Privacy. Manipolazione. Controllo da parte dei detentori del potere tecnologico e politico. Sembrano temi futuristici, ma il mondo cambia velocemente e il futuro si avvicina. L’idea di avere chiavi di casa, documenti di riconoscimento, e persino carte d’imbarco impiantate sottopelle non è più fantascienza. Sono infatti decine di migliaia, secondo una stima riportata dal Wall Street Journal, le persone al mondo che si sono fatte «taggare» con un dispositivo, con applicazioni che possono andare dall’entrata al parcheggio aziendale alla disponibilità di dati medici utili in caso di emergenza.
Gli impianti, denominati Rfid (Radio frequency identification device), della lunghezza di pochi millimetri, sono iniettati nei tessuti grassi in pochi secondi. A compiere l’operazione sono di solito addetti esperti, ma esistono anche kit per il «fai da te» venduti via web. I device sono attivati e letti da radiofrequenze come quelle utilizzate dagli smartphone o dai lettori di carte magnetiche, ad esempio all’entrata di edifici.
Il quotidiano riporta il caso di un uomo di 32 anni olandese che ha diversi «tag» in giro per il corpo, che usa per aprire la porta di casa, entrare nel parcheggio aziendale o essere riconosciuto all’ingresso dell’edificio dove lavora. Lo scorso gennaio è divenuto famoso sui media anche quello di Andreas Sjostrom, un dirigente svedese che ha sperimentato la tecnologia come carta d’imbarco per i voli della Scandinavian Airlines, abilitati a leggere il dispositivo con lo stesso strumento usato per la versione cartacea.
Un giorno, secondo i fautori, potrebbero esserci anche applicazioni mediche, ad esempio immagazzinando nei dispositivi informazioni necessarie in caso di interventi d’urgenza, come terapie seguite o condizioni mediche particolari, che un eventuale operatore di pronto soccorso potrebbe scannerizzare all’istante. Alcune persone, sottolinea il Wsj , hanno invece già la lista dei contatti di emergenza salvata sul dispositivo.
La pratica, sottolineano però i detrattori, può avere implicazioni etiche negative, e anche dal punto di vista della sicurezza dei dati ci sono forti dubbi, visto che la tecnologia al momento non permette di cifrarli.
«L’uso di un tag è eticamente accettabile ad esempio per una persona che non può tenere una chiave a causa di un’artrite grave o che ha perso la mano – afferma ad esempio Arianne Shahvisi della Brighton and sussex Medical School -. Ma se si usano per persone con demenza per trasportare le informazioni che le identificano e per essere sicuri che non perdano le chiavi, potrebbe essere un problema, perché il paziente potrebbe non essere in grado di dare il proprio consenso informato».