Brexit accentua l’irrilevanza banche centrali. Incertezza al top, finite munizioni

C’era un tempo non lontano in cui la politica europea guardava alla Federal Reserve americana per capire gli andamenti del dollaro, il prezzo del petrolio e buona parte …

C’era un tempo non lontano in cui la politica europea guardava alla Federal Reserve americana per capire gli andamenti del dollaro, il prezzo del petrolio e buona parte degli indici economici e adeguare i tassi di interesse. Da giovedì 23 giugno tutto questo è finito.

Da quando i cittadini della Gran Bretagna hanno deciso che la loro partecipazione all’Unione europea poteva ritenersi conclusa, anche la Fed mette ovunque enormi punti interrogativi, quando si tratta di stime e previsioni globali, che inevitabilmente coinvolgono soprattutto l’economia del Vecchio continente, provocando una reazione a catena con altri mercati.

È ovvio che non c’è alle porte una crisi o una recessione degli Stati Uniti come conseguenza della Brexit, come scrive anche Reuters, ma sia una recente ricerca della Fed, che la Banca dei regolamenti internazionali, il Fondo monetario internazionale e alcuni economisti privati hanno prospettato la possibilità che la Federal Reserve possa essere limitata da eventi esterni, proprio come il voto del Regno Unito, che hanno reso la ripresa lenta e l’obiettivo dell’inflazione sfuggente.

Il dollaro, infatti, sembra essere diventato più “sensibile” alle condizioni economiche globali e la sua rapida ascesa dal 2014 ad oggi ha frenato le esportazioni degli Stati Uniti e rovesciato le prospettive di inflazione della Fed. A lungo termine i rendimenti dei titoli di Stato Usa, rimasti vicino a minimi record, sono cresciuti proporzionalmente ai flussi di capitale globali e meno a quelli indicati dalla politica economica della Fed. Anche la stima chiave su un tasso neutro di interesse appare ancorato dai tassi europei o alla crescita lenta di alcune economie sviluppate.

In poche parole, l’incertezza che avvolge il futuro dopo Brexit è una nuvola di nebbia anche per i mesi a venire. Soprattutto per i governi europei e le altre banche centrali. E questo può essere un problema, non solo per l’economia dell’area Ue, ma anche per gli Stati Uniti e in generale per le economie globali.

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