Lui dice di essersi divertito, che lo scontro con la rivale Hillary Clinton è andato benone, ma i più concordano: è stato Donald Trump ad avere perso il primo dibattito presidenziale, il più atteso nella storia politica americana dell’epoca moderna.
Economia, commercio, politica estera, cyber attacchi, rapporti razziali i temi centrali, sui quali è stata battaglia. E se nella prima mezz’ora si è difeso abbastanza bene, il candidato repubblicano ha peggiorato la sua performance mentre la serata entrava nel vivo. Invece che mostrare calma, Trump ha preso di petto la rivale democratica attaccandola spesso inutilmente.
Invece che articolare risposte adatte per fare leva sugli elettori indecisi, ha cavalcato i soliti cavalli di battaglia che chi lo sostiene già conosce e approva: che farà di tutto per fermare la fuga di posti di lavoro all’estero e che lui non appartiene al passato della politica come l’ex segretario di Stato, nonché ex first lady ed ex senatore. Insomma, Trump è stato Trump su tutto. Anche quando ha attaccato Clinton, tornando a dire “che non ha il fisico” e sostenendo che ha sì esperienza, ma “cattiva”.
Invece che presentarsi come la persona ideale per guidare la prima economia al mondo, il miliardario di New York ha sfigurato. E i numeri parlano chiaro: secondo un sondaggio condotto da Cnn/Orc dopo il dibattito, il 62% degli intervistati ha detto che è stata Clinton ad avere vinto il primo dei tre confronti presidenziali. Lo ha fatto dimostrando sicurezza e contenimento, lasciando parlare a ruota libera lo sfidante, facendo in modo che il filo logico delle sue dichiarazioni si ingarbugliasse al punto che spesso la risposta lunga non aveva nulla a che fare con la domanda posta. Intanto lei sorrideva.
E quando arrivava il turno per riprendere la parola, Clinton tirava scherzosamente il fiato e diceva “Okay”. Come a dire, ora che hai finito di sproloquiare possiamo tornare a parlare di cose serie. “Prestate attenzione a cosa avete appena sentito”, ha detto Clinton rivolgendosi al pubblico, anche qui per sottolineare le assurdità pronunciate dal rivale. Un rivale che diversamente da lei si è ritrovato spesso sulla difensiva.
Se Trump ha messo a segno un punto a suo favore quando ha criticato la rivale democratica per avere cambiato idea sulla Trans-Pacific Partnership – l’accordo di libero scambio tra gli Usa e 11 nazioni che si affacciano sull’Oceano Pacifico definito originariamente da Clinton un “gold standard” per altri accordi commerciali e ora da lei bocciato – l’ex segretario di Stato è stata particolarmente efficace quando ha criticato Trump per la sua carriera imprenditoriale punteggiata di scorciatoie per eludere il Fisco americano e quando ha ricordato al pubblico gli appellativi denigratori da lui usati in passato contro le donne (“scrofe, sciatte e cagne”).
Lui ha tentato di difendersi accusandola così tanto – a volte correttamente, altre no – che lei ha replicato strappando sorrisi: “Ho il sentore che questa notte mi verrà data la colpa per qualsiasi cosa successa”. “Perché no?”, ha chiesto retoricamente lui. “Perché no? Già, perché no”, ha tagliato corto Clinton. Aggiungendo: “Ecco, unisciti al dibattito per dire solo cose pazze”. Lei lo sa – e lo ha detto a chiare lettere – che “le parole contano”.
“Se il motivo principale per cui credi di potere diventare presidente degli Stati Uniti sta nel tuo business, allora forse dovremmo parlarne”, ha tuonato Clinton: “Qualche volta non c’è un trasferimento diretto di competenze dal business al governo, ma talvolta quanto successo nel business sarebbe davvero negativo per il governo” pubblico.
Lui, accusato di molteplici bancarotte, di essersi auto-proclamato con vanto come il “re del debito” e di non avere retribuito molti dei lavoratori che gli hanno fornito servizi (incluso un architetto seduto tra il pubblico), si è rovinato con le proprie mani dicendo: “Approfitto delle leggi del Paese”. E vantandosi di avere recentemente aperto un hotel a Washington, a soli tre isolati dalla Casa Bianca, ha dichiarato: “Se non arrivo a Pennsylvania Avenue in un modo, ci arrivo in un altro”, riferimento al fatto che la residenza del presidente americano è al civico 1600 di quella via a Washington.
Clinton ha vinto anche sul tema delle tasse e sul rifiuto del rivale di pubblicare la sua dichiarazione dei redditi. “Ha qualcosa da nascondere: forse non è ricco come dice di essere; forse non è generoso in donazioni come si vanta; ha 650 milioni di dollari di debiti con le banche, anche straniere. Forse non vuole che il popolo americano sappia che non ha versato alcuna imposta federale”. Anche qui Trump si è vantato: “Ciò mi rende intelligente”. Secondo lui, “l’America non ha soldi perché sono stati sperperati dalle idee [di Clinton] nel corso del tempo”. Lei ha colto la palla al balzo insinuando: “O forse perché non hai pagato le tasse?”. E lui ha praticamente ammesso di non averle versate, grazie probabilmente alle scorciatoie fiscali di un sistema tributario di riformare: “Sarebbero stati (soldi) sprecati comunque”.
Il candidato repubblicano è poi tornato a dire che diffonderà la sua dichiarazione dei redditi “contro il volere dei miei avvocati quando (Clinton) pubblicherà le 33.000 email che ha cancellato”, riferimento alle comunicazioni non lavorative che il team di Clinton ha eliminato e dunque non consegnato al dipartimento di Stato quando l’emailgate è esploso e su cui l’Fbi ha indagato chiudendo il caso senza alcuna incriminazione.
Clinton ha astutamente risposto all’attacco sul suo uso di un account di posta elettronica privato quando era a capo della diplomazia Usa tagliando corto: “Ho fatto un errore”, ha detto. Trump ha replicato: “È stato più di un errore. Lo hai fatto di proposito”. Lei ha garantito che se dovesse “tornare indietro gestirei la cosa in modo diverso. Ma non ho intenzione di trova alcuna scusa. È stato senz’altro uno sbaglio e per questo mi prendo tutta la responsabilità”.
Consuelo
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The Truth about Huma Abedin that Media Matters Doesn’t Want America to See
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robyuankenobi
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