Daniel Gros, economista tedesco, è direttore del Centre for European Policy Studies (CEPS), che ha sede a Bruxelles. Il CEPS è un istituto di ricerca multidisciplinare, con un ambito di attività che spazia dai mercati finanziari allo sviluppo sostenibile. Laurea all’Università di Roma, dottorato di ricerca all’Università di Chicago, Gros è un osservatore attento del quadro europeo e conosce bene la realtà italiana, oltre che ovviamente quella del suo Paese. Gli abbiamo rivolto alcune domande sulle prospettive economiche dell’Eurozona, sulla situazione dei maggiori Paesi di questa, sui rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea.
Lei è tra i sostenitori del rigore di bilancio e quindi della necessità della riduzione dell’indebitamento pubblico, nell’Eurozona e non solo. I critici del rigore sostengono però che questo è contro la crescita economica. Qual è la sua risposta?
«Credo che i dati sulla crescita economica, nell’Eurozona come in altre aree, mostrino bene come il rigore nel lungo periodo contribuisca a una crescita più solida. Questa è l’analisi mia ma anche di molti altri. So che non tutti la condividono. In molti Paesi è ancora diffusa l’idea che è giusto continuare a utilizzare in modo ampio la spesa pubblica per la crescita. Alcune analisi indicano poi che, una volta ottenuta la crescita, ci saranno maggiori entrate fiscali e il bilancio pubblico ritroverà un equilibrio. Ma queste analisi sono sbagliate, non tengono conto della situazione attuale, che è diversa da quella di altre fasi del passato. La spesa pubblica nella media è infatti già molto alta, e il debito pubblico in molti Paesi è già molto elevato. A questi livelli il debito non favorisce la crescita e anzi presenta chiari pericoli per il sistema economico, come si vede bene anche nel caso dell’Italia».
Il confronto tra le diverse posizioni e tra i vari Paesi è talvolta acceso. Lei pensa che sia ancora possibile attuare nella prossima fase nell’Eurozona quel rigore che è richiesto dalla Germania e da altri Paesi del Nord Europa?
«Teoricamente sì, ma in pratica non sarà facile. Ci vorrebbe nei Paesi più indebitati una volontà politica diversa, che in alcuni casi ancora non si vede. Penso che probabilmente nella prossima fase ci sarà una stasi per quel che riguarda la politica economica. Ciò non vuol dire che non ci sarà crescita economica. Una certa ripresa economica è già in atto nell’Eurozona e questa continuerà. Il deficit strutturale medio nell’area è attualmente abbastanza contenuto, grazie al contributo dei Paesi con i conti più in ordine. Certo, si tratta di una media, sarebbe davvero opportuno che i Paesi con i conti pubblici non in ordine cambiassero linea. Quando il debito pubblico è troppo alto, la crescita nel lungo periodo senza dubbio ne risente. Senza questo freno, le cose andrebbero chiaramente meglio».
L’intervista completa sul Corriere del Ticino
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