Nel termometro di Standard&Poor’s – la principale agenzia di rating internazionale – la febbre delle banche italiane segna «6». È grave, dottore? In una scala di rischio che va da 1 (minimo) a 10 (massimo), i nostri istituti si piazzano nel segmento rosso della colonnina di mercurio. Nelle nostre stesse condizioni (in fatto di rischio) troviamo l’Irlanda – un paese che ha dovuto nazionalizzare quattro banche, prima di ritrovare una certa serenità – il Brasile, la Turchia e la Tailandia. Un po’ peggio di noi (al grado «7» di questa febbre del rischio) stanno le banche di Portogallo, Bulgaria, Slovenia, Croazia e Indonesia. Ma al livello «5», un gradino sopra l’Italia, troviamo Spagna e Polonia.
Il punto è che, come spiega Mirko Sanna, l’analista dell’agenzia specializzato nel settore bancario, il livello dei crediti deteriorati (tra sofferenze, incagli e sconfinamenti) rimarrà alto in Italia anche nei prossimi anni. «Lo stock dei crediti dubbi si è stabilizzato oltre i 300 miliardi di euro e se anche si facessero le cessioni annunciate si arriverebbe a 260 miliardi, che rappresenta il 15-16% dei prestiti. È positivo che ci sia una riduzione dei nuovi flussi, è un processo virtuoso, ma lo stock è alto e per smaltirlo ci vorrà del tempo».
Quanto tempo? Nel 2016 i crediti dubbi, calcolano da S&P, si sono ridotti «di appena il 3%» per piazzarsi al 19,3% del totale dei crediti (dato di giugno). Una cifra, si legge in uno studio appena pubblicato, che «difficilmente cadrà rapidamente in assenza di una forte ripresa economica e di un più efficace mercato secondario» di crediti dubbi. Sul primo punto la stessa Standard&Poor’s prevede per l’Italia, quest’anno, una crescita dello 0,8% e dello 0,9% nel 2019. Anemia totale. Quanto al mercato dei crediti dubbi, nonostante il Fondo Atlante (che finora, a parte salvare le banche venete, non ha potuto incidere sui crediti dubbi), l’agenzia prevede un aumento degli accantonamenti in vista di perdite legate ai crediti per facilitarne la vendita. Le banche si preparano ai saldi pur di liberarsi della patata bollente di sofferenze e incagli: ci sono fondi in giro per il mondo che si preparano a fare affari.
Il governo, nel procedere al salvataggio del Monte dei Paschi, ha disposto un fondo di 20 miliardi di euro per sostenere gli istituti in difficoltà. Soldi, secondo Sanna, che «serviranno ad alleviare i problemi di alcune banche deboli, a rassicurare depositanti e obbligazionisti» ma «non a risolvere tutte le criticità del settore, cicliche e strutturali». Tutto negativo, dunque? Non proprio. L’agenzia di rating prevede un moderato aumento della profittabilità degli istituti di credito nei prossimi due anni anche grazie alle azioni delle banche sul fronte del taglio dei costi (sparirà il 20-30% delle filiali). Ma il futuro non sarà roseo.
Proprio oggi poi, c’è attesa per la decisione di un’altra agenzia di rating, la canadese Dbrs sul merito di credito dell’Italia. Che impatti avrebbe un declassamento dell’Italia. «L’impatto di un downgrade non sarebbe chiaramente positivo ma comunque limitato – dice Sanna -. Bisogna considerare che le banche italiane utilizzano pochi titoli di Stato come collaterale, usano soprattutto altri tipi di titoli».
Fonte: La Stampa