Ancora una volta Bruxelles dice no all’Italia. E sono guai. L’incontro di ieri pomeriggio nella sede dell’Antitrust europeo tra i due amministratori delegati di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca (Fabrizio Viola e Cristiano Carrus) da un lato, e i funzionari della direzione generale Concorrenza della Commissione dall’altro, si è chiuso con un no alle richieste degli istituti. La Commissione tiene il suo punto e pretende dalle due banche italiane che raccolgano un miliardo di capitale in più dai privati prima di concedere il suo nulla osta alla “ricapitalizzazione precauzionale di Stato”.
Un fallimento che si avvicina
Tradotto in soldoni: se le due banche non trovano un altro miliardo andranno a fondo. Ma dopo questo diktat – ovviamente – è molto improbabile che trovino un miliardo di investitori privati: quindi il rischio reale è che uno dei due istituti, o forse persino entrambi, vadano davvero a fondo, e che tra pochi mesi ci si ritrovi nel mezzo di un altro sanguinoso bail-in. Lo spirito di Banca Etruria torna a materializzarsi come uno spettro nel nostro sistema bancario. Non una paura del passato, ma un incubo del futuro.
Banche: MPS nazionalizzata, vicino l’ok Ue. Il destino di Veneto Banca e Pop. Vicenza
La richiesta dell’Europa è legata a una nuova e penalizzante valutazione del portafoglio crediti, che fra l’altro erano già stati svalutati nel bilancio del 2016. È un serpente che si morde la coda: siccome con Etruria abbiamo insegnato ai risparmiatori che le banche italiane possono fallire, appena c’è un rischio quelli scappano.
Ma quando scappano, portando via il loro denaro, l’Europa alza l’asticella, e per la banca aumenta il rischio di fallire. Ecco perché questo nuovo Euro-niet, questa bocciatura rappresenta un durissimo colpo al già difficile piano di salvataggio delle due banche. In Italia sta scattando l’allarme rosso, oggi si riunisce un vertice d’emergenza presso il ministero Tesoro.
Il rischio dell’effetto domino
Il ministro Piercarlo Padoan ha convocato gli amministratori delegati delle due banche e i due presidenti degli istituti (Gianni Mion per Vicenza e Massimo Lanza per Veneto Banca). Ma il Tesoro ha le mani legate: il rischio concreto è che uno dei due istituti (ma per sciagura potrebbe accadere ad entrambi) arrivi al bail-in. Cosa può fare la politica prima di questo esito fallimentare? Difficile dirlo.
Se l’Italia non sceglie di far saltare il tavolo molto poco: allo stesso tempo è davvero improbabile che Atlante e Fondo Interbancario posano intervenire per garantire, con le loro risorse la liquidità, necessaria. Dei privati abbiamo già detto e i guai non sono finiti: siccome il salvataggio delle due banche è vincolato al piano di fusione, se anche solo una delle due fallisse, anche l’altra salterebbe in aria.
L’Europa dove la Germania ha salvato i suoi istituti di credito con aiuti di Stato prima di votare il bail-in (impedendo da quel momento in poi a tutti gli altri di fare altrettanto) adesso è arcigna è determinata nel non concederci deroghe.
Gli errori di valutazione
I parlamentari italiani e il governo che hanno salutato questa riforma come un trionfo (vedi il tweet entusiastico di Enrico Letta di quei giorni) adesso dovrebbero prendere atto che si è trattata di decisioni che espongono il nostro paese a rischi drammatici. I governi che fino ad oggi hanno tergiversato adesso dovrebbero capire che la linea del rischio generale purtroppo può essere travolta.
Il sistema bancario italiano vacilla, trema, e forse anche questo annuncio di Bruxelles è figlio del Merkelon, l’asse franco-tedesco che ha costituito una cabina di regia dove si decide il futuro dell’Europa senza consultare l’Italia. Gli eurofili oggi si chiederanno con la logica sprovveduta che li ha guidati in questi anni: ma perché qualcuno dovrebbe augurarsi il fallimento dell’Italia?
La risposta è semplice: in primo luogo perché il rigore è un dogma, ottuso come tutti i dogmi. E poi perché in un paese sull’orlo della bancarotta ti compri tutto con un pezzo di pane. E in Italia – come è noto – c’è ancora molto da comprare.
di Luca Telese
Fonte: Tiscali