Secondo Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, che fu al Dipartimento di Stato con Bush junior, il mondo è oggi assai instabile. La linea «America First» scelta da Trump non è un rimedio. Anzi.
Il mondo è nel caos, e rischiamo di tornare all’epoca delle guerre dirette fra potenze. È l’allarme che lancia Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations di New York, discutendo il suo nuovo libro «A World in Disarray».
Lei scrive che la relativa stabilità degli ultimi 70 anni, in particolare in Europa, è l’eccezione e non la regola della storia. Teme un ritorno al clima delle guerre mondiali?
«Sì, mi preoccupa la potenzialità di conflitti fra grandi potenze, e la rottura di pace e stabilità in Europa, Asia, Medio Oriente, dove è già in corso. Se i governi non collaborano sul concetto di “sovereign obligation”, gli obblighi reciproci derivanti dalla sovranità, gli effetti negativi della globalizzazione prenderanno il sopravvento e ci porteranno più indietro».
La linea «America First» scelta da Trump è un rimedio?
«No, penso che aumenti il caos. Il mondo non si auto-organizza, ha bisogno che gli Usa svolgano un ruolo significativo. Se non lo fanno il globo diventa più disordinato, e questo è un male per noi. America First è una prospettiva troppo ristretta».
Trump cerca il dialogo con la Russia: non è utile?
«In linea di principio sono favorevole, ma il dialogo deve avvenire in un contesto di maggior fermezza, rafforzando la Nato e la capacità dell’Ucraina di difendersi. Nello stesso tempo dobbiamo rassicurare Mosca, mostrando rispetto, includendola nelle discussioni regionali e globali, chiarendo che il nostro obiettivo non è rimuovere Putin o portare Ucraina e Georgia nella Nato».
Come giudica la linea di Trump sulla Cina?
«É partito col piede sbagliato, mettendo in discussione la One China Policy, ma ora ha cambiato. Spero che la sua attenzione non sia su Taiwan, il Mar Cinese Meridionale o lo scontro commerciale, ma la cooperazione per fare pressioni sulla Corea del Nord. Sono estremamente preoccupato per il programma missilistico e nucleare, la priorità nelle relazioni con Pechino dev’essere contenerlo».
Sarà possibile farlo senza usare la forza?
«Bisogna esplorare a fondo le potenzialità della collaborazione con la Cina. Se fallisce, la scelta diventerà tra accettare la Corea come potenza nucleare o usare la forza militare».
Perché Trump non dovrebbe attaccare i commerci globali?
«La storia dimostra che sono utili agli Usa. Capisco che in alcuni casi hanno eliminato posti di lavoro americani, ma questo è avvenuto per l’innovazione tecnologica. Criticando i commerci rischiamo di perderne i vantaggi economici e strategici, senza aiutare gli americani che hanno perso il posto».
Trump sbaglia quando forza le aziende a tornare negli Usa?
«Non avrà successo. Dobbiamo preparare i lavoratori per una vita di continua innovazione, e dove serve supporto finanziario. Ma ci prendiamo in giro se pensiamo al protezionismo come risposta».
Agli Usa conviene la dissoluzione dell’Unione europea?
«No, dovremmo essere i suoi più forti difensori. Negli ultimi 70 anni l’integrazione europa è stata uno dei più grandi risultati della diplomazia moderna. Ha tenuto il continente stabile per generazioni, e questo è nell’interesse degli Usa».
Quali errori hanno fatto gli europei?
«Bassa crescita, frutto di politiche economiche sbagliate; troppi rifugiati in un periodo troppo breve; problemi strutturali, come l’adozione della politica monetaria comune senza quella fiscale; l’aggressione russa in Ucraina. Il progetto europeo ha perso fascino tra la gente, è remoto, troppo regolato. Bisogna ritrovare equilibrio tra Bruxelles e le capitali nazionali. Però chi dà per scontata la stabilità e dimentica le ragioni del progetto commette un grave errore: la storia dimostra che quando nazionalismo e populismo dominano l’Europa non ne risulta nulla di buono».
L’Italia è molto preoccupata dalla Libia e dalle migrazioni.
«In Libia le parti non mi sembrano pronte al compromesso, e quindi temo che il caos continuerà. Le migrazioni si risolvono solo alla radice, cioè affrontando i problemi economici e i conflitti che le provocano. Tutto il resto sono palliativi».
Cosa prevede per l’Isis e la Siria?
«L’Isis ha quasi perso tutto l’Iraq, e presto perderà anche Raqqa, ma resterà una minaccia terroristica globale. Il problema è cosa succederà dopo alla Siria, che resterà divisa».
L’accordo nucleare con l’Iran va cancellato?
«No. Non è particolarmente buono, ma se lo abbandoniamo unilateralmente finiamo isolati noi americani, non l’Iran. Teheran si considera un potere imperiale che spinge per un’ampia influenza regionale, e il nostro obiettivo dev’essere collaborare con gli alleati arabi, occidentali e Israele per contenerlo».
Fonte: La Stampa
robyuankenobi
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Cesare58
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Addossare la perdita di posti di lavoro americani al solo progresso tecnologico è ridicolo, dal momento che il settore manifatturiero americano è stato decimato dalla concorrenza asiatica.
Attribuire all’Iran progetti imperiali è altrettanto assurdo dal momento che non ha mai provato ad espandersi aggressivamente in medioriente, viceversa l’Arabia finanziando il terrorismo nonchè l’Isis, nonchè inviando anche recentemente truppe in Yemen è sempre più aggressiva e intenzionata ad espandere la propria influenza anche territorialmente, ma investendo i profitti petroliferi negli USA è automaticamente considerata un angelo intoccabile.
L’Unione europea a Trump serve, ma non più come socio nel processo di globalizzazione economica, in quanto gli USA hanno bocciato tale politica e pertanto il mercato europeo come recettore delle esportazioni asiatiche in un’ottica di potenziamento delle multinazionali non ha più nessun valore. Il centro della politica USA è passato dalle multinazionali al popolo americano e quindi verranno rimossi tutti i trattati e scelte economiche che siano in contrasto con gli interessi del popolo americano anche se, magari, sono utili per far aumentare gli utili delle multinazionali. Quello che viene bollato come protezionismo, ovvero come ostacolo alla libera produzione e circolazione di beni e merci, e quindi come negativo e controproducente, nella realtà è semplicemente una difesa legittima e opportuna del mercato del lavoro basata sulla assoluta negatività del mettere in concorrenza lavoratori con salari abissalmente differenti. Lo sfruttamento del lavoro sottopagato porta alla disoccupazione nei Paesi sviluppati senza peraltro innalzare il livello salariale dei Paesi sottosviluppati data l’immensità di disponibilità di manodopera esistente, e pertanto si trasforma solo in un aumento degli utili delle multinazionali e in un impoverimento economico dei Paesi sviluppati, in questo caso occidentali. Asserire che bloccando la globalizzazione economica speculativa basata sulla competizione salariale si blocca lo sviluppo economico, è come asserire che riportare nei Paesi occidentali la produzione manifatturiera delocalizzata non creerebbe nuovi posti di lavoro e un aumento del PIL, ovvero un controsenso.