Ma quello che preoccupa non è solo lo stock accumulato: il vero problema è che la crescita del debito studentesco è apparentemente incontrollabile – il ritmo è di circa 100 miliardi l’anno – almeno finché qualcuno non deciderà seriamente di metterci mano . E’ incredibile pensare che solo otto anni fa lo student debt fosse la metà di quello attuale. E se si traccia un grafico per visualizzarlo, si vede plasticamente una retta dritta come una spada che dall’angolino in basso a sinistra vola verso quello in alto a destra. Insomma una brutta bestia feroce, al confronto della quale la gestione del debito pubblico italiano – che pure sappiamo non essere un gioco da ragazzi – pare mansueta come un agnellino.
L’amministrazione Obama sta cercando di correre ai ripari, cercando di rendere meno pesante per gli studenti il fardello del “mutuo universitario” con piani di ammortamento più gestibili. Del resto, il presidente americano è alle prese col problema anche sul piano personale: come mostrano le sue dichiarazioni dei redditi, da bravo padre di famiglia Obama nel 2014 ha accantonato una cifra considerevole (tra 200mila e 400mila dollari) in quattro dei 529 “piani di risparmio” per pagare le spese dell’università alle figlie Malia e Sasha.

Anche i due candidati democratici (la Clinton e Sanders) hanno promesso di occuparsi del debito studentesco, e persino quelli repubblicani hanno sfiorato il tema durante la campagna. Ma la realtà è che una soluzione reale al problema appare lontana, anche perché le rette sono in aumento anche nelle meno costose università pubbliche: dopo la recessione, la spending review dei singoli Stati americani si è infatti tradotta in cospicui tagli all’istruzione. Ormai in molti definiscono quella del debito studentesco una vera e propria bolla finanziaria, e solo il futuro ci potrà dire quali record sarà in grado di infrangere prima di esplodere.

di Enrico Marro

Fonte: Il Sole 24 Ore

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