Banche centrali: no di Nuova Zelanda e Giappone a stimoli monetari

Le dichiarazioni del Federal Open Market Comittee hanno generato un picco di forza del dollaro americano, in particolare grazie all’abbandono da parte della Fed della menzione di potenziali …

Le dichiarazioni del Federal Open Market Comittee hanno generato un picco di forza del dollaro americano, in particolare grazie all’abbandono da parte della Fed della menzione di potenziali “rischi” riguardanti gli sviluppi del mercato globale. La parola “globale”, tuttavia, suggerisce che la Fed continuerà a seguire gli sviluppi macroeconomici di tutto il mondo, dando il messaggio che la banca centrale stia prendendo atto di un miglioramento dello scenario generale, rimanendo vigile ma senza urgenza di agire. Inoltre, le dichiarazioni sull’inflazione sembrano piuttosto positive. D’altronde le attese di un rialzo durante questa riunione del FOMC erano minime: la riunione di marzo sembrava, infatti, aver congelato ogni possibilità in tal senso per almeno due o tre incontri.

A questo punto, solo dati straordinariamente forti potrebbero spingere la Fed a spostarsi su un atteggiamento più aggressivo nella riunione di giugno, per aprire la strada a un rialzo durante il mese successivo. Per un’eventuale successiva mossa, anche a settembre, sarebbero allora necessari dati in forte crescita sia per quanto riguarda inflazione e occupazione, sia in termini di attività economica.

La Reserve Bank neozelandese ha evitato di tagliare i tassi, come previsto dal mercato, sorprendendo abbastanza sui contenuti, sottolineando nuovamente le proprie preoccupazioni riguardo l’edilizia abitativa, in un contesto di mercati esteri dove le condizioni finanziarie restano deboli. I tassi sui Titoli di Stato a due anni hanno reagito salendo di un paio di basis point; tuttavia, per innescare un movimento forte servirebbe il supporto di altri fattori come un forte recupero dei prezzi delle materie prime.

Per quanto riguarda la BoJ, le aspettative di breve termine erano probabilmente superiori a quanto avessi previsto: l’inerzia di Kuroda ha scatenato un rally dello yen con un potente effetto sui titoli azionari giapponesi, non tanto per i tassi di cambio quanto piuttosto per l’annuncio di un’ulteriore espansione degli acquisti azionari da parte della banca centrale. La BoJ potrebbe essere in attesa delle riunioni estive per annunciare una nuova traiettoria di politica monetaria, incluso un potente stimolo fiscale, con il supporto del governo del primo ministro Shinzo Abe per risollevare l’inflazione e stimolare la domanda dell’economia del paese.

Eppure, il reiterato rinvio delle previsioni riguardo il raggiungimento del target d’inflazione del 2% non segnala un clima di urgenza, incoraggiando gli acquisti di JPY. Il JPY è rimbalzato infatti durante la notte di ieri in reazione alla riunione della BoJ, portando USDJPY al centro dell’attenzione, proprio mentre il FOMC ha dimostrato la sua incapacità a progettare una rimonta del dollaro USA. L’entità del crollo è stata impressionante: se il dollaro continuerà ad indebolirsi a causa della mancanza di supporto da parte del FOMC, potremmo vedere la coppia testare i propri minimi di breve termine, spostando l’interesse sui livelli di 106,50 e 105,00. Un’altra giornata con un simile livello di volatilità potrebbe richiedere qualche dichiarazione, se non addirittura un intervento volto a contrastare la forza di JPY: si prospetta, quindi, una fase con un grande potenziale di picchi giornalieri di volatilità.

di John J. Hardy, Head of FX Strategy di Saxo Bank

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Schroders: Eurozona, bene dati macro ma BCE dovrà intervenire

PIL

In una giornata ricca di dati, la crescita dell’Eurozona è stimata nel primo trimestre del 2016 a +0,6%, il doppio rispetto agli ultimi tre mesi del 2015 e al di sopra delle attese del consenso (+0,4%).

Si tratta della prima lettura “flash” del dato sul PIL da parte di Eurostat, pubblicata prima del solito (30 giorni dopo la chiusura del trimestre). Di conseguenza sono pochi i dettagli disponibili in questa fase. La consueta lettura del dato, dopo 45 giorni dalla chiusura del trimestre, offrirà il disaggregato relativo ai contributi dei singoli Stati membri.

In ogni caso, sappiamo che il PIL della Francia ha registrato un rimbalzo nel primo trimestre, a +0,5% dal +0,3% del quarto trimestre 2015, rispetto a una stima di consenso pari a +0,4%. Ci aspettavamo questa ripresa, poiché l’attività economica sembrava aver rallentato l’anno scorso, come reazione agli attacchi terroristici di Parigi. In effetti, la principale spinta positiva negli ultimi dati è legata all’accelerazione dei consumi e della crescita degli investimenti aziendali. Ciò vuol anche dire che, se la fiducia è ormai ritornata, dopo gli eventi tragici dello scorso anno, per il resto del 2016 possiamo aspettarci una moderazione della crescita, piuttosto che il mantenimento dell’attuale ritmo. La Francia ha ancora problematiche strutturali significative, che molto probabilmente non saranno risolte prima delle elezioni presidenziali del prossimo anno.

Anche la Spagna ha sorpreso al rialzo, crescendo dello 0,8% per il terzo trimestre consecutivo, nonostante un chiaro rallentamento della produzione manifatturiera a gennaio e febbraio. Sono quindi buone le basi per il resto del 2016, sebbene ci aspettiamo che il tasso di crescita annuale rallenti dall’attuale 3,4% a circa il 3%, sulla scia della prolungata incertezza del quadro politico. Stessa sorpresa positiva anche dall’Austria, dove la crescita ha accelerato dallo 0,2% allo 0,6% nello stesso periodo, il tasso trimestrale più alto da inizio 2015.

Il PIL tedesco non è ancora stato reso noto, ma i primi indicatori mostrano una significativa ripresa della produzione industriale e delle vendite al dettaglio, cosa che dovrebbe supportare un’accelerazione, quando il dato sarà pubblicato, nel giro di un paio di settimane.

Inflazione

Sebbene la crescita dell’Eurozona sembri essere sulla strada giusta, lo stesso non si può dire per l’inflazione, scesa a -0,2% a/a ad aprile, deludendo le attese del consenso. L’energia continua a essere il maggior ostacolo al tasso headline, nonostante anche il tasso core (escludendo cioè alimentari, energia, alcolici e tabacco) sia sceso dall’1% di marzo allo 0,8% di aprile.

Le vacanze pasquali di fine marzo, cadute prima del solito, avrebbero dovuto far sì che l’inflazione fosse un po’ più forte del normale nel mese, e poi più debole ad aprile. Ma il quadro generale è comunque debole, con l’indicatore che si colloca, in alcuni Paesi, in territorio fortemente negativo (per esempio in Spagna, – 1,2%).

La recente forza dell’euro, nonostante le misure di stimolo della Banca centrale europea (BCE), ha indubbiamente avuto un ruolo nel mantenere bassa l’inflazione. Continuiamo ad attenderci che l’Eurotower taglierà ancora i tassi di interesse, dato che l’inflazione e la moneta unica non reagiscono agli interventi di Francoforte.

Disoccupazione

Infine, Eurostat ha indicato un declino della disoccupazione dell’Eurozona – al 10,2% a marzo, dal 10,4% di febbraio e 11,2% di marzo 2015.

I continui cali della disoccupazione suggeriscono che il PIL sta crescendo al di sopra del potenziale o del tasso tendenziale. Nel tempo, questo dovrebbe permettere di rimuovere la maggior parte della capacità in eccesso nel mercato del lavoro e, alla fine, dovrebbe spingere salari e inflazione al rialzo.

Tuttavia, ci potrebbero volere ancora un paio d’anni prima di poter considerare l’inflazione nuovamente a livelli normali: un lusso che la BCE potrebbe non essere in grado di permettersi, dato il suo mandato.

E’ interessante sottolineare che cali dei tassi di disoccupazione si sono registrati in tutta l’Eurozona, suggerendo che la ripresa macro economica si sta ampliando.

Nel complesso, i dati pubblicati oggi (29 aprile) sono positivi per l’Eurozona. Nonostante dati deboli dal comparto aziendale nell’ultimo trimestre, la crescita sottostante si è dimostrata più resistente.

L’inflazione continua però a deludere e restiamo dell’idea che la BCE dovrà attuare ulteriori stimoli. Anche se le autorità dovessero agire in un’altra direzione, restiamo fiduciosi sul fatto che, nel tempo, l’inflazione dovrebbe riprendersi, dato che è un lagging indicator.

A cura di Azad Zangana, Senior European Economist & Strategist, Schroders

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