Fino a una decina di anni fa, ovvero fino allo scoppio della lunga crisi in cui ancor oggi siamo impigliati, la società italiana poteva, con qualche approssimazione, essere descritta mediante lo schema delle “due società”, una felice espressione dovuta ad Alberto Asor Rosa (che la coniò nel lontano 1977). Da una parte il vasto mondo dei garantiti, fatto di dipendenti pubblici e di dipendenti privati protetti da Statuto dei lavoratori e sindacati
Dall’altra la società del rischio, fatta di lavoratori autonomi, dipendenti delle piccole imprese, lavoratori precari delle imprese maggiori. Una frattura, questa fra le due società, che gli studiosi del mercato del lavoro preferivano raccontare con il concetto di dualismo, sottolineando le enormi disparità presenti nel mercato del lavoro italiano fra lavoratori protetti e lavoratori non protetti in materia di licenziamenti, infortuni, malattia, cassa integrazione, disoccupazione.
Oggi quella frattura esiste ancora, seppur attenuata dalle norme introdotte dal Jobs Act. Accanto ad essa, tuttavia, nel decennio della crisi si è aggravata una ulteriore, ancor più profonda, frattura: quella fra le prime due società (delle garanzie e del rischio), e la Terza società, la società degli esclusi.
Chi sono i membri della Terza società? E che cosa li distingue da quelli delle prime due società?
Fondamentalmente la loro esclusione dal circuito del lavoro regolare. Della Terza società fanno parte i lavoratori in nero, i disoccupati in senso stretto (che cercano attivamente lavoro), e i disoccupati in senso lato (disponibili al lavoro, anche se non ne stanno cercando attivamente uno). Complessivamente si tratta di circa 9 milioni di persone, ovvero di un segmento della società italiana che ormai ha raggiunto una dimensione comparabile a quella degli altri due. Un segmento che, negli anni precedenti alla crisi superava di poco i 6 milioni di persone, ma negli anni fra il 2007 e il 2014 è letteralmente esploso, con un incremento del 40% in soli 7 anni.
Si potrebbe supporre che la presenza di una sacca di esclusi sia un fenomeno sostanzialmente fisiologico delle società avanzate, specie dopo la lunga crisi che ha colpito le loro economie in questi anni. Il Dossier della Fondazione Hume sulla Terza società mostra però che, in Europa, solo Grecia e Spagna hanno una quota di esclusi superiore a quella dell’Italia, mentre paesi come Germania, Regno Unito, Francia, Austria, Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia, hanno quote prossime a metà della nostra.
Ma è soprattutto l’analisi del passato che ci aiuta a capire l’importanza della Terza società in Italia. Se, con l’aiuto dei non molti dati statistici disponibili, proviamo ad andare a ritroso nel tempo, scopriamo che la Terza società emerge e riemerge, come un fiume carsico, in diversi periodi della nostra storia. Nei settant’anni che vanno dalla fine della seconda Guerra mondiale ad oggi, la Terza società è stata in rapida espansione in almeno tre lunghi periodi: il periodo 1963-1972, quando l’apparato produttivo italiano si è ristrutturato espellendo forza lavoro debole, un processo a suo tempo descritto da Marcello De Cecco come risposta «ricardiana» alla crisi; gli anni 80 e i primi anni 90, che furono anche gli anni centrali del lungo processo di «scomparsa dell’Italia industriale», a suo tempo descritto da Luciano Gallino; e infine il decennio della lunga crisi iniziata nel 2007, in cui il peso della Terza Società è tornato a crescere a ritmi molto intensi.
In ciascuno di questi tre periodi la Terza società ha accresciuto in modo sensibile il proprio peso rispetto alle altre due, e nell’ultimo, secondo la ricostruzione della Fondazione Hume, ha toccato il suo massimo storico. Oggi, fatta 100 la popolazione attiva o potenzialmente attiva, circa il 30% appartiene alla Terza società, ovvero si trova in una condizione di esclusione.
Sarebbe un errore, tuttavia, pensare a questo segmento della società italiana solo e semplicemente in termini di povertà, emarginazione, deprivazione. Della Terza società fanno parte i disoccupati in senso stretto (che cercano attivamente un lavoro), e molti lavoratori in nero sfruttati e sottopagati. Ma in essa rientrano anche soggetti per i quali il lavoro irregolare è una scelta, o soggetti che non cercano attivamente lavoro perché possono permettersi di non lavorare, come accade per una frazione non trascurabile delle casalinghe e dei cosiddetti Neet (giovani Not in Employment, Education, or Training). La Terza società, in altre parole, è sociologicamente una realtà bifronte, fatta di ceti bassi, in condizioni di povertà assoluta o relativa, ma anche di ceti medi, che sopravvivono grazie al lavoro retribuito dei familiari e alle risorse accumulate dalle generazioni precedenti.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se la Terza società abbia anche qualche tipo di rappresentanza nel sistema politico, ovvero quali siano i partiti che meglio riescono ad intercettarne il consenso. Ebbene, anche su questo punto il dossier della Fondazione David Hume fornisce qualche informazione utile, basata su un sondaggio commissionato alla società Ipsos. Considerata nel suo insieme, la Terza società si distingue dalla prima e dalla seconda per la sua preferenza per il Movimento Cinque Stelle e per la sua refrattarietà verso Pd e Forza Italia, i due architravi del sistema politico della seconda Repubblica. Se consideriamo separatamente i suoi tre segmenti, lavoratori in nero, disoccupati e scoraggiati, possiamo inoltre osservare che i lavoratori in nero prediligono anche l’estrema sinistra e Fratelli d’Italia, i disoccupati guardano con interesse alla Lega e ai piccoli partiti di centro, mentre i lavoratori scoraggiati (che hanno smesso di cercare lavoro) si orientano in modo più massiccio di qualsiasi altro gruppo sociale verso il movimento Cinque Stelle, che qui raccoglie oltre il 50% dei consensi.
Difficile dire quali conseguenze potrà avere, nell’immediato futuro, la crescita dell’esercito degli esclusi, massicciamente sovrarappresentati nelle regioni del Mezzogiorno. Possiamo osservare, tuttavia, che le due precedenti grandi onde di espansione della Terza società, quella degli anni ’60 e quella degli anni ’80, sono terminate entrambe con una crisi politica e un radicale cambio di stagione. La prima onda è sfociata nel Sessantotto, ossia nel grande ciclo di lotte che ha coinvolto studenti, operai e donne fra il 1968 e il 1976. La seconda onda è sfociata nel cambio di regime del 1992-1994, con Mani pulite e il crollo dei partiti della prima Repubblica. Resta da vedere se anche la terza onda anomala, quella che si è dispiegata nel decennio della lunga crisi, produrrà un nuovo terremoto nella società italiana.
di Luca Ricolfi
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Sole 24 Ore, che ringraziamo
segnalato da: mazzoni
Elmoamf
119 commenti
popolarità 176
In quest’ultima parte cercherò, per quanto posso, di rimanere sul terreno calpestabile e pragmatico al quale sia Cesare che Belfagor mi hanno indirettamente chiesto di attenermi.
Partirò pertanto da un altro spunto che l’articolo ha richiamato alla mia attenzione.
Il seguente estratto mette in evidenza alcune conclusioni del tutto conformistiche e prevedibili quanto volutamente suggerite all’opinione pubblica di massa per orientarla verso i soliti preconfezionati (come sopra… o meglio sotto… richiamato) clichè standardizzati:
“Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se la Terza società abbia anche qualche tipo di rappresentanza nel sistema politico, ovvero quali siano i partiti che meglio riescono ad intercettarne il consenso. Ebbene, anche su questo punto il dossier della Fondazione David Hume fornisce qualche informazione utile, basata su un sondaggio commissionato alla società Ipsos. Considerata nel suo insieme, la Terza società si distingue dalla prima e dalla seconda per la sua preferenza per il Movimento Cinque Stelle e per la sua refrattarietà verso Pd e Forza Italia, i due architravi del sistema politico della seconda Repubblica. Se consideriamo separatamente i suoi tre segmenti, lavoratori in nero, disoccupati e scoraggiati, possiamo inoltre osservare che i lavoratori in nero prediligono anche l’estrema sinistra e Fratelli d’Italia, i disoccupati guardano con interesse alla Lega e ai piccoli partiti di centro, mentre i lavoratori scoraggiati (che hanno smesso di cercare lavoro) si orientano in modo più massiccio di qualsiasi altro gruppo sociale verso il movimento Cinque Stelle, che qui raccoglie oltre il 50% dei consensi…”
Un passo del genere presuppone aprioristicamente l’inesistenza di altre realtà polito-ideologiche altrimenti presenti nel panorama dello scibile umano italiano.
Realtà che effettivamente esistono e sopravvivono e tentano dal proprio embrione di svilupparsi per poi radicarsi nel complesso divenire sociale delle umane genti italiche.
In quest’epoca talmente social ove le identità partitiche si autoaffermano attraverso un tweet… il lavoro costruttivo quanto estremamente faticoso della militanza formale, individuale e sociale è totalmente escluso dall’analisi giornalistica che si poggia esclusivamente sugli equilibri di forza determinati da quelle entità autoreferenziali che possono vantare un preciso “ordine di presenza”.
L’ordine di presenza è dettato dalla capacità e quindi dalla facoltà che l’ intellighenzia mediatica (frutto e fonte di un evidente potere prestabilito ed intuitivamente riconoscibile o meglio ascrivibile ad un determinato conformismo di potere) ha di presentare le reali forze in campo.
Parallelamente tali forze sono in grado di dimostrare la loro presenza in campo solo a scapito di un compromesso castrante con l’intellighenzia mediatica portatrice di quegli interessi precostituiti che annichiliscono ogni effettiva esigenza d’informazione.
Va da se che l’esistenza di una terza Via [e non nei termini che paventa (tragicamente auspicandoli) l’autore] non sarà mai possibile… in quanto essa stessa non ricompresa nelle necessità di un una comunità o meglio di una classe intellettuale estremamente ed apocalitticamente compromessa con un elite invasa da delirio d’onnipotenza schizofrenico.
In un tale quadro tristemente decadente ed estremamente deprimente possiamo Noi dirci perduti e quindi inesorabilmente arrenderci?
Io direi di No.
Richiamando quanto già espresso nell’intervento sul Conflitto Sociale…: in situazioni di Crisi emergono invariabilmente quelle intellettualità capaci di dar forza e concretezza ad un progetto… Comune!!!
Un saluto
Elmoamf
Elmoamf
119 commenti
popolarità 176
In questa seconda parte dell’intervento vorrei porre l’accento sulla contrapposizione evidente (ma solo per alcuni ahimè) tra la genesi della costruzione normativa sovrannazionale europea (e non..!) e le motivazioni sostanziali che hanno animato lo spirito della ns Carta Costituzionale.
Il sogno di un mondo senza conflitti è albergato da sempre negli animi nobili che hanno tentato (attraverso il tempo, attraverso le ere ed i secoli) di stabilire un quieto vivere tra gli uomini… ma un sogno resta un’utopia infranta ed imaginifica se non sugellato nella concretezza dell’esistenza materiale e di conseguenza supportatato da solide basi che ne sorregano fermamente la struttura… a costo di ogni sobbalzo, scossone o spallata “emergenziale”.
I principi inderogabili del viver comune devono poggiare indissolubilmente su pochi ma essenziali elementi, dettati dalla coerenza, condivisione e compartecipazione dei valori rispetto ai quali “insieme” si voglia partecipare alla costruzione della Civiltà che si abbia l’obiettivo sincero e fermo di edificare.
Si può essere critici su alcuni punti che emergono dal dibattito, rispetto alla forma o agli strumenti o ai percorsi più consoni o adeguati, si può essere non completamente concordi, dissenzienti, profondamente discordi o contrari rispetto a tali forme o strumenti o percorsi ma si sposa tutti insieme un progetto generale fondamentale che rimane d’ispirazione comune rispetto agli scopi ed agli obiettivi finali che ognuno (singolarmente o in associazione con altri) si prefigge di raggiungere.
All’alba della nascente Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (la CECA per intenterci – 1951… preveggenza di nome e di fatto per ironia della sorte “etimologica”) gli animi delle diverse comunità continentali costituenti l’attuale Mostro Giuridico impersonato dalla UE e dal suo braccio armato (UEM), diversamente, erano ispirati da obiettivi assai controversi, opposti, contendenti e antagonistici tra di loro!
In un simile e singolar tenzone, ipotizzare l’edificazione di una società civile comune basata sulla condivisione d’intenti e sulla prospettiva di una futura condivisione delle difficoltà e delle diversità presenti tra le varie anime costituenti era e rimane una pura Utopia.
Dal punto di vista strettamente normativo, senza necessariamente dover far ricorso alle spinte centrifughe (o centripete) delle varie crisi economico-sociali (a livello continentale come a livello globale) succedutesi, è evidente (ma solo per alcuni… appunto!) come l’impianto normativo della ns ancora vigente Carta Costituzionale (che in alcune delle sue estremità ha indubbiamente subito modifiche biologiche incompatibili con il suo organico assetto generale)… confligga inevitabilmente con il susseguirsi di enunciazioni, esplicazioni e trattazioni delle regolamentazioni sovrannazionali espresse dalla burocrazia continentale (e non..!)
Il tentativo di snaturare, financo a trasmutare gli effettivi obiettivi della ns Costituzione sì è tradotto in un goffo quanto singolare aborto normativo capace di generare il famigerato “pareggio di bilancio” (in antitesi stessa dei valori fondanti la Costituzione e delle conseguenziali prescrizioni della sua parte economica espressi ed ampliati negli articoli dal 35 al 47).
Capace di produrre una proposta di modifica costituzionale presentata di recente all’elettorato (ignaro ed assuefatto da anni di politiche si spersonalizzazione della comunità e distruzione dell’intima connessione dell’individuo con la sua controparte sociale) auspicando e confidando in un largo quanto asettico, aprioristico e genuflesso consenso che paradossalmente (grazie a fattori ravvisabili e legati più all’emotività che all’esigenza primitiva quanto non cosciente di sopravvivenza… individual-sociale… appunto!) ha esposto lo stesso progetto ad una delle più cocenti sconfitte politiche della storia recente dell’occidente.
Non volendo entrare appositamente nel completo merito del conflitto tra normativa costituzionale e normativa sovrannazionale… questione che richiederebbe più ampi e solleciti spazi che qui probabilmente non è il caso di esporre… mi limito ad affermare come il rinnegamento degli obiettivi primari della ns costituzione in nome di una rivendicazione velleitaria di un posto al solo della ns Nazione nei paradisi delle Elite TransNazionali moderni abbia avuto come unico effetto la morte della società alla base della quale quella stessa Nazione era stata edificata… in nome della Repubblica Costituzionale… in nome della Repubblica fondata sul lavoro e sulla condivisione sociale… in nome della Repubblica edificata su valori e principi di solidarietà internazionle…
In nome di un non mai ben precisata appartenenza all’Elite abbiamo sacrificato tutti i nostri principi di solidarietà sociale e di riconoscimento della piena libertà e capacità del singolo individuo, sia in quanto espressione unica del genio umano sia nella sua altrettanto geniale espressione di umana socialità!
To be continued…
Elmoamf
Elmoamf
119 commenti
popolarità 176
E chi tardi arriva male alloggia.
L’assemblea nazionale del PD è già in corso e, nel bene o nel male, segnerà i destini della Storia.
Non tutti certamente ma almeno quelli dell’amara Storia dell’Italia moderna, fatta d’ipocrisia, pressappochismo, opportunismo e individualismo senza vie d’uscita.
Ciò non di meno, una risposta approfondita e nel merito rispetto all’intervento di Belfagor e a quello di Cesare poi, era dovuta. Mi accingo pertanto nel trattare quei punti che in precedenza avevo individuato, partendo appunto dal Primo:
Il conflitto sociale!
Traggo dal testo dell’articolo il seguente spunto:
“Difficile dire quali conseguenze potrà avere, nell’immediato futuro, la crescita dell’esercito degli esclusi, massicciamente sovrarappresentati nelle regioni del Mezzogiorno. Possiamo osservare, tuttavia, che le due precedenti grandi onde di espansione della Terza società, quella degli anni ’60 e quella degli anni ’80, sono terminate entrambe con una crisi politica e un radicale cambio di stagione. La prima onda è sfociata nel Sessantotto, ossia nel grande ciclo di lotte che ha coinvolto studenti, operai e donne fra il 1968 e il 1976. La seconda onda è sfociata nel cambio di regime del 1992-1994, con Mani pulite e il crollo dei partiti della prima Repubblica. Resta da vedere se anche la terza onda anomala, quella che si è dispiegata nel decennio della lunga crisi, produrrà un nuovo terremoto nella società italiana.”
Questa parte del testo maschera innumerevoli letture distorsive della realtà ma ha il pregio di focalizzarsi sulla prospettiva pratica degli eventi.
Le letture distorsive riguardano quegli intenti poi non tanto nascosti di pilotare l’opinione pubblica di massa verso conclusioni preconfezionate sugli aspetti populisti e sulle derive che un certo malcontento rischia di scatenare, ponendo l’accento (sottinteso) di un necessario cambiamento che passi però attraverso l’accettazione della leadership dell’attuale establishment, quale porto più sicuro per la salvezza di tutti… anche a costo di rinunciare (e qui si annida l’inganno) a parti crescenti delle proprie libertà individuali e dei propri diritti sociali, in nome di una presunta sicurezza ancora tutta da definire nei suoi contorni, confini, limiti e recinzioni.
Il pregio della focalizzazione sulla praticità degli eventi, per contro, mette in luce il fermento che ogni situazione di crisi inevitabilmente genera. Fermento che non può e non deve necessariamente essere analizzato dal lato estremo della deriva ma, al pari, può rivelarsi invece foriero di “Rinascimento”.
Il Rinascimento di un fermento intellettuale capace di germogliare tra le rocce e fortificare le radici nel solco delle difficoltà e degli ostacoli apparentemente insormontabili.
Un parallelo potremmo trarlo in quel periodo a me caro della Costituente ove i resti di un Italia dissipata si riunirono con serietà e responsabilità per redarre una Carta dei Diritti o, meglio ancora, dei principi fondamentali dai quali quei diritti avrebbero dovuto discendere, e che portò a quel biennio di confronto costruttivo e sostanziale che diede vita alla fiera Repubblica.
Un approccio alla realtà, che facendo leva (da un lato) sulle oggettive e pratiche criticità e conflittualità presenti e (dall’altro) sulla sfida che le diverse anime che alimentavano il dibattito ponevano in essere in termini di idealità (e quindi quel sottostrato politico-sociale-ideologico) del futuro assetto sociale, capace di confrontarsi, condividere ed infine sintetizzare in Norme “scolpite” nelle successive Istituzioni (materiali ed immateriali) le necessità di una comunità e di un popolo.
Ci sarebbe da chiedersi, oggi, se un simile Humus sia presente nella società italiana.
Un classe “intellettuale” capace di assumersi la responsabilità di proporre, esplicare, far comprendere e condividere regole che vadano nella direzione di un reale interesse Nazionale… intendendo con quest’ultimo termine la capacità di una comunità di riconoscersi in un popolo prima ed in una nazione poi… infine di riconoscersi in una identità sociale capace di condividere con il prossimo nel rispetto della propria dignità e non nella sottomissione al dovere o potere altrui!
Il Conflitto sociale si genera pertanto nelle contraddizioni imposte, nelle contraddizioni velate da un falso allargamento dei diritti che altro non genera che annacquamento degli stessi, livellando i bisogni e le necessità delle persone ai livelli più bassi, in nome di un presupposto falsamente meritocratico e di concorrenza che basa diversamente i suoi scopi sull’istinto di sopravvivenza e sulla preservazione del potere di chi quell’istinto provoca e dirige a suo esclusivo uso e consumo.
La solidarietà nasce dalla condivisione e non dalla competizione.
Il mantra moderno invece c’impone altro.
Ci impone non certamente la necessità di mettersi in gioco ma la capacità di non farsi scrupoli se saremo costretti a passare sopra il cadavere del ns prossimo se saremo costretti.
La costrizione è l’anima del paradigma moderna che alimentando paure, insicurezze e precarietà di ogni tipo… costringe l’individuo a scollarsi dalla sua anima sociale per divenire un cinico e freddo “consumatore” dell’esistenza.
To be continued…Elmoamf
Cesare58
360 commenti
popolarità 544
Il punto non è quale partito voteranno questi esclusi dal mondo lavorativo in quanto è scontato che il loro voto sarà un voto di protesta, ma se è possibile arginare questa crescita, se è una crisi sistemica o se nasce da errori madornali compiuti per ignoranza governativa o pressioni esogene subite dal Paese e a cui il governo non ha saputo o voluto opporre l’adeguata resistenza. Io penso che l’ultima ipotesi sia quella più credibile in quanto le testimonianze di chi nel ventennio scorso era nelle stanze dei bottoni dimostrano che vi era la consapevolezza del declino in cui ci stavano introducendo. E’ ovvio che se voglio ridurre il numero dei disoccupati non posso agevolare la delocalizzazione produttiva, devo incentivare gli imprenditori ad investire, devo costruire un sistema Paese che sia adatto ad attrarre capitali e investitori, non posso avere un sistema fiscale vessatorio e iniquo soprattutto in confronto agli altri Paesi industrializzati. Quando parliamo di disoccupati parliamo di lavoro, parliamo di impresa, di utili, fisco, imposte, burocrazia, finanza, quindi inutile fare pensieri astratti e filosofici sulla distribuzione del reddito se non sappiamo una fava di come si produce quel reddito, se pensiamo che i soldi nascano sotto i cavoli, se pensiamo che per diminuire i disoccupati basti assumere qualche milione di statali e alzare la pressione fiscale per mantenerli. L’economia, questa brutta bestia è come un motore di una automobile e per girare bene necessita di tutta una serie di meccanismi che devono essere complementari gli uni agli altri, non esistono alternative percorribili, non esiste un’economia da figli dei fiori o da filosofici sistemi distributivi basati su redditi che non verrebbero più prodotti. La filosofia distributiva socialista del distribuiamo il reddito che produci tu, ma non quello che produco io, nasce da chi la gobba non l’ha mai piegata, o l’ha piegata per forza e senza particolari capacità invidiando il successo altrui, è l’antitesi della meritocrazia. La redistribuzione del reddito deve avvenire premiando un sistema meritocratico che se nell’impresa avviene con gli utili prodotti, nel settore statale avviene con i risultati e l’impegno che portano a riconoscimenti e carriera premiale, solo così lo Stato può avere le risorse per un welfare adeguato e per assistere gli ultimi, altrimenti il sistema come attualmente sta avvenendo, implode e i primi a risentirne sono i più bisognosi. Non esiste un mondo di tutti ricchi, esiste però un mondo di tutti poveri e sono i paesi socialisti e se è sempre stato così ci sarà ben un motivo? Stalin, Mao, Fidel, Pol Pot, sono serviti a qualcosa o la loro lezione non è servita a nulla? Questo per alcuni chiarimenti riguardo il “problema disoccupazione e terza società” se poi vogliamo filosofeggiare sul perchè ci affanniamo a produrre e impegnarci nella ricerca di un benessere sia materiale che spirituale allora si apre un cosmo di riflessioni che però sono assolutamente estranee alla soluzione dei problemi che ho più sopra delineato.
La ricerca del benessere è implicita nella ricerca di una gratificazione esistenziale, nella costruzione di un qualcosa che testimoni il nostro breve passaggio terreno. L’impegno in qualsiasi attività da un senso allo scorrere del tempo, ci fa sentire utili e ci avvicina agli altri creando quella comunità di intenti di cui è costituita ogni società. Cos’è che ci da la forza di proseguire nei momenti di difficoltà, cosa ci aspettiamo dalla vita? A volte mi sento come paracadutato in una realtà che non riconosco come tale, mi sento come un corpo alieno e di tutte le risposte che potrei dare all’enigma del senso dell’esistenza non ve ne è una che io trovi accettabile e convincente. Ci creiamo dei meccanismi di distrazione che portano la nostra mente a non affrontare quesiti irrisolvibili, tentiamo di rimandare la resa dei conti con la nostra spiritualità, ma alla fine siamo obbligati a sprofondare negli abissi dell’immateriale, nel buco nero della dimensione temporale da cui usciamo ogni volta annichiliti e storditi, consci dell’inutilità del nostro fare, ma altrettanto convinti della mancanza di alternative. Il mattino successivo ci alziamo e tutto torna come prima, abbiamo resettato le nostre ansie e cerchiamo come sempre un minimo di soddisfazione dal nostro fare, cerchiamo di dare una mano a chi ci sta vicino, cerchiamo di vivere, semplicemente di vivere perchè questo è quello che sappiamo e dobbiamo fare.
Elmoamf
119 commenti
popolarità 176
Un saluto
Elmoamf
belfagor
412 commenti
popolarità 232
ciao e buona giornata a tutti, grazie Elmoamf, aspetto la tua risposta
Elmoamf
119 commenti
popolarità 176
Non mi sforzo di nascondere, certamente, la mia scarsa affinita intellettuale con L. Ricolfi… anzi a maggior ragione, certe affermazioni ivi contenute non fanno che rafforzare la mia scarza opinione a riguardo di questo autore.
Ciò non di meno, gli interrogativi che pone in essere in questo testo, partendo da quella che ritengo (ad ogni modo) una superficiale analisi della realtà, aprono una stimolante parentesi di approfondimento sugli aspetti sociologici nei quali gli individui della Civiltà Moderna si muovono e interagiscono, infine, agiscono e reagiscono!
L’argomento non può certamente esaurirsi in una mera sintesi delle intenzioni di voto sull’analisi del peso elettorale di determinati movimenti e partiti rispetto all’attuale costrutto sociale.
Gli spunti toccano più risvolti dello sviluppo socio-politico-economico odierno e più livelli d’interpretazione fattuale delle conseguenze, a seconda dei privilegiati, interessati o meno, punti di vista.
Lo scollamento sociale individuato da L.R. è assai riduttivo, datosi il fatto che uno scollamento tra classi meno o più abbienti è sempre esistito e che la capacità di percezione o meno di tale scollamento sì è dimostrata essere da sempre la coscienza critica dell’individuo il cui intelletto abbia saputo comprendere i segni della realtà rispetto ai principi e diritti fondamentali che la società, nel suo complesso, sia riuscita a rivendicare e far valere per tutti.
In tal senso, il segno dei principi costituzionali delle nazioni e dei popoli emersi nel contesto e nel solco dei principi fondamentali delle “Grandi Rivoluzioni” e formatisi o riformatisi all’alba del secondo dopo guerra in precisa determinazione dei valori fondanti una comunità ed un popolo, rappresenta di per se già un ampio e profondo spartiacque tra la realtà disegnata dai media mainstream (in bilico tra show-business e melting-pop) e la sostanzialità da un lato popolare e dall’atro intellettuale delle “classi intermedie e subalterne”.
Sostanzialità che si esplica nel confronto diretto con le difficoltà quotidiane che danno luogo a conflitti, incomprensioni o tentativi di comprensione di una realtà ai limiti del paradossale e sempre più simile ad una sceneggiatura cinematografica ove il bene ed il male vengono variopintamente quanto assurdamente divisi e distinti in termini assoluti senza lasciar spazio a zone grigie o d’ombra (il male come il bene non può esistere solo da una parte e nulla dall’altra) ed ove vige sempre la speranza di un lieto fine… per chi cede ai propri diritti…Qui mi fermo ma solo per stimolare ulteriormente il dibattito, conscio delle innumerevoli imprecisioni o meglio eccessive sfumature di significato che volutamente ho lasciato trasparire, per suscitare ulteriori argomenti di dibattito.
Un saluto,
Elmoamf
nerio
427 commenti
popolarità 337
ronin
1400 commenti
popolarità 1604
BERNANOS CONTRO I ROBOT. OSSIA IL PROGRESSO COME APOCALISSE.
Maurizio Blondet
http://www.maurizioblondet.it/bernanos-robot-ossia-progresso-apocalisse/
Nel 1944 Georges Bernanos, il tormentato scrittore cattolico (il suo capolavoro è il Diario di un curato di campagna) pubblica una furibonda raccolta di invettive contro la società industriale. Vista la data, è dir poco definirlo profetico fin dal titolo: “La France contre le robots”. Gridava ai contemporanei di diffidare del benessere promesso dalle industrie di massa, liberatrici dei poveri: “Ci sarà sempre più da guadagnare a soddisfare i vizi dell’uomo che i suoi bisogni”. E’ un’agghiacciante verità che possiamo comprendere noi, 70 anni dopo, nell’epoca del Viagra, delle droghe “ricreative”, dei gay pride, del diritto al piacere, e della pornografia di massa.
…
Elmoamf
119 commenti
popolarità 176
Personalmente non apprezzo l’autore L.R., ma è una mia pregiudizievole riflessione o limitazione.
Resta, in tutta la sua potenziale espressione, il contenuto essenziale della “pubblicazione”.
Spero, infatti, che tale contenuto possa dar origine… o generare un fiume di commenti n grado di interpretare criticamente ed asetticamente i tempi presenti della Civiltà Moderna.
Mi scuso a priori per l’utilizzo reiterato di un determinato e determinabile concetto quale Civiltà Moderna… ma lo faccio solo per tracciare un solco epocale tra ciò che ci ha preceduto e ciò che inevitabilmente ci aspetta!
La Terza Via…
Il Quarto Stato…
Sono stati evidentemente già siluppati in termini di letteratura storica.
Oserei proporre una lettura più terra/terra… Io che terra/terra non sono mai stato in grado di essere…
E la lettura… quanto lo sperabile dibattito che ne seguira (… e del quale auspico sicuramente il Vs intervento… l’intervento di Voi tutti)… ritengo debba incardinarsi sulla riflessione (critica appunto) rispetto alla ns missione in questa società ?!?
Una missione, che al netto dei ns stretti interessi personali, dovrebbe produrre un ampio punto interrogativo con riferimento alla ns stessa esistenza e ragion d’essere!
Per quale motivo ci affanniamo?
Per quale motivo combattiamo… per un ideale o per un singolo, spietato, cinico interesse personale?
Per quale motivo tentiamo di sopravvivere… nonostante tutto e tutti?
Per quale motivo?
Per quale motivo ci ritroviamo qui a riflettere e a discutere… sull’opportunità o inopportunità di talune normative come quella sul Job Acts esaltata nella presente esposizione ma da me personalmente vista come fumo atrofico negli occhi?
Cosa ci spinge ad intervenire nel dibattito?
Cosa?
La sola sopravvivenza ed il suo istinto egoistico di autopreservazione…?
O la totale sopravvivenza ed il suo spirito altruistico e omnicompresivo-genetico di autoconservazione?
Ai posteri l’ardua sentenza… e per Tutti la speranza di un Vostro commento a Riguardo…
Un saluto.
Elmoamf