Quattro anni dopo, la mannaia della Corte Costituzionale sulla spending review targata Mario Monti. Con la sentenza n. 129/2016 depositata lunedì, la Consulta ha bocciato il taglio incrementale da oltre 7,2 miliardi dei trasferimenti erariali agli enti locali, stabilito dall’articolo 16, comma 6 del dl 95/2012, approvato dal “Governo dei professori” nella fase più acuta delle turbolenze finanziarie che in quel periodo investirono l’Italia.
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Per recuperare le risorse necessarie e guadagnare credibilità agli occhi dei mercati, il governo Monti varò la spending review, una serie di tagli alla spesa pubblica ‘lacrime e sangue’ che colpirono anche gli enti territoriali. Nel caso dei Comuni, venne previsto un taglio «incrementale», che valeva 2.250 milioni per il 2013, 2,5 miliardi per il 2014 e 2,6 miliardi dal 2015. La sforbiciata finì per colpire i surrogati in salsa federalista dei vecchi trasferimenti erariali ai sindaci, ossia il fondo sperimentale di riequilibrio, poi sostituito dal fondo di solidarietà comunale. Per ripartire i sacrifici, il legislatore aveva rimesso la palla a un decreto (di natura non regolamentare) del ministro dell’interno, indicando come parametro di riferimento la media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal sistema Siope.
La Consulta dunque boccia la spending review di Monti perché non ha coinvolto i Comuni. Non era stata convocata neppure la Conferenza Stato-città, quindi il provvedimento ha violato palesemente l’articolo 119 della Costituzione, che sancisce l’autonomia finanziaria di entrate e di spese di comuni, le province, le città metropolitane e regioni. Come si legge nella sentenza della Corte: “Nessun dubbio che le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali. Tuttavia tale incidenza deve essere ”mitigata”, attraverso la garanzia del coinvolgimento degli enti ”nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione”.