Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato dall’utente Elmoamf come post nella sezione «Italia Social Club», forum in risposta a un dialogo nato tra alcuni utenti tra cui DonChi, Belfagor, hedge, ronin sul tema apocalittici e integrati, ottimismo e pessimismo. La versione originale era qui Premessa: se avrete la bontà e la pazienza di arrivare sino in fondo…
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Premessa: se avrete la bontà e la pazienza di arrivare sino in fondo allora non potrò che riconoscere la vostra audacia così come il vostro spirito di sopportazione. Riconosco che l’intervento sia lungo e noioso e spero non me ne vorrà nessuno per averlo ammorbato in questo soleggiato pomeriggio di fine aprile!!!
Entrando nel merito, essendo stato chiesto un mio punto di vista su alcuni dei commenti postati rispetto alla presente escatologia economico-finanziaria… e dopo tribolate riflessioni… ho partorito quanto segue.
Risale a poco più di un quarto di secolo fa un’opera cinematografica controversa di un regista continentale altrettanto ermetico e visionario quale Wim Wenders. Un’opera incentrata sul tema del viaggio. Certamente non il classico road trip in tipico stile nord-americano ma incardinato nel solco profondo della filosofia intimista ed imaginifica del pensiero europeo (l’oscurità individualista del calvinismo, il determinismo positivista dell’illuminismo, l’epistemologia ellenica).
Un viaggio fra le onde del pensiero moderno, intriso di tecnologia e apocalissi della materia, di sogni e speranze da tradurre in formato digitale, vissuti personali di protagonisti in fondo soli più che solitari, che rincorrono se stessi, la loro sbiadita immagine etera ed inconscia, peregrinando nel tempo e nello spazio della memoria, nel mistico o ingenuo e probabilmente illusorio tentativo di sciogliere nella compenetrazione universale della “scienza” tutti i nodi cruciali dell’esistenza, della loro esistenza. Tralasciando ogni ordine e grado superiore di comprensione della realtà. Quell’ordine trascendente che ognuno di noi difficilmente “afferra”.
Il film era intitolato come un’omonima canzone degli U2 il cui testo, singolarmente enigmatico, è per altri versi emblematico di quel conflitto esistenziale sommariamente sopra descritto e che dilania incessantemente i nostri animi.
Un testo che, al pari del film, racchiude in se quel coacervo di emozioni contrastanti che confondono le nostre ferree logiche razionali. Ragione e Istinto, nemesi delle vicende umane, in tutta la loro dirompente forza creatrice e distruttrice e nuovamente creatrice in un ciclo senza fine di corsi e ricorsi storici, di un karma inquieto, prigioniero eterno ed infinito del proprio “materialismo”.
“E’ proprio da un po’ che non ti vedo
Ero in prigione, facendo solo passare il tempo
L’ultima volta che ci incontrammo fu in una stanza male illuminata
Eravamo insieme vicini come moglie e marito
Mangiammo il cibo, bevemmo il vino
Tutti si stavano divertendo
Eccetto tu
Tu stavi parlando della fine del mondo
Ho preso i soldi, ho drogato il tuo drink
Di questi giorni perdi troppo se ti fermi a pensare
Mi hai preso in giro con quegli occhi innocenti
E lo sai che mi piace l’effetto sorpresa
Nel giardino stavo facendo la puttana
Ti ho baciato le labbra ed infranto il cuore
Tu, tu ti comportasti come se fosse la fine del mondo
Nel mio sogno stavo annegando i miei dispiaceri
Ma i miei dispiaceri, impararono a nuotare
Circondandomi, affogandomi
Traboccando dal bordo
In onde di rimpianto, onde di gioia
Mi distesi per raggiungere colui che tentai di distruggere
Tu, tu dicesti che avrei aspettato fino alla fine del mondo”
La fine del mondo di cui si parla in entrambe le narrazioni non dovrebbe essere però interpretata alla luce del concetto utilitarista e pragmatico dell’ “investitore” contemporaneo, tanto meno trattata con l’ottica fuorviante di un idealismo corrotto e devastato dalla Civiltà Moderna… Piuttosto dovrebbe costringerci ad una riflessione aspramente critica, aperta ed introspettiva, su quale Idea della “Verità” e quindi della Realtà effettivamente abbiamo in mente. Perché questo ritengo sia il nocciolo della questione, al di là degli innumerevoli dati che tale e tali Verità e Realtà sono capaci di trasmettere o comunicare o mettere a disposizione.
E’ questo che si è perso al giorno d’oggi!
La capacità di leggere ed interpretare la società sulla base di ciò che in essa ed intorno ad essa e rispetto ad essa vogliamo costruire.
Il senso arcano della vita forse è nel motivo stesso per cui il nostro istinto ci spinge a sopravvivere. Un istinto che ci spinge altresì a socializzare e quindi a pensare il nostro mondo in comune, in comunione, in condivisione con l’ “Altro”.
Il senso di appartenenza, di partecipazione, di responsabilità verso l’altro, che si esprime spontaneo ed incondizionato in primis in ambito familiare… è quello stesso senso che suscita paura, timore e perdita quando quel mondo attorno al quale la nostra vita gira (quella famiglia che si è costruita con tanta passione, amore, sforzo fisico ed intellettuale) viene aggredito e messo in pericolo da una minaccia esterna.
La separazione, l’opposto della condivisione, l’altra faccia della medaglia, il rovescio, il lato oscuro.
Il pragmatismo utilitarista è il lato oscuro di un mondo non più idealizzato. Separato dalla filosofia. Antropologicamente e socialmente orfano. Succube di una Verità e di una Realtà del tutto artificiale. Privo di quel sentimento “Rinascimentale”, di quell’ordinamento “Civico”, di quello spirito “Trascendentale” che hanno fatto grandi, in un passato ormai remoto, le Civiltà Umane che ci hanno preceduto.
Quella odierna è la summa di numeri senza un significativo scopo.
Separati tanto dalla concretezza, dalla consistenza e dalla corporeità dell’esistenza umana quanto dalla sua eterea, simbolica e metafisica trasposizione spirituale.
Numeri fine a se stessi.
L’avidità, il potere, il dominio sui popoli e sulle genti. L’individualismo, il cinismo, l’indifferenza sono i crismi dell’attuale sviluppo degli eventi.
La barbarie moderna non ha o comunque non suscita o non è il frutto quantomeno di un carattere pessimista o ottimista. E’ semplicemente barbarie.
E’ di questo che, a mio avviso, non si vuole prender atto.
E’ un deficit culturale di massa, globalizzato.
Assuefatti al conformismo, incapaci di evadere dagli schemi in cui il nostro intelletto umano si è ingabbiato da decenni. Incapaci e sterili nel produrre nuovi entusiasmi, nuova coesione, nuovi progetti e nuovi uomini in grado di avere un Visione del mondo per cui valga la pena lottare.
Perché se certamente non sono le ragioni a mancare per chi, volente o nolente, lotta per la Vita… indubbiamente sono le Idee “coerenti” al proprio piano esistenziale a scarseggiare.
Un tempo i numeri erano dei simboli e servivano per celare o spiegare gli archetipi oggi sono dei volgari elementi con cui quantificare uno spurio e rozzo consumo dell’Esistenza.
Dal mio modesto punto di vista è da questa presa di coscienza che ritengo sia necessario partire e mettersi in marcia verso un destino migliore!
Saluti.
Elmoamf
visita il blog http://elmoamf.blogspot.it/
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Da Wikipedia:
Wim Wenders, all’anagrafe Ernst Wilhelm Wenders (Düsseldorf, 14 agosto 1945), è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico tedesco.
Esponente di primo piano del Nuovo Cinema tedesco,[1] ha conosciuto il successo internazionale dirigendo pellicole quali Lo stato delle cose, Alice nelle città, Paris, Texas e Il cielo sopra Berlino che gli sono valsi numerosi riconoscimenti di carattere internazionale. Palma d’oro a Cannes nel 1984, ha inoltre ricevuto l’Orso d’oro alla carriera al Festival del Cinema di Berlino nel 2015.
Fino alla fine del mondo (Bis ans Ende der Welt in tedesco e Until the end of the world in inglese) è un film del 1991 per la regia di Wim Wenders; costituisce una delle opere più note del regista tedesco. È un film di fantascienza che si sviluppa come road movie ambientato in un futuro prossimo (1999) in cui incombe un’apocalisse globale.
Nella foto in alto una scena del film, con William Hurt e Solvig Dommartin.
Elmoamf
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Sono felice per Te, la Tua Famiglia e Tuo Figlio.
Tempo fa, colloquiando banalmente sul bene e sul male, asserii che il vero amore, quello intenso, immenso, incondizionato si esprime o meglio si percepisce spontaneo e sincero solo quando si ha la fortuna di avere dei figli.
Certo non tutti (purtroppo) hanno, hanno avuto od avranno magari questa grazia ma l’amore filiale rimane comunque un parametro unico sul quale poter misurare la nostra forza e volontà d’animo nel condividere con il prossimo la nostra vita.
L’amore filiale non necessariamente emerge solo in presenza di un figlio biologico.
E’ quel tipo d’amore che ti spinge a non chiedere nulla in cambio e ad esser sempre lieto nel dare anche quando questo ti costa un enorme fatica.
E’ una scelta istintiva… quella di donare te stesso per il bene di un altro.
No matter what…
Avrei altro da scrivere ma devo scappare.
L’amore filiale mi chiama!
Un abbraccio e buona domenica.
Elmoamf
normal
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Oggi avrò l’onore e l’onere di avere il mio ragazzo a pranzo. Ha finito tutti gli esami e tra pochi giorni sarà chiamato a discutere la tesi . Ramo Economia.
Non vedo l’ora di fargli leggere questo scritto e sentire che ne pensa.
Lui, Uscito da famiglia ignorante totaale in materia economica ma fatto prigioniero evidentemente quanto inconsapevolmente … da una mia grande passione per i temi economici e globali. Cresciuto però con una formazione educativa… probabilmente di estrema sinistra ma non di bandiera… di coscenza, che io e sua mamma gli abbiamo testardamente quanto inconsciamente propinato con letture, canzoni, esempi di vita…
è diventato una spece di prototipo… uno strano insieme di concetti apparentemente contraddittori.
Non lo so’, più lui cresce in esperienza e personalità maturando le sue idee e convinzioni… più io divento meno pessimista verso il futuro.
Se ce ne sono tanti di questi… e hanno le palle… forse si può ripartire da qui.
…Ripartire da la …e proseguire la strada vecchia d’altronde, s’è inteso tutti oramai che è una battaglia persa.
Grazie Elmo per il parto tanto sofferto…