In Italia infuria la battaglia politica sul referendum che si terrà il prossimo 4 dicembre. In questi infuocati giorni di campagna elettorale se ne sono sentite di tutti i colori, ma quella che fa rabbrividire molti cittadini italiani è lo scenario in base al quale una vittoria del no alla riforma costituzionale provocherebbe la caduta del Governo presieduto da Matteo Renzi e aprirebbe la strada ad un periodo di instabilità politica che si tradurrebbe in un forte rialzo del differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, il famoso “spread”, che darebbe il via ad una nuova pesante crisi economica, simile a quella portò alla caduta del Governo presieduto da Silvio Berlusconi.
Referendum, Financial Times: “Se vince il no, otto banche italiane rischiano di fallire”
Questo scenario, rilanciato dal quotidiano inglese “The Financial Times”, contempla un ricorso anticipato alle urne che vedrebbe la sconfitta del Partito Democratico e delle altre piccole formazioni filo europeisti ed un successo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, un partito definito antieuropeista. Il fronte degli euroscettici si ingrosserebbe ulteriormente grazie ad un’affermazione della Lega di Salvini e di Fratelli d’Italia della Meloni, favorevoli all’uscita dell’Italia dall’euro. Tra gli euroscettici viene annoverata pure Forza Italia, anche se la posizione di Silvio Berlusconi sull’Unione europea sono piuttosto ambigue.
Dunque, la vittoria del no e, quindi, la sconfitta di Matteo Renzi creerebbe quell’incertezza politica che farebbe esplodere lo spread e, quindi, dare il via ad una nuova puntata della crisi della moneta unica europea. Gli sfracelli prospettati dal Financial Times sono chiaramente interessati: l’establishment finanziario internazionale, che si era vanamente battuto contro la Brexit e contro Donald Trump, gioca ancora la carta della paura per sostenere il “suo” Matteo Renzi.
In realtà, il problema esiste ed è indipendente dall’esito della consultazione referendaria. Si sta dunque facendo un gioco sporco, imputando ai cittadini che non obbediscono più ai diktat dell’establishment la responsabilità di una nuova crisi dell’euro, che avverrebbe in ogni caso, ossia sia con una vittoria di Matteo Renzi sia con una sua sconfitta. Cerchiamo di spiegarci.
Il successo di Donald Trump è destinato a segnare l’inversione della tendenza alla diminuzione del costo del denaro. I rendimenti delle obbligazioni statali americane hanno cominciato a salire (e di conseguenza il corso di questi titoli a scendere). Un fenomeno analogo sta verificandosi in Europa. Infatti, storicamente quando il costo del denaro sale negli Stati Uniti, i tassi di interesse salgono anche in Europa. Il motivo del rialzo dei tassi è noto: il piano di investimenti infrastrutturali e di tagli delle tasse di Donald Trump provocheranno un’accelerazione della crescita e anche un aumento del deficit pubblico, facendo rinascere il timore dell’inflazione. Inoltre è oramai certo che in dicembre la banca centrale americana romperà gli indugi e alzerà i tassi guida. E’ pure probabile che l’anno prossimo la Federal Reserve attuerà altri rialzi con l’obiettivo di passare da una politica monetaria ultraespansiva ad una politica neutrale. Quindi è facile scommettere, come stanno facendo i mercati, che il costo del denaro è destinato a salire.
Anche in Europa i tassi hanno ripreso a salire: i rendimenti dei titoli decennali dello Stato italiano sono infatti aumentati di 70 punti base nelle ultime settimane. Sono dunque saliti più del doppio dei Bund tedeschi. Questo fenomeno non è accaduto solo per i titoli di Stato italiani, ma per i titoli di tutti i Paesi considerati “deboli”. Quindi, l’acquisto mensile di 80 miliardi di euro di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (Bce) non sembra più avere l’effetto di calmierare il differenziale dei tassi tra Paesi europei “forti” e Paesi “deboli”. Anzi, l’aspettativa di una tendenza all’aumento dei tassi sta spingendo molti investitori privati ed istituzionali a vendere i loro titoli per minimizzare le perdite. Queste vendite sono massicce nei Paesi più a rischio, come l’Italia. La conseguenza di questo processo, destinato ad ingrossarsi, è che le banche italiane già “piene” di titoli pubblici sono costrette a comprarne di nuovi, sapendo che l’unico acquirente all’orizzonte è la Bce. La conseguenza è che il calo dei corsi dei titoli statali è destinata ad appesantire i bilanci delle banche italiane che sono già in difficoltà per la grande quantità di crediti deteriorati. Insomma, il sistema bancario italiano, già con l’acqua alla gola per i “buchi” nel suo portafoglio crediti, rischia di finire sotto la linea di galleggiamento quando dovrà contabilizzare a prezzi di mercato la grande quantità di titoli statali che detiene. Da qui l’appello “disperato” alla Bce di aumentare la quantità di obbligazioni che ogni mese acquista nell’ambito del programma di Quantitative Easing, cui però si oppone la Germania.
Tutto ciò non ha alcuna relazione con l’esito del referendum del prossimo 4 dicembre. E’ però ovvio che l’establishment finanziario preferisca affrontare questa nuova puntata dell’agonia dell’euro con Governi, pronti a piegarsi ai vari diktat, piuttosto che con formazioni politiche che nutrono fieri dubbi sulla bontà dell’Unione monetaria europea. Da queste considerazioni deriva la campagna di paura volta a far prevalere il sì di Matteo Renzi. Sarà interessante verificare se falliranno anche in Italia, come è accaduto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, queste operazioni di manipolazione dell’opinione pubblica.
di Alfonso Tuor
Fonte: TicinoNews