Altro che sei contro uno. Il vertice di Taormina è finito con un clamoroso uno contro uno: Angela versus Donald. Ed è la Germania l’unica che può ricevere il testimone dagli americani. Per decenni, gigante economico e nano politico, ha fatto i soldi accettando la tutela Usa sul piano militare e quella francese sul piano europeo. Ora appare ormai decisa a prendere atto della nuova situazione, pronta a dare un taglio netto con il passato e ad assumere un ruolo da leader.
Nelle conferenze stampa del pomeriggio sia Paolo Gentiloni sia il presidente francese Emmanuel Macron si sono sforzati di valorizzare i risultati raggiunti e di tenere aperte tutte le porte con gli Stati Uniti e il presidente Trump. «Ho apprezzato la sua volontà di ascoltare», ha detto Macron. «Solo fino a poco tempo fa c’era chi pensava che gli spazi di discussione non ci fossero. Non era vero e il G7 l’ha dimostrato». Sulla stessa falsariga anche i commenti del canadese Justin Trudeau e del giapponese Shinzo Abe.
Di tutt’altro tenore il fine vertice della Merkel. Annullata la tradizionale conferenza stampa, ha preferito rilasciare alcune dichiarazioni alle Tv del suo Paese. Ed è stata diretta come solo i tedeschi sanno essere: «Il risultato è insoddisfacente». E sul clima «inutile nascondersi, bisogna dire che un accordo internazionale importante non ha piu l’appoggio di tutti». Non che Italia e Francia abbiano intenzione di abbandonare sui maggiori problemi internazionali la tradizionale posizione europea. Tutt’altro. Ma l’unica che ha deciso di dare voce ai contrasti con gli Usa è stata la Germania.
Le ostilità covavano da tempo e ad aprirle era stato lo stesso Donald, quando, ancora in campagna elettorale, aveva dipinto con toni apocalittici la politica migratoria della Cancelliera. Lei l’altro giorno ha reagito con quella che al fumantino Donald deve essere suonata come una insopportabile provocazione. Proprio mentre il presidente in carica sbarcava a Bruxelles per il suo primo vertice Nato, Angela partecipava a Berlino a una manifestazione pubblica con Barack Obama. E di fronte al «caro Barack», con aria innocente diceva che «il futuro non si prepara costruendo muri». Poteva esserci di peggio per Trump? La frase sui tedeschi «cattivi, molto cattivi» è stata, tutto sommato, una risposta da minimo sindacale.
Contrasti aspri tra Europa e Stati Uniti non sono mancati anche nel passato. La storia dei G7 ne è una prova. Nel 1982 a Versailles si trovarono di fronte Ronald Reagan, impegnato nella crociata contro il comunismo, e François Mitterrand, al potere da poco, che i comunisti li aveva nel governo. Allora la materia del contendere era la fornitura di gas all’Europa da parte dell’Unione Sovietica. E il vecchio Ronnie arrivò a minacciare sanzioni contro i Paesi occidentali che avessero trasferito tecnologia ai russi in cambio di energia. Le conferenze stampa del dopo vertice si trasformarono in un esercizio di accuse e recriminazioni.
Allora tutto si aggiustò, ma questa volta potrebbe essere diverso. A dividere europei e Trump è ormai il complessivo quadro di riferimento. Per Trump e chi l’ha eletto i rapporti internazionali sono, come si dice di solito, un gioco a somma zero, dove se uno guadagna l’altro perde. E allora vale la regola dell’America First, quello che conta è l’interesse degli americani. Gli europei, invece, sono rimasti ai tempi del Dopoguerra, con l’immagine di un grande fratello a stelle e strisce, a volte ingombrante ma alla fine sempre generoso. E il principio è che dandosi una mano alla fine si guadagna tutti.
Solo che il Dopoguerra sembra essere definitivamente finito. A Trump le vecchie regole del gioco non interessano più. Ed è la Germania l’unica che può ricevere il testimone dagli americani. Per decenni, gigante economico e nano politico, ha fatto i soldi accettando la tutela Usa sul piano militare e quella francese sul piano europeo. Ora appare ormai decisa a prendere atto della nuova situazione, pronta a dare un taglio netto con il passato e ad assumere un ruolo da leader. Tra i due litiganti gli altri Paesi europei. Non possono illudersi che la regola dell’America First conosca delle eccezioni. E quanto alla nuova leadership tedesca i segnali arrivati dalla crisi dell’euro non sono stati certo promettenti.
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Poche convergenze, sulla lotta al terrorismo e sulle principali crisi internazionali, un faticoso compromesso sul commercio e sui migranti, un aperto contrasto sul clima: il 43mo vertice dei Grandi lascia un risultato magro e l’impressione che a Taormina più che un G7 sia andato in scena un “G6 più Trump”.
‘The Donald’ protagonista
Il presidente americano è stato il grande protagonista del summit, frenando gli altri leader su molti temi, arrivando tardi alle sessioni e infrangendo protocolli e ‘bon ton’ con la stessa disinvoltura che lo ha portato alla Casa Bianca. Del resto, ha osservato il premier, Paolo Gentiloni, è “una novità che non abbiamo scoperto a Taormina: è la scelta del popolo americano, l’America è il nostro principale alleato e con questa scelta facciamo i conti”. È stata “una discussione vera e autentica”, ha però tenuto a precisare il presidente del Consiglio, mascherando il disappunto per la scarsa ambizione della snella dichiarazione finale di sei pagine.
Il compromesso principale e meno scontato è arrivato sui commerci. Il Trump dell’America First ha accettato un impegno “a tenere i mercati aperti e a combattere il protezionismo, ferma restando la volontà di combattere le pratiche commerciali scorrette”. Il libero scambio, sottolineano i Sette, “è un cruciale motore per la crescita e l’occupazione”.
Nulla di fatto sul clima. Per ora
La grande incompiuta è stato il clima: la dichiarazione “ha preso atto” che negli Usa è in corso un riesame della posizione sull’accordo di Parigi del dicembre 2015, su cui il presidente americano ha preannunciato con un tweet che deciderà “la prossima settimana”. “Mi auguro che la fase di revisione si concluda presto e bene, è importante avere sull’accordo il contributo degli Stati Uniti”, ha aggiunto Gentiloni, ribadendo che l’Italia e gli altri partner non arretreranno “di un millimetro”. Di “discussione difficile per non dire del tutto insoddisfacente”, ha parlato la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha assicurato che sul clima si va avanti e che non e’ stato “un sei contro uno” perche’ con Trump “ci sono stati progressi”: “Mi auguro comprenda che la questione è anche nell’interesse americano”.
Per l’Africa nessun impegno concreto
L’Italia incassa la sessione sull’Africa con i leader di Etiopia, Kenya, Niger, Nigeria e Tunisia. “L’Africa è una sfida che ha trovato un interesse di tutti i leader, a partire dal presidente Trump”, ha assicurato Gentiloni, “è una questione da cui dipende molto del nostro futuro”. Resta però che non ci sono nuovi impegni sugli aiuti per le carestie in Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen.
Sui migranti, tema collegato e molto a cuore alla presidenza italiana, la dichiarazione è stata condizionata dalla linea dura americana. Quindi, accanto al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, viene affermato che “gli Stati devono poter controllare le proprie frontiere e stabilire politiche nel politiche nel proprio interesse nazionale”. Gli enormi flussi di migranti, osservano i Sette, richiedono sforzi coordinati a livello nazionale e internazionale”.
Su questo argomento, leggi il commento di Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam.
Meno controversi i temi di politica estera: dopo l’intesa sulla lotta al terrorismo, la dichiarazione ha riaffermato un impegno comune dei Sette su Siria, Libia, Corea del Nord, senza escludere “ulteriori azioni” contro la Russia se la situazione in Ucraina dovesse precipitare. Trump, così come la Merkel, ha rinunciato alla conferenza stampa finale, forse anche per evitare polemiche sulle tensioni al summit e gli strascichi del‘Russiagate’. Il presidente americano ha fatto tappa a Sigonella per un saluto ai militari americani, prima di ripartire per gli Usa. Il prossimo G7 si terrà tra un anno Canada in un lussuoso resort arroccato a picco su un fiume a Malbaie, nel Quebec.
I commenti dei quotidiani
“Se smorza un’inutile escalation polemica, di fronte all’ennesima contumelia di Donald Trump, che parlando con Jean-Claude Juncker definisce i tedeschi «cattivi, molto cattivi sul commercio», il profilo basso di Merkel, decana del forum, offre la misura di una criticità palpabile, che l’esordio internazionale del presidente Usa introduce nei rapporti fra gli alleati”, osserva Paolo Valentino sul Corriere, “ma le intemperanze caratteriali del capo della Casa Bianca sono solo la punta emotiva dell’iceberg di una divaricazione reale e profonda su temi decisivi tra l’Amministrazione e gli altri Paesi dell’Occidente, si tratti di clima, migrazioni o commercio”. Per Giorgio Barba Navaretti del Sole 24 Ore, “l’attacco di Trump al surplus commerciale tedesco è mal posto, strumentale e probabilmente incoerente. Mal posto perché parte dal presupposto che il saldo della bilancia commerciale di un Paese in deficit come gli Stati Uniti rifletta solo e unicamente una condizione di ingiustizia, invece che una colpevole condizione di mancanza di competitività. È strumentale perché la paventata ingiustizia viene usata per giustificare eventuali ritorsioni commerciali. È incoerente perché, a guardar bene, le argomentazioni usate da Trump dovrebbero invece portarlo a concludere che la cosa migliore per lui sarebbe un rafforzamento non una riduzione del libero scambio”.
Marco Zatterin su La Stampa parla di “un passo avanti e tre quarti indietro”. “Almeno le posizioni sono chiare”, afferma l’inviato del quotidiano torinese, “sei paesi su sette sono determinati a tagliare le emissioni nocive per fermare il riscaldamento del pianeta. Tutti dicono che il libero commercio olia la crescita, tutti dicono che il protezionismo non protegge e per la prima volta, su pressione franco-americana, ammettono che la globalizzazione ha una faccia oscura. Sulla Russia hanno una posizione ragionevole, pronti a nuove sanzioni ma pragmatici sulla necessità di parlare con Putin per risolvere le crisi”.
Merkel farà da sola. “Non mi fido di Trump e May”
L’Europa deve prendere nelle proprie mani il suo futuro perché con gli Usa e il Regno Unito “sono finiti i tempi in cui ci potevamo fidare gli uni degli altri”. Parole assai dure quelle utilizzate dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, per tirare le somme dell’ultimo G7.
“Me ne sono accorta negli ultimi giorni”, ha detto Merkel nel corso di un comizio elettorale a Monaco di Baviera. E se resta la necessità di mantenere buoni rapporti con Londra e Washington, ha aggiunto, è con Parigi che bisogna coltivare una relazione speciale. Le parole di Merkel pesano particolarmente perché pronunciate all’indomani del vertice del G7 a Taormina, che la cancelliera non ha nascosto di aver trovato estremamente deludente, un vertice “di sei contro uno” in cui le discussioni sono state molto difficili, per non dire insoddisfacenti”.
Trump potrebbe uscire dall’accordo di Parigi
A suscitare frustrazione è soprattutto l’atteggiamento sfuggente e poco costruttivo di Donald Trump su dossier quali il clima e il commercio internazionale. Il presidente degli Stati Uniti si è dato una settimana di tempo per prendere una decisione sull’accordo di Parigi per limitare i cambiamenti climatici. E, secondo il sito Usa Axios, Trump in privato ha detto a molte personalità, compreso l’amministratore dell’Agenzia federale sull’ambiente (EPA), Scott Pruitt, che lascerà l’accordo. Si tratterebbe della conferma di quanto detto in campagna elettorale sull’abbandono delle politiche ambientaliste del suo predecessore Obama. Secondo Axios, però, alcune figure nell’amministrazione più sensibili ai temi ambiental, tra cui anche la figlia Ivanka e il genero Jared Kushner suggerirebbero al presidente di modificare alcuni parametri, ma di non lasciare l’intesa sul clima raggiunta a livello internazionale nella capitale francese. (AGI)
peter pan
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(di Stelio W. Venceslai)
Trump ha svolto la sua prima missione internazionale in Medio Oriente e in Europa. Tranne l’affare fatto con l’Arabia Saudita, cui ha venduto armi per oltre un miliardo di dollari, il resto è stato un fallimento per chi sperava in un qualche fatto nuovo. Trump ha stretto la mano a tutti, ad Abu Mazel come a Netanyahu, è stato a Gerusalemme, è andato in Vaticano (così ha messo a posto le tre fedi monoteistiche) e poi è venuto in Europa, alla NATO prima e al G7 poi.
A Bruxelles, alla NATO, ha fatto la voce grossa, perché è l’America che paga e gli altri no.
A Taormina, al G7, è stato un cafone: dieci minuti di ritardo la prima volta e un’ora la seconda. Un becero. Chi presiedeva era il padrone di casa, il mite Gentiloni. Un’organizzazione splendida che ha funzionato in modo perfetto, con un servizio di sicurezza imponente.
Però, Gentiloni parlava e lui stava senza auricolare. Non gliene importava nulla di quello che diceva il nostro Presidente del Consiglio. Lui, l’affare, l’aveva fatto a Riad, del resto, non gliene fregava nulla. Lui è americano, ha i quattrini, il potere, le bombe e la cattiva educazione. Virtù infallibili per il contributo americano agli equilibri mondiali.
La May se n’è andata il giorno stesso del G7: troppi problemi a casa, dopo Manchester. Chi gli ha tenuto testa è stata solo la Merkel, l’unico uomo di Stato in mezzo a tante mezze calzette. Situazioni inconciliabili. Dell’Europa e dei suoi problemi la nuova gestione americana se ne infischia. Mancava il commensale silenzioso: Putin. Forse, con lui, Trump sarebbe stato più educato.
Questa è la cronaca, vera, di ciò che è accaduto. Andiamo alla sostanza del discorso.
Primo: Trump ha parecchi problemi, a casa sua, al punto che potrebbe rischiare lo impeachment per la questione dei contatti con la Russia durante la campagna elettorale. La cosa è misteriosa. Prima, era lui che accusava la Clinton di avvalersi dei Russi, adesso, pare che le cose siano al contrario. Un pasticcio da cui emerge che i Russi, in America, sono molto più influenti di quel che si creda, anche in famiglia.
Secondo: a Riad ha lanciato una sfida al terrorismo islamico invitando ad una specie di guerra santa i notabili del Golfo contro l’ISIS che loro stessi hanno finanziato in odio all’Occidente. Quindi, ha scelto una linea politica filo sunnita perché ora, per lui, il nemico è l’Iran, che è sciita. Poco importa che Rohani, un quasi moderato, abbia vinto le elezioni a Teheran e che gli Iraniani combattano in Iraq contro l’ISIS. L’Iran è il nemico del momento, anche se in Iraq è un quasi alleato. Questa palese contraddizione è coerente con l’ambiguità della politica estera americana che in Medio Oriente non ha mai capito nulla di ciò che vi succede.
Nello Yemen è la stessa storia: Sunniti filo saudiani che combattono Sciiti filoiraniani. Sul piano politico-militare quelle armi e quegli equipaggiamenti saranno solo un modo per attizzare il contrasto con Teheran che, però, fila in perfetto accordo con Mosca e Damasco.
Terzo: la visita fatta a Roma è stata importante. Il Vaticano, con buona pace di tutti gli altri, è la maggiore potenza occidentale. I due si sono capiti. Non si sono amati, ma sembrano concordare sullo stesso obiettivo, la pace. Per il Papa è una missione, per Trump una parola. Basterà? Non hanno nulla in comune, solo spirito pratico. Il resto della visita a Roma non conta, compreso il colloquio con Mattarella e l’incontro fra la Boschi e la figlia di Trump: un’inutile sceneggiata.
Renzi non s’è visto, nonostante la sua smania d’apparire. Dopo che andò in America a fare il tifo per la Clinton, Trump lo vede come il fumo negli occhi. Figurarsi se dovesse fare ancora il Presidente del Consiglio!
Quarto: l’Europa deve guardarsi allo specchio e decidere cosa fare. La Merkel, forse, non ha ancora le idee del tutto chiare, ma ha scoperto l’acqua calda: se non prende in mano il sistema, l’Europa è schiacciata fra Putin e Trump. Le occasioni non mancherebbero, a partire dall’Ucraina. Macron è pallido e, al momento, inutile. Gli altri contano come il due di briscola. Se i giochi si fanno seri, in Europa c’è solo un giocatore: Berlino.
L’Europa deve decidere se entrare in coma profondo o reagire. Reagire significa prendere atto che non c’è protettore peggiore di uno che si è stancato di farlo. O l’Europa si sveglia e prende atto che la pacchia è finita e occorre fare da soli, oppure si sgretola come il tufo sotto la pioggia.
Quinto: dei molti temi che il buon Gentiloni aveva in mente di affrontare non è rimasto nulla, se non chiacchiere inutili. La presenza dei cinque Capi di governo africani è passata del tutto inosservata, solo come episodio di folklore.
Ambiente, emigrazione, cooperazione internazionale, diritti umani: tutto ciarpame. Quando Gentiloni ne parlava Trump non lo stava neppure a sentire fisicamente. L‘America non è più interessata a queste sciocchezze da salotto. Che l’Italia, se può, o l’Europa, se ci ripensa, se la cavino da sole. Questo è il trump-pensiero. Forse, in parte, ha pure ragione. La mamma si è stufata di fare la balia.
Quel che è certo è che, dopo questa missione internazionale, i termini del rapporto con gli Stati Uniti sono cambiati. O qualcosa cambia negli Stati Uniti o qualcosa deve cambiare in Europa.
Roma, 29 maggio 2017.
Bella analisi del Dott. Venceslai, da leggere e riflettere. Qualcuno lo sapeva che il mio amico Donal Duck non stava nemmeno a sentire quello che dicevano coloro che non parlavano inglese????
Nakatomy
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popolarità 1382
Memorial Day è il giorno nel quale negli Usa si rende omaggio e si commemorano i soldati americani caduti di tutte le guerre .
Questa foto la dedico alla
Redazione Italia.com
Dio benedica gli Stati Uniti d’America