Sondaggio: stop ai partiti personali

L’idea del gruppo politico strutturato e conformato intorno al leader piace solo al 28% del Paese. La proposta è attraente per una parte degli elettori della Lega Nord …

L’idea del gruppo politico strutturato e conformato intorno al leader piace solo al 28% del Paese. La proposta è attraente per una parte degli elettori della Lega Nord (57%) e di Forza Italia (54%); mentre è piuttosto indigesta per gli elettori di centrosinistra, per i grillini (24%) e, soprattutto, per gli indecisi ( 21% ).

Il partito personale piace sempre meno, anche se l’opinione pubblica è, costantemente, alla ricerca di leader carismatici in grado di traghettare il Paese fuori dalle secche. La speranza è d’incontrare veri leader: trasparenti nelle cose che fanno, riflessivi e decisi nelle scelte, capaci di ascoltare le persone e dare l’esempio. Un allenatore che sa circondarsi dei migliori, per perseguire, con caparbietà, un ideale, un progetto di Italia futura. Il partito personale, con quel mix di personalizzazione, centralizzazione organizzativa e professionalizzazione, di cui parlava diciassette anni fa Mauro Calise nel suo famoso libro Il Partito Personale, non soddisfa più gli italiani.

L’idea del gruppo politico strutturato e conformato intorno al leader piace solo al 28% del Paese. La proposta è attraente per una parte degli elettori della Lega Nord (57%) e di Forza Italia (54%); mentre è piuttosto indigesta per gli elettori di centrosinistra, per i grillini (24%) e, soprattutto, per gli indecisi ( 21% ). A rendere inviso questo modello di partito sono diversi fattori. Al primo posto troviamo il tema della “cor te” intorno al capo (72%). Una tendenza che, secondo gran parte degli italiani, incide negativamente sulla formazione e sulla selezione dei gruppi dirigenti. Il partito del leader rischia, infatti, di selezionare per fedeltà e non per capacità politica; di mettere nei ruoli chiave persone inesperte, inadatte a intercettare i differenti e compositi bisogni che emergono dalla società e dai diversi segmenti sociali; di cercare l’unanimismo consensuale sulle proposte del capo, anziché di fare sintesi tra le diverse sensibilità e le molteplici proposte presenti sul tavolo della strategia politica.

Il secondo elemento di crisi del partito personale è l’eccessivo legame, la sudditanza, del gruppo politico rispetto ai destini del capo (68%). Infine, terzo fattore d’incrinatura, è la tendenza a conformare il partito (nelle regole, nell’identità e nell’organizzazione) alle caratteristiche del capo (6 5% ) . Il venir meno della simpatia per il partito personale, non intacca il bisogno di leader carismatici, capaci di personificare attese, speranze, ambizioni, cultura e identità della base sociale di riferimento. L’opinione pubblica traccia un profilo abbastanza chiaro del leader ideale. Uomo o donna che sia, deve essere limpido e trasparente; non intento a realizzare accordi sottobanco o a gestire affari; attento agli altri e capace di mettersi in ascolto; sobrio nei comportamenti e morigerato nelle scelte di vita; impegnato a dare l’esempio e a essere la guida sulla via tracciata; idealista al punto giusto, intento ad affermare dei valori e a perseguire un sogno; pragmatico nel fare, per tradurre le idee in fatti; determinato ma anche aperto e capace di circondarsi delle persone più competenti Partito personale addio Gli italiani non credono più al modello leaderista politicamente (allontanando i “signor sì” e i faccendieri). Il leader, per gli italiani, è un mix tra l’allenatore e la guida empatica.

Non è un comandante in capo, ma una persona impegnata a guidare un gruppo verso il futuro, attenta a fare le cose e capace di esprimere pensieri lunghi ed emozioni. La scena politica nazionale, nel corso degli ultimi quattro lustri, ha offerto un vasto campionario di personalità politiche, da cui, gran parte del Paese è rimasta delusa. A determinare il senso di sconforto è stata, secondo l’opinione pubblica, la tendenza a difendere i propri privilegi, a sentirsi superiori agli altri, a curare il proprio tornaconto di potere, a circondarsi di corti e persone accondiscendenti, a essere opachi nella gestionale e a ridurre le forme di collegialità, condivisione e partecipazione. In questi venti anni abbiamo assistito, peraltro, al fiorire di micropartiti personali, di raggruppamenti di transfughi (eletti tra le file di una coalizione e passati poi tra i sostenitori della compagine avversa) e di correnti interne ai vari partiti (ognuna con il proprio sub-leader di riferimento).

Non solo. La stessa formula del partito è cambiata, abbandonando la dimensione monolitica (e questo certamente è positivo), per assumere le sembianze di “un’arena di potere”, al cui interno si giocano le lotte e le competizioni tra aree e personalità. Un mutamento che ha coinvolto sia i partiti maggiori, sia le formazioni più piccole, sia i nuovi movimenti, con l’emergere, proprio fra questi ultimi, della tendenza a vietare l’espressione del dissenso, per cercare di nascondere, sotto il classico tappeto, il proliferare di scontri, invidie personali, divisioni correntizie e cordate politiche di vario g enere. L’esperienza dell’ultimo ventennio, quindi, ha metamorfizzato le forme della democrazia interna ai partiti e ha inciso sulle modalità di espressione del consenso e del dissenso. Archiviata l’epoca dell’adesione ideologica, si sono via via sfibrati molti dei collanti politici e di appartenenza, sostituendo l’adesione all’idea, con la fedeltà al capo, alla corrente, al sub-leader o ai propri interessi.

L’espressione del consenso e del dissenso è divenuta sempre meno il frutto del raffronto tra contenuti politico-strategico differenti e ha assunto (tendenzialmente) i contorni dell’assenso o del bisogno di differenziarsi dal capo o dal suo entourage. L’esprimere posizioni o il suggerire azioni differenti da quelle proposte dal capo è tollerato con fatica, mentre è agevole l’insediarsi di forme di sospetto, di giudizi di inaffidabilità, fino alla bollatura di tradimento.

La prima vera vittima di questo processo trasformativo non è soltanto la democrazia interna ai gruppi politici, ma è, innanzitutto, la qualità della cultura politica dentro i partiti. Il mutamento influisce sulla capacità dei partiti di produrre idee e soluzioni, sulla possibilità di generare scelte partecipate, condivise e attente a cogliere la multipolarità della società contemporanea: tutti fattori che nascono dal confronto, dalla dialettica tra le opinioni e sensibilità differenti. Lo scollamento tra opinione pubblica e partito personale, apre nuovi spazi di riflessione sul tema del modello di partito necessario per la democrazia contemporanea; rimette in primo piano l’urg enza di sviluppare e consolidare una nuova cultura della politica e, per dirla con Norberto Bobbio, di avere partiti capaci di incarnare lo scopo originario della loro nascita: l’essere associazione d’individui che stanno insieme per raggiungere uno scopo comune, per esprimere degli ideali e per collaborare alla realizzazione di un’idea di futuro.

Fonte: unita.tv

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2 commenti

  1.   

    strane statistiche.  ai grillini non piace il partito personale e cosa è m5s se le decisioni le prendono in 2. persino quando un grillino viene nominato dalla base come a genova interviene il capo e gli toglie il mandato a favore di un fedelissimo.  che dire dei piddini. se c’è un partito personale è proprio quello.  renzi fa e disfa anche quando non governa. a sistemato amici e cortigiani dove e come ha voluto.  stranamente piace ai berlusconiani.  vero che è un partito personale..nel senso che berlusconi ha sempre pagato di tasca propria tutte le spese, ma dire che si è circondato di fedelissimi è  una panzana. altrimenti  cosa sono le fughe..tradimenti… di alfano e dei suoi e quelle di verdini e dei suoi? sarebbe possibile se forza   italia fosse un partito personale? Posso capire invece che si parli delle forze di destra..quelle vere… da noi la presenza del..CAPO..  è un elemento imprescindibile.  ritengo che una repubblica PRESIDENZIALE   sia molto meglio delle comiche di questa pseudo democrazia parlamentare.pot

  2.   

    Io questo qui lo conosco…… ma sì, è lui o non è lui, è robyuan che dal balcone del bagno 42 incita i bagnanti!!!!!…
    Certo è che se oggi come oggi abbiamo un partito personale questo è il M5S, non certo il Salvini o il Renzino, figure magari carismatiche ma certamente “sostituibili” mentre il Cricket, l’abbiamo visto proprio in questi giorni é giudici e boia e santificatore del movimento.
    Una prece.