Crediti per centinaia di milioni concessi in buona parte a residenti in Italia — inclusi soggetti legati ai partiti politici – dalla Cassa di Risparmio di San Marino. Fatte le proporzioni, è come se il governo italiano fosse chiamato in un anno a fornire oltre 400 miliardi di euro per salvare il proprio sistema bancario.
Aumenti di capitale grazie a operazioni sospette, senza le quali la banca non avrebbe avuto i requisiti per operare sul mercato. Oltre cento milioni di euro in contante distribuiti agli sportelli solo fra il luglio del 2015 e la primavera del 2016, senza plausibili motivazioni tecniche. Crediti per centinaia di milioni concessi in buona parte a residenti in Italia — inclusi soggetti legati ai partiti politici — in plateale violazione di tutte le pratiche di corretta gestione di una banca: prezzi e tassi d’interesse troppo bassi rispetto al rischio d’insolvenza del debitore; fidi più facili rispetto alle stesse deliberazioni del consiglio d’amministrazione della banca; condizioni economiche diverse da quelle decise dagli organi di governo societario; garanzie inadeguate e clienti che non avrebbero mai meritato la fiducia concessa. Come risultato una montagna di prestiti in default, coperti dal risibile tasso di accantonamenti del 23%.
L’esame sulla Cassa di Risparmio di San Marino non è ancora finito, ma promette già di segnare uno spartiacque per la repubblica del Titano e anche per i suoi rapporti con l’Italia. I consulenti di Boston Consulting Group e i Pwc, nominati dai nuovi vertici della banca centrale della Rocca e forti dell’appoggio del nuovo governo, stanno per concludere il loro lavoro. Ma quello che emerge, anche dopo la revisione della qualità degli attivi delle banche lanciata dal governatore Wafik Grais e dal suo direttore generale Lorenzo Savorelli, è uno scandalo finanziario destinato a superare i confini della Rocca. Negli ultimi giorni lo stesso Fondo monetario internazionale ha iniziato a esercitare una pressione crescente.
Secondo le stime comunicate dal Fondo in febbraio, il sistema bancario di San Marino per continuare a operare ha oggi bisogno di una somma fra i 400 e i 450 milioni di euro: circa un quarto del prodotto interno lordo della Repubblica del Titano. Fatte le proporzioni, è come se il governo italiano fosse chiamato in un anno a fornire oltre 400 miliardi di euro per salvare il proprio sistema bancario. Buona parte dell’ammanco è legato proprio alla Cassa di Risparmio, che da sola vale circa metà dell’intera industria del credito del Paese ed è al centro di un’indagine per sospetti falsi contabili ripetuti negli ultimi anni. Dal Fondo monetario, dove San Marino è rappresentato nella circoscrizione diretta dall’italiano Carlo Cottarelli, sono sempre più esplicite le proposte perché il Titano accetti un salvataggio e si sottoponga alla gestione degli emissari di Washington. Secondo altre ipotesi, anche l’Italia potrebbe intervenire con un prestito bilaterale.
Per ora, però, non è certo che un commissariamento esterno si concretizzi, non in tempi brevi. San Marino ha un debito pubblico al 22% del Pil, la sua banca centrale ha circa 400 milioni di liquidità e il suo fondo pensioni circa mezzo miliardo. Il Paese per ora sembra in grado di assicurare la tenuta delle banche e di garantirne in pieno i correntisti e i depositanti.
Prima di chiedere parte del finanziamento al Fondo monetario, il neo-segretario alle Finanze Simone Celli — eletto con una lista civica alla fine del 2016 — intende far proseguire l’esame dei consulenti di BCG. Senza interferenze esterne. Sta infatti emergendo il quadro di un sistema nel quale erano saltate tutte le regole di contabilità e trasparenza, a vantaggio del credito di relazione (anche in Italia) e di depositi di liquidità senza troppe domande sulla sua origine. Ad oggi non c’è un trattato che renda vincolante lo scambio di informazioni fra San Marino e l’Italia, come si è visto durante l’indagine su Cassa di Risparmio: quando chi indagava ha chiesto dati alle autorità di Roma su certe garanzie creditizie di residenti in Italia — tramite il Fondo monerario — avrebbe ricevuto un rifiuto.
Certo quello che si conosce finora su Cassa di Risparmio non resterà senza conseguenze. Fra il 2011 e il 2015, ma «forse dal 2008», la banca non avrebbe rispettato i requisiti minimi di capitale. Più di recente ci sarebbe stato un aumento di capitale fittizio, grazie al conferimento a Cassa di Risparmio di certe attività immobiliari, quadruplicandone i valori sulla carta. Emerge poi il ruolo di Biagio Bossone: ex direttore per l’Italia alla Banca mondiale, nel 2010 come governatore di San Marino avrebbe favorito un finanziamento da 98 milioni a Cassa di Risparmio senza fare troppe domande. Su quell’operazione sono in corso approfondimenti.
Fonte: Corriere della Sera