Il racconto di uno dei 6 mila connazionali in Portogallo. Servizi efficienti, costo della vita inferiore e niente tasse.
Il nostro uomo a Lisbona si annuncia con un messaggio: «Ci vediamo davanti all’ingresso del mercato Do Ribeira, indosserò pantaloni azzurro chiaro e una polo melone». Piove, poi smette, poi tira vento. E sì, ci sono salite, ponti, discese, barche e ponti ancora, capelli sempre spettinati come canta Ivano Fossati. Ma in questa antica e bellissima capitale d’Europa sta succedendo qualcosa di nuovo, un’anomalia che può concorrere a spiegare l’aumento di un punto e mezzo di Pil previsto nel 2017. E la novità è proprio Valentino Cavallin da Rubano, Padova, il nostro uomo (nella foto). Uno dei 60 mila europei venuti qui a prendere la «residenza non abituale» per potersi godere la pensione senza pagare neppure un euro di tasse.
«Volevo andarmene dall’Italia comunque», premette Cavallin con orgoglio e polo effettivamente melone. «Sono sempre stato un viaggiatore. Mi piace la natura. Cammino tanto. Volevo chiudere in bellezza. Ma questo della pensione intera è stato un grande regalo, non si può negare. Diciamo la verità: è un porto franco. Un modo per attrarre capitali. Perché bisogna moltiplicare la mia vita per tutti quelli che stanno arrivando: paghi l’affitto, vai al ristorante, ti muovi, vivi, spendi. È naturale».
Il mercato Do Ribeira è stato ristrutturato da poco. Da una parte si comprano pesci enormi dai colori sgargianti, dall’altra si mangiano tutti i cibi del mondo. Siamo davanti al Tago, il grande fiume che costeggia Lisbona prima di tuffarsi nell’Atlantico. Il signor Cavallin ha preso casa sull’altra sponda. «Abitare in centro è proibitivo. Francesi, tedeschi e inglesi, soprattutto, stanno occupando interi quartieri. È la calata dei barbari. I prezzi lievitano di settimana in settimana. Ma non mi lamento, anzi. Alla fine ho trovato un alloggio ammobiliato di 70 metri quadrati a 525 euro al mese. Mi sono dovuto comprare soltanto la bilancia, i cuscini e una di quelle biciclette che si piegano, così posso portarla ovunque». Dopo dieci minuti di traghetto, ecco la strada di casa, naturalmente in leggera salita: «Ogni notte, prima di dormire, vado a camminare fino al molo».
Una vita di lavoro
Ma chi è il signor Cavallin? In che Italia ha vissuto prima di abbandonarla? «Ho lavorato nell’abbigliamento dal 1971. Operaio nel settore camiceria e capi spalla. Pisa, Asiago, Milano, Forlì. Avevo 22 anni quando ho cominciato. Mi sono messo per conto mio nel 1984. Ho avuto l’idea di dedicarmi all’abbigliamento per ciclisti. Eravamo io e mia moglie, casa e bottega. Siamo cresciuti lentamente. Ma nell’anno di grazia 2008 eravamo arrivati a 270 mila euro di utili con 18 dipendenti e 12 collaboratori esterni. Da allora, un lento e inesorabile declino». Si è arreso? «Al contrario, abbiamo provato a resistere. Tagli su tagli su tagli. Tiravamo la cinghia, ma non si poteva. Per quella mostruosità che sono gli studi di settore eravamo sempre fuori parametro. Il capannone era della stessa metratura di prima anche se le macchine erano tutte ferme e non cucivamo neppure un fazzoletto da naso. E quelli ci chiedevano le tasse di prima. Non si rendono conto… Artigiani che arrivano alla disperazione. Noi abbiamo chiuso e cercato un’altra vita». E così, dopo 45 anni di contributi e battaglie, alti e bassi, il signor Cavallin guarda il Tago, il Cristo Rei sul promontorio e la sua nuova situazione economica: «In Italia prendevo 2250 euro al mese. Qui, senza ritenute, arrivo a 3187,44. Ecco il pagamento di novembre».
Ottomila richieste, 5653 già accettate
È la terza pensione portoghese del signor Cavallin. La sua è una delle 8000 richieste di residenza non abituale presentate solo negli ultimi sei mesi: 5653 già accettate. Non serve molto. Un contratto d‘affitto e almeno 183 giorni all’anno di vita effettiva in Portogallo. L’addetta commerciale dell’ambasciata italiana, Cinzia Buraglini: «Quello dei pensionati italiani è un fenomeno recente, nonostante l’accordo sulla pensione risalga a 8 anni fa. Riceviamo moltissimi contatti. Chiedono informazioni, sono tentati. Ma non sempre il trasferimento si concretizza, soprattutto per il costo alto degli affitti». Esiste solo un altro posto nell’area europea dove è possibile usufruire dello stesso trattamento pensionistico: la Bulgaria. Ma il Portogallo ha un altro fascino. Nel 2010 i residenti italiani erano 2533, oggi sono 6832.
“Nuova Vita”
L’agenzia «Nuova Vita» di Altavilla Vicentina tiene a Lisbona due collaboratori che sbrigano le pratiche e formano una specie di comitato di accoglienza. Uno si chiama Carlo Salpato: «Come prima fase, organizziamo viaggi di una settimana. Offriamo un alloggio, ascoltiamo dubbi, diamo consigli, mostriamo la realtà». Nelle ultime settimane si sono trasferiti due cugini di Rimini, subito andati a testare il celebre locale da ballo «Beleza» lungo il fiume, e una coppia di Schio che ha scelto una casa al mare. Mentre sta per trasferirsi il signor Alfredo Caruso da Roma, dopo 42 anni di lavoro, di cui 32 da dirigente: «Ho 67 anni, sono un trapiantato di reni. Per me sarà tutto nuovo. Ma mi sento pronto per questo salto nel buio».
Lezioni di portoghese e voli low cost
«Nessuna nostalgia!» dice Cavallin, magnificando il panorama anche in una giornata eccezionalmente grigia. «Ormai l’Italia non è alla frutta, ma al conto. Sto consigliando a mia figlia Valentina di raggiungermi qui». E poi ti racconta delle lezioni di portoghese, dei voli low-cost, del caldo secco, della spiaggia su cui puoi camminare per chilometri e chilometri. Ma quello che forse lo ha colpito di più è questa dolcezza un po’ malinconica che è dappertutto, come un Fado. «Io non sono mai stato un rosso, un comunista intendo. Ma qui non ci sono i nostri eccessi. I ricchissimi e quelli senza niente. E in questa zona di mezzo, viviamo anche noi, sentendoci al sicuro». Ogni giorno, in piazza Chiado, viene omaggiata dai turisti la statua del sommo poeta Fernando Pessoa. Aveva scritto: «Siediti al sole. Abdica. Sii re di te stesso». Migliaia di pensionati europei ci stanno provando proprio qui, esentasse.
Fonte: La Stampa