“Nonostante la crescita sia più fragile del previsto, i conti pubblici sono sotto controllo, come evidenziato dall’andamento del fabbisogno del settore statale. A fine settembre il Governo presenterà nella nota di aggiornamento al Def il nuovo quadro macroeconomico con le previsioni aggiornate sull’andamento dell’economia e in combinazione con i dati della contabilità nazionale sarà possibile valutare i target per il rapporto deficit/Pil e debito/Pil”. Lo afferma il Mef.
Il dato sul pil fermo “non costituisce una sorpresa”. Lo afferma il Tesoro spiegando che dipende da fenomeni come, tra l’altro, la minaccia del terrorismo, la crisi dei migranti e la Brexit che “erano noti da tempo” rispetto all’impatto sulle prospettive di crescita dell’Italia. “Diverse fonti di Governo, compreso il Mef, avevano già segnalato che le stime di crescita formulate ad aprile con il Def sarebbero state messe in discussione da questo nuovo scenario, e numerosi previsori (dal Fmi all’Ocse) hanno già rivisto al ribasso le stime della crescita mondiale”. (Ansa)
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Nel secondo trimestre del 2016 il prodotto interno lordo (Pil), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dello 0,7% nei confronti del secondo trimestre del 2015. A renderlo noto è l’Istat, pubblicando i dati raccolti.
La variazione acquisita per il 2016 è pari a +0,6%. Il secondo trimestre del 2016, ricorda l’istituto di statistica, ha avuto una giornata lavorativa in più del trimestre precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al secondo trimestre del 2015. La variazione congiunturale è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dei servizi e di una diminuzione in quello dell’industria. Dal lato della domanda, vi è un lieve contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), compensato da un apporto positivo della componente estera netta.
Nello stesso periodo preso in esame dall’Istat, il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% nel Regno Unito e dello 0,3% negli Stati Uniti, mentre ha segnato una variazione nulla in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 2,2% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia e dell’1,2% negli Stati Uniti. Nel complesso, secondo la stima diffusa il 29 luglio scorso, il Pil dei paesi dell’area Euro è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dell’1,6% nel confronto con lo stesso trimestre del 2015.
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La crescita italiana perde slancio nel secondo trimestre: il Pil è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dello 0,7% nei confronti del secondo trimestre del 2015 (contro il +1% dei primi tre mesi del 2016). Secondo le stime preliminari diffuse dall’Istat la variazione acquisita del prodotto interno lordo per il 2016 si porta a +0,6%.
La variazione congiunturale del Pil è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dei servizi e di una diminuzione in quello dell’industria. Dal lato della domanda, vi è un lieve contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), compensato da un apporto positivo della componente estera netta. Nello stesso periodo il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% nel Regno Unito e dello 0,3% negli Stati Uniti, mentre ha segnato una variazione nulla in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 2,2% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia e dell’1,2% negli Stati Uniti. Nel complesso, secondo la stima diffusa il 29 luglio scorso, il Pil dei paesi dell’area Euro è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dell’1,6% nel confronto con lo stesso trimestre del 2015.
Rallenta leggermente anche la crescita economica dell’Eurozona, a seguito delle preoccupazioni legate alla Brexit e alla debole performance di France e Italia. Secondo quanto riferisce Eurostat, il Pil è stato nel secondo trimestre di +0,3%, in calo rispetto al +0,6% del primo trimestre; il dato è invariato rispetto alle stime dello scorso mese e in linea con le previsioni degli analisti. Su base annua, l’economia dell’Eurozona è cresciuta nel secondo trimestre dell’1,6%, dato invariato rispetto alle stime. L’economia tedesca è risultata migliore delle aspettative, crescendo dello 0,4%, dopo il +0,7% del trimestre precedente; il Pil della Francia è sceso a zero da +0,7% come quello italiano, rimasto invariato dopo il rialzo dello 0,3% registrato nei primi tre mesi dell’anno. L’economia della Spagna è avanzata dello 0,7%, contro +0,8% del trimestre precedente.
Nuovo record invece a giugno per il debito pubblico italiano: si attesta a 2.248,8 miliardi, in aumento di 7,0 miliardi rispetto al mese precedente. L’incremento del debito, riferisce Bankitalia, è inferiore a quello delle disponibilità liquide del Tesoro (19,8 miliardi, a 92,5 miliardi), riflettendo l’avanzo di cassa (12,0 miliardi) e l’effetto complessivo dell’emissione di titoli sopra la pari, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del tasso di cambio dell’euro (0,8 miliardi). Nei primi sei mesi del 2016, il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di 77,2 miliardi. (AGI)
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Pil: Vaciago, calo atteso, Italia torni a essere attraente
Roma – La battuta d’arresto del Pil nel secondo trimestre era prevista: per invertire la tendenza bisogna proseguire nel cammino delle riforme e far tornare l’Italia a essere un paese “attraente”. L’economista Giacomo Vaciago non è stato colto di sorpresa dai dati diffusi dall’Istat: “Il calo della produzione industriale di giugno aveva indotto a ridimensionare le previsioni del secondo trimestre – afferma Vaciago all’Agi – Era scontato per chi studia la congiuntura”, perché “l’industria va male”. “Terminato il boom dell’auto, che è stato il motore della ripresa negli ultimi due anni – sottolinea Vaciago – l’industria continua a soffrire”. Le buone imprese italiane proseguono in realtà l’andamento positivo ma non nel territorio nazionale, crescendo nei paesi in cui hanno delocalizzato la produzione: quelle che producono e vendono solo in Italia “probabilmente hanno già chiuso”.
Il bonus di 80 euro “è servito – osserva Vaciago – cosi’ come il jobs act”, ma ora serve dell’altro per imprimere slancio all’economia: “Dall’estero non arrivano buone notizie: gli effetti della Brexit li vedremo nel terzo e quarto trimestre”. Cosa fare allora? “L’Italia – risponde Vaciago – deve tornare a essere un Paese attraente. Stiamo parlando solo di pensioni invece che di riforme. Occorre fare politiche che attraggano e facciano restare i migliori del mondo”. Bene quindi la riforma dell’amministrazione pubblica, ma deve essere subito operativa, cosi’ come è avvenuto per il jobs act: “Serve un p.a. snella ed efficiente – fa notare Vaciago – Occorre realizzare presto le riforme approvate, perché non restino solo sulla Gazzetta Ufficiale ma entrino in azione. I benefici vanno visti nei fatti”. “Abbiamo registrato lo stesso dato del Pil della Francia e abbiamo come i francesi un grande passato – conclude – Siamo immobili e non cresciamo come la Germania perché non siamo efficienti ed attraenti. Ma nel passato lo siamo stati e possiamo tornare ad esserlo”. (AGI)
Cesare58
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Svalutare ipoteticamente la nostra valuta tenendo aperte le frontiere ad importazioni speculative senza dazi in entrata, non sortirebbe effetti economici di rilievo, solo un breve vantaggio successivamente azzerato. Ma anche questo Il FMI lo sa bene, come sa bene che non vi sarà mai un punto di riequilibrio salariale tra occidente e oriente se non un costante calo di quello occidentale verso quello orientale, visto il continuo aumento di capacità produttiva e l’infinita mole di lavoratori a disposizione in Asia. In 20 anni di industrializzazione con aumento del PIL a due cifre, la Cina ha ottenuto un salario medio di 500 euro al mese e adesso che la crescita del PIL sta rallentando non si vede come potrebbe esserci un ulteriore innalzamento salariale. Ovviamente tutto questo non rileva solo come capacità di spesa delle famiglie occidentali, ma anche con gli infiniti fallimenti aziendali e con la tragica situazione bancaria sempre occidentali. Insomma ci si rifiuta di vedere che per il vantaggio di alcuni si uccide la moltitudine e l’insieme dell’occidente.
ronin
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FMI: l’euro è troppo forte del 6% per la Francia e troppo debole del 15% per la Germania
http://vocidallestero.it/2016/08/08/fmi-leuro-e-troppo-forte-del-6-per-la-francia-e-troppo-debole-del-15-per-la-germania/
L’interesse di questo articolo non è tanto il suo contenuto – nozioni ben conosciute dai nostri lettori – quanto il fatto che sia stato pubblicato su Le Figaro, pilastro della stampa mainstream in Francia (paragonabile più o meno al nostro Corriere della Sera) e che sia basato su un report del FMI, quello stesso Fondo che ha gestito così disastrosamente la crisi dell’Eurozona dovuta agli squilibri qui denunciati.Per la questione dei disallineamenti dell’euro, consigliamo un recente post di Goofynomics, il blog dove da anni viene svolto un importante lavoro di divulgazione scientifica su quello che solo oggi inizia a fare capolino sulla grande stampa.
Di Jean Pierre Robin, 3 agosto 2016
Il Fondo monetario internazionale ha calcolato quale dovrebbe essere il valore dell’euro, se corrispondesse alle caratteristiche economiche di ciascun paese dell’Eurozona. È nettamente sopravvalutato per la Francia e sottovalutato per la Germania.
È una delle comiche di Stanlio e Ollio, il più famoso duo comico del cinema mondiale. I due indossano lo stesso costume: Stan Laurel, magro, nuota disperatamente nel vestito troppo largo, mentre Oliver Hardy, grande e grosso, sembra sul punto di scoppiare, come un otre troppo pieno.
Succede la stessa cosa con la moneta unica, condivisa dai 19 paesi della……………………
…
…ecc…
…
ronin
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In realtà, quello che ha l’Italia è una crisi da euro. La moneta unica ha distrutto la competitività di quello che, 20 anni fa, era un settore manifatturiero perfettamente sano. Ha succhiato domanda fuori dall’economia, e ha sovraccaricato la spesa dei consumatori.
http://vocidallestero.it/2016/07/23/litalia-non-e-in-crisi-bancaria-e-in-crisi-da-euro/