Due Europa o un’Europa a due velocità? Sono i dubbi che nascono leggendo una proposta nata dal dialogo intercorso tra cinque esperti europei, e presentata contemporaneamente a Londra, Bruxelles, Berlino e Parigi. Il nocciolo è la creazione di un’Europa “base” costituita dai Paesi dell’Area Euro e un’altra “satellite” in cui far confluire partner come la Gran Bretagna, la Turchia, l’Ucraina e la Svizzera, con i quali lavorare uniti soltanto in situazioni eccezionali e senza vincoli politici.
Insomma, come riporta “La Stampa”, un modo per “trasformare la Brexit da «problema» a «opportunità di rilancio» per l’Europa. Non tanto per l’Unione Europea, ma per l’intero Continente”. A studiare questa soluzione sono stati “Guntram Wolff (foto in alto), direttore del think tank bruxellese Bruegel (gli altri sono Jean Pisani-Ferry, commissario generale della France Stratégie e docente alla Hertie School of Governance; Norbert Rottgen, presidente della commissione Esteri del Bundestag; André Sapir, docente all’Université Libre de Bruxelles e ricercatore a Bruegel; Paul Tucker, membro del Systemic Risk Council e ricercatore ad Harvard)”. E potrebbe costituire la “base per le trattative che inizieranno ufficialmente nel momento in cui Londra attiverà l’articolo 50 per chiedere l’uscita dalla Ue. E potrebbe dare vita a una ‘Partnership Continentale’, un modello da applicare in futuro non soltanto alla Gran Bretagna ma anche, per esempio, a Paesi come la Norvegia, la Svizzera o addirittura la Turchia o l’Ucraina”.
Per chiarirci, “il punto centrale sta nella ridefinizione del concetto di mercato unico, che consiste nella libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone. Queste ultime verrebbero escluse dalla libertà di movimento (proprio questo aspetto è stato determinante per la vittoria del sì tra gli elettori britannici) e gli autori del documento sono convinti che la libera circolazione delle persone «non sia indispensabile per il funzionamento dell’integrazione economica». Andrà però definito un «certo livello di mobilità lavorativa», limitato nel tempo e nell’entità, magari con delle quote”, riporta il quotidiano torinese.
La Partnership Continentale consisterà dunque “in una integrazione economica per quanto riguarda merci, servizi, capitali e – in maniera ridotta e limitata – mobilità lavorativa. Non ci sarà una vera e propria integrazione politica, anche se è prevista la partecipazione in un nuovo sistema di processo decisionale intergovernativo. L’idea è di tenere una forma di contribuzione al budget della Ue e una sorta di cooperazione sulla politica estera, sulla sicurezza e, «se possibile», anche sulla difesa. Praticamente la Partnership Continentale verrebbe coinvolta anche in quegli ambiti in cui è già previsto un processo decisionale intergovernativo a livello comunitario”.
Invece, “per le questioni in cui l’Ue ha una sua sovranità, ovviamente, la questione è un po’ più complicata. Ma i processi e le strutture dell’Ue – secondo il progetto – saranno preservati. Rafforzati, si augurano gli autori della proposta. Sarà però necessario costituire un consiglio dei Paesi aderenti alla Partnership Continentale, che però non potrà contrastare la legislazione Ue, ma soltanto proporre emendamenti e deliberare prima del via libera finale di Consiglio Ue e Parlamento. L’ultima parola spetterebbe comunque a Bruxelles e questo sarebbe il prezzo da pagare per il Regno Unito: meno influenza politica, in cambio però di limiti alla libertà di movimento dei lavoratori”, scrive ancora “La Stampa”.
Logicamente “oltre alla questione del mercato unico (e dei lavoratori) ci sono altre aree per le quali definire l’integrazione. Prima di tutto le politiche economiche esterne, in particolare il commercio e la regolamentazione finanziaria. L’Ue dovrebbe negoziare anche per i Paesi della Partnership Continentale, ma su questo ci sono diversi ostacoli. Anche sulla finanza bisognerà decidere se gli Stati “alleati” cederanno la loro rappresentanza. Infine energia e clima: tutti i Paesi della Partnership dovrebbero essere coinvolti nel sistema delle emissioni”, prosegue l’articolo.
Infine, “la politica estera, la sicurezza e la difesa. Il progetto vede la Partnership come una sorta di ‘forum’, ma anche un attore attivo su queste politiche. Sarà invece più difficile una collaborazione su giustizia e affari interni, che sono questioni di competenza divisa tra Ue e Stati membri. ‘Servirà flessibilità’ si legge nel documento, che ha l’ambizione di offrire un punto di partenza alle due parti coinvolte nella trattativa per un divorzio che sia il meno traumatico possibile”, conclude il report de “La Stampa”.