Nel tentativo di autoassolversi, la Consob scivola sulla più classica delle bucce di banana e finisce per autocondannarsi. Perché l’errore strategico ha i contorni nell’identikit fortemente voluto dall’ente della qualità degli investimenti degli italiani. Un sondaggio-studio che fa emergere chiaramente un dato inquietante: più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario.
E qui casca l’asino, direbbe Totò. Perché nel Piano strategico 2010-2012, precedente dunque a tutti gli scandali che hanno colpito le banche italiane, ma comunque in pieno periodo acuto di crisi economica e finanziaria, l’istituto scriveva: “L’ordinamento non assegna alla Consob competenze in materia di vigilanza di stabilità; rientra invece tra le sue funzioni la tempestiva rilevazione delle anomalie nell’informativa al mercato e la valutazione dell’adeguatezza degli assetti procedurali e organizzativi a garantire un’informazione completa e tempestiva”.
Invece, nel 2016, la stessa Consob ammette, con il rapporto pubblicato martedì 13 settembre, che “il livello delle conoscenze finanziarie delle famiglie italiane continua a essere basso, come anche la conoscenza e la familiarità con i servizi e gli strumenti finanziari. E per scegliere ci si affida a familiari ed amici”. Inoltre “la stragrande maggioranza non comprende il concetto di tassi di interesse negativi. Molto bassa anche la conoscenza dei servizi di investimento con l’80% degli intervistati che dice di non conoscere la galassia dei servizi disponibili”.
Tutto questo in barba anche al nuovo Piano strategico, quello per il triennio 2013-2015, proprio il periodo sotto la lente di Procure e mercati, durante i quali sono usciti allo scoperto tutti, o quasi, gli illeciti compiuti da alcuni istituti di credito. Eppure Consob scriveva: “All’acuirsi delle tensioni economico-finanziarie corrisponde un maggiore rischio di earning manipulation e quindi potenziale mispricing dei titoli. Pertanto, diventa prioritario garantire la trasparenza e la correttezza dell’informazione finanziaria”, .dunque “per affrontare tale criticità la Consob potenzierà la vigilanza sulla informativa finanziaria, acquisendo informazioni mirate dagli emittenti, richiedendo comunicazioni al pubblico e profit warning e potenziando l’analisi delle informazioni di tipo ‘derivato’ (raccomandazioni degli analisti e giudizi di rating)”.
Visto ciò che è accaduto, e le accuse mosse dai risparmiatori truffati, Consob non ha rispettato gli impegni della propria mission. Quelli che aveva messo per ben due trienni nero su bianco, ma che ora autosmentisce con un rapporto che inchioda molti alle proprie responsabilità. I consumatori italiani sapevano poco, sono stati informati in maniera sbagliata (sarà la magistratura ad accertare se c’è dolo o imperizia) e chi doveva vigilare non lo ha fatto o lo ha fatto nel peggiore dei modi.
Rapporto Consob: conoscenza scarsa di prodotti e strumenti finanziari
Il livello delle conoscenze finanziarie delle famiglie italiane continua a essere basso, come anche la conoscenza e la familiarità con i servizi e gli strumenti finanziari. E per scegliere ci si affida a familiari ed amici. È l’identikit che emerge da un rapporto Consob sugli investimenti delle famiglie italiane. Dati alla mano, in base al rapporto più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario. Inoltre la stragrande maggioranza non comprende il concetto di tassi di interesse negativi. Molto bassa anche la conoscenza dei servizi di investimento con l’80% degli intervistati che dice di non conoscere la galassia dei servizi disponibili.
Il 39% circa degli investitori mostra inoltre una scarsa comprensione del processo decisionale di investimento. la prudenza prevale nelle scelte delle famiglie italiane: circa la metà dei decisori finanziari italiani è avversa alle perdite. Inoltre solo il 6% degli intervistati comprende correttamente la nozione di diversificazione del portafoglio.
Alla fine del 2015 una famiglia su due partecipa ai mercati finanziari: nel dettaglio, tra gli altri prodotti, si segnala un calo della percentuale di famiglie che detiene titoli di stato dal 13% del 2007 a poco più dell’11% nel 2015; mentre è cresciuta la quota di quelle che ha investito in obbligazioni bancarie italiane da poco più di 9% nel 2007 al 11,5% del 2015, in salita nello stesso periodo anche la percentuale delle famiglie che ha investito in derivati dal poco più dello 0% a oltre l’1%. Quanto agli stili decisionali, più di un terzo degli investitori si affida ai suggerimenti di familiari e amici (informal advice).
Solo il 28% degli investitori si avvale della consulenza Mifid, in linea con le norme che regolano il servizio prestato dai consulenti finanziari. Dal rapporto Consob emerge inoltre come la dimensione ridotta degli investimenti sia il principale fattore che scoraggia la domanda di consulenza: quasi il 35% ritiene di non averne bisogno visto l’esiguo investimento. Quanto ai fattori che alimentano la fiducia nel consulente, sono differenti per investitori e non investitori: per il 35% degli investitori aiuta a capire meglio i rischi dell’investimento, contro meno del 15% dei non investitori. E se si ascolta un consulente in qualche modo poi ci si fida: dalle interviste emerge infatti come due terzi degli investitori che fruiscono della consulenza decidono alla fine di applicare i consigli ricevuti.