Attenzione, lo scontro tra la Russia e gli Stati Uniti ha raggiunto il livello di guardia. Quella in corso è di fatto già una guerra, indiretta, combattuta per interposta persona, dunque tramite Assad da una parte e i fondamentalisti islamici dall’altra. L’Isis, come sappiamo, è solo un pretesto: se volessero distruggerlo davvero ci sarebbero già riusciti. Ma c’è dell’altro: Washington è determinata a piegare la resistenza di Putin in Siria e a più ampio raggio anche a Mosca. Il vero obiettivo della Casa Bianca è proprio il capo del Cremlino, che è considerato come il maggiore ostacolo al disegno di dominio euroasiatico. “He must go”, ripetono a Washington.
Siria: la guerra continua, rottura tra Stati Uniti e Russia. Obama: sanzioni contro Putin
Putin lo sa e per questo resiste in Siria. Vuole dimostrare al mondo di saper tener testa alla Casa Bianca e di saper rispettare le alleanze anche fuori dai confini. Combatte per Assad ma anche, forse soprattutto, per se stesso: per non essere costretto a cedere a Mosca. Leggete attentamente la dichiarazione diramata ieri dal Cremlino:
Putin chiede che gli Stati Uniti abbandonino «la politica ostile» nei confronti della Federazione Russa, intendendo con questo: l’abolizione della cosiddetta Legge Magnitskij (sanzioni decise a Washington contro i protagonisti del caso dell’avvocato Serghej Magnitskij, morto in carcere a Mosca nel 2009) e delle sanzioni imposte per il ruolo assunto dai russi nella crisi ucraina ; e la «compensazione dei danni subìti dalla Federazione Russa come conseguenza delle sanzioni». Tutto questo, ha commentato il ministero degli Esteri russo, è un monito rivolto all’America, che «non può trattare la Russia da una posizione di forza».
Mosca, è scritto nella dichiarazione, è pronta a riprendere l’implementazione delle intese nucleari se Washington «eliminerà completamente le ragioni dello squilibrio politico, militare ed economico nel mondo. I passi che la Russia è stata costretta a compiere non intendono peggiorare le relazioni con gli Stati Uniti. Vogliamo che Washington capisca che non puoi con una mano introdurre sanzioni contro di noi, relativamente indolori per gli americani, e con l’altra mano continuare a cooperare nei settori in cui fa comodo. L’amministrazione Obama ha fatto di tutto per distruggere l’atmosfera di fiducia che avrebbe incoraggiato la cooperazione».
Mosca delinea con straordinaria chiarezza la propria posizione, dice a Washington che è finito il tempo dei distinguo diplomatici e che non accetterà il doppio linguaggio di Washington. O la pace è globale e totale o non se ne fa nulla.
La crisi è giunta a un punto molto critico. C’è da preoccuparsi.
di Marcello Foa
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Corriere del Ticino, che ringraziamo
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Nuovi populismi
Usa e Russia, ecco perché c’è un’altra Guerra fredda
Immaginatevi uno scontro titanico per la conquista del mondo, nel quale in Russia il neo-imperialismo di Putin ha un consenso popolare quasi assoluto, e negli Stati Uniti il candidato repubblicano alla presidenza elogia il russo come esempio da imitare. Lo sconto è impari. Anche se nella realtà oltre le ambizioni dichiarate, la crisi economica non può sostenere le ambizioni di Putin e i suoi patriottici sostenitori ne pagheranno un prezzo sociale; e la crescita americana consentirà agli Usa di mantenere il primato ancora per decenni, nonostante la riluttanza dei suoi capi.
In un certo senso è questo il punto più alto del populismo che sta crescendo in ogni parte del mondo: ciò che conta è la semplicità del messaggio, non quanto sia complesso realizzarlo. È in questo contesto che russi e americani hanno ricominciato a giocare la loro vecchia partita interrotta con la fine della Guerra fredda. Il conflitto in Siria ha provocato il gelo assoluto dei rapporti, che da tempo maturava. Gli americani non vi sono meno coinvolti dei russi: bombardano, hanno reparti speciali sul terreno e sostengono le opposizioni che vogliono far cadere il regime di Assad. Ma a differenza dei russi bombardano solo l’Isis, non combattono direttamente il regime e hanno molti dubbi sulle qualità dei ribelli che sostengono. Diversamente da Barack Obama che dalla Siria ha sempre mantenuto una certa distanza, Vladimir Putin vi è immerso fino al collo.
Ma la Siria, ormai, è solo uno dei teatri della battaglia: lo scontro è globale, come ai vecchi tempi. «L’Occidente deve capire che non è semplicemente il risultato di una Russia diventata autoritaria e nazionalista», spiega Dmitri Trenin del Carnegie Moscow Center, grande esperto dei rapporti fra i due Paesi. «La storia europea suggerisce che alla fine di un grande conflitto l’incapacità di creare un ordine internazionale accettabile per lo sconfitto, porta a un nuovo ciclo di competizione. La Guerra fredda era stata un grande conflitto e l’Unione Sovietica la grande sconfitta».
La Guerra fredda era stata un grande conflitto e l’Unione Sovietica la grande sconfitta”.
Era già accaduto con la Germania umiliata nel 1918 e ritornata molto più pericolosa di prima nel 1939. La storia non si ripete mai metodicamente, ma quasi: nel caso di Putin l’ideologia marxista è stata sostituita dal populismo autoritario. Per il resto, la stessa determinazione nel volere essere l’alternativa all’America ovunque sia possibile. La parte più preoccupante di questo scontro così totale e senza apparenti canali di comunicazione rimasti aperti come non accadeva dall’inizio degli anni ’80, è il nucleare. Come sempre. Forse non è credibile la minaccia di Putin, lunedì, di cancellare gli accordi sul taglio alla produzione del plutonio: un ingrediente fondamentale per costruire le bombe. Ma dalla crisi ucraina, non è la prima volta che il presidente russo minaccia di modificare gli equilibri nucleari in un modo o nell’altro.
Farlo nello strano mondo dell’Armageddon potenziale, che ha creato l’arma di distruzione assoluta per non doverla mai usare, è come violare un codice sacro e intoccabile, come superare una linea oltre la quale nessuno sa cosa ci sia. Solo l’uso effettivo della bomba è più pericoloso di questo. A dispetto del crescente livello di confronto, Usa e Russia non hanno intenzione di aumentare i loro arsenali, fermi a circa 1550 testate operative ciascuno. Ma hanno già iniziato la corsa al loro adeguamento tecnologico: meno care, più precise, più letali. Gli americani spederanno 348 miliardi di dollari l’anno fino al 2024, i russi prosciugheranno le loro risorse. Senza contare la ricerca di entrambi attorno al missile balistico ipersonico che non è un’arma nucleare – ha una testata convenzionale – ma è ideata per distruggere gli arsenali avversari: dunque parte del complesso sistema di equilibrio nucleare.
Le minacce potenziali sono quelle di sempre: è solo la consapevolezza di non poter distruggere l’altro senza essere a propria volta distrutti, che impedisce il disastro. Con qualche serio peggioramento: dal 2014, con la fine della partnership Nato-Russia, manca un canale di collegamento che impedisca malintesi e incidenti. I cieli e il mar Baltico non sono mai stati così affollati di aerei e navi da guerra. Ancora più pericolosa è la Siria, dove russi e americani sono fisicamente sul campo di battaglia. Sarebbe devastante se il messaggio populista cercasse di semplificare anche questa pericolosa stagione politica.
di Ugo Tramballi
Fonte: Il Sole 24 Ore