Senza interventi rapidi tra i 70mila e gli 80mila lavoratori di call center rischiano di perdere il posto: “una vera e propria bomba sociale”. E’ l’allarme lanciato dai sindacati a margine di un’audizione informale al Senato sulla vertenza Almaviva. Il monito arriva nel giorno in cui i lavoratori delle sedi di Palermo hanno proclamato due giorni di sciopero dopo il nulla di fatto di ieri al tavolo del ministero dello Sviluppo economico sulla questione del trasferimento a Rende, dal 24 ottobre, dei primi 154 dipendenti collegati alla commessa Enel, in scadenza a fine anno. Complessivamente la procedura interessa 397 persone. Occupata la sede storica di via Marcellini, dove per anni ha trovato spazio il maggior numero di dipendenti, alcuni dei quali ora minacciano il suicidio.
In vista della ripresa domani del Tavolo al Mise sulla commessa Enel di Palermo, il sindaco Leoluca Orlando e l’assessore alle Attività produttive, Giovanna Marano confidano “in un atto di responsabilità dell’azienda Almaviva. Il ritiro immediato dei trasferimenti ristabilirebbe difatti un clima più disteso, utile al confronto e alla ricerca di soluzioni che consentano un’applicazione della clausola sociale adeguata alle esigenze sociali e di prospettiva dello sviluppo locale”.
Per il segretario Slc Cgil Maurizio Rosso: “E’ chiaro che l’Slc non può accettare nessuna delle condizioni prospettate ieri al tavolo, in cui non vengono per nulla rispettate le clausole sociali. E il terribile ricatto sta andando avanti, una pistola puntata sui lavoratori a basso reddito, che sono nel panico. Hanno occupato la sede di via Marcellini, sono impazziti, minacciano il suicidio, di darsi fuoco. Non si gioca così con la vita delle persone“. Il governo – continua Rosso – “non può farci queste proposte. Non si può vendere al ribasso il lavoro e la dignità delle persone e i committenti di questo settore – aggiunge – che sono tutti multinazionali, e penso a Telecom, Enel, Poste italiane, non si possono più permettere di fare offerte al massimo ribasso sulla pelle dei lavoratori, uccidendo il lavoro. Questo Paese ha bisogno di una classe industriale e di una politica che affronti i problemi veri. Ci opporremo a queste proposte in tutti i modi e con tutte le forze”.
“Okkupata”, “Lavoro e dignita’”. “occupazione – delocalizzazione”, “Tripi l’unico esubero sei tu”, hanno scritto sugli striscioni esposti dai balconi. “Irricevibile” è definita da lavoratori e sindacati la proposta dell’azienda che si è aggiudicata il servizio, l’Exprivia di Molfetta, che prevede l’assunzione di 130 full time o, in alternativa, di 260 lavoratori a quattro ore, al terzo livello e senza scatti di anzianità. Si tratterebbe di un insoddisfacente paracadute che non coprirebbe tutti i 397 addetti coinvolti nella procedura. Uno sciopero scattato nello sconforto e nello scetticismo generale, tant’è che secondo quanto riferito da lavoratori di via Cordova, sono in pochi ad avere aderito alla protesta nella sede ubicata nel centro città. Domani è previsto un nuovo incontro al Mise.
Il 12 ottobre nel corso dell’incontro al ministero dello Sviluppo economico, davanti ai sindacati e al viceministro Teresa Bellanova, Almaviva aveva ribadito di non voler tornare indietro sui tagli e sui trasferimenti. L’azienda aveva confermato di non essere in grado di ritirare le procedure di mobilità per i 2.511 dipendenti di Roma e Napoli, né lo spostamento dei lavoratori da Palermo a Rende. Venerdì al ministero dello Sviluppo economico sono convocati Enel e il committente che si è aggiudicato la commessa, per affrontare il tema del cambio di appalto.
L’incontro del 12 ottobre rappresentava l’ultima speranza per i palermitani costretti a trasferirsi a 450 chilometri da casa. “Forse si riuscirà a ottenere l’applicazione delle clausole sociali, in base alle quali il nuovo committente si fa carico dei dipendenti rimasti senza lavoro impiegandoli nel loro luogo di residenza” aveva auspicato all’Agi Giovanni Gorgone, rappresentante sindacale unitario Cisl Palermo e Trapani e voce storica del call center di Palermo. “E’ una tragedia” aveva commentato Giovanni, “è impensabile per una persona che ha una famiglia. Gli stipendi sono bassi e non si riuscirebbe a sfamare anche una moglie disoccupata”. Quando è nata la figura di operatore di call center, spiega Giovanni, “sembrava un lavoro di passaggio, ma non è più così: è diventato il lavoro definitivo. Con questi soldi tiriamo avanti le famiglie. Non abbiamo alternativa”. (AGI)