Il presidente francese chiede al Consiglio Ue misure difendere le imprese europee, in particolare dall’avanzata degli investitori cinesi, nei «settori strategici». Anche a costo di passare per protezionista, in un’epoca in cui proprio l’Europa punta il dito contro l’America di Trump per la sua chiusura.
Tra due giorni inizieremo a capire se Emmanuel Macron è veramente in grado di mettersi al timone dell’Europa. Il neopresidente francese debutta domani al Consiglio europeo di Bruxelles (che durerà fino a venerdì) e si presenterà subito con un dossier che è stato uno dei suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale: il commercio internazionale. La sua priorità è nota: difendere le imprese europee, in particolare dall’avanzata degli investitori cinesi, nei «settori strategici». Anche a costo di passare per protezionista, in un’epoca in cui proprio l’Europa punta il dito contro l’America di Trump per la sua chiusura.
E sono proprio i partner europei più allergici alle barriere commerciali che il leader francese dovrà cercare di convincere. Germania e Italia sono al suo fianco, ma nelle riunioni preparatorie di questi giorni tra gli sherpa è emersa una certa resistenza soprattutto tra i Paesi nordici. Svezia, Olanda, Danimarca, Finlandia – ma la lista è più lunga – non vogliono che l’Europa sposi la linea del protezionismo. E così è partito il lavoro per limare il testo delle conclusioni del vertice. L’ultima bozza dice che «il Consiglio europeo invita la Commissione a esaminare i modi per identificare e schermare gli investimenti da Paesi terzi in settori strategici». Ma, rispetto alla prima versione del testo, il fronte del Nord è riuscito a far aggiungere che tutto avverrà «rispettando le competenze degli Stati membri».
Una fonte diplomatica spiega che una via d’uscita potrebbe essere la creazione di una sorta di legge-quadro europea che garantisca agli Stati la possibilità di intervenire per filtrare ed eventualmente frenare gli investimenti esteri. Possibilità, ma non obbligo: le singole capitali sarebbero lasciate libere di decidere autonomamente. Macron vorrebbe qualcosa di più, una sorta di scudo europeo, decisamente più solido ed efficace. Robotica, chimica, manifatturiero: questi i settori che vedono il Dragone in prima linea nelle operazioni di fusione e acquisizione delle imprese europee. Anche se il terreno di conquista preferito resta l’America, con un flusso in entrata di 385 miliardi di dollari nel 2016 (dieci volte tanto gli investimenti nell’Ue), in crescita dell’11% rispetto al 2015.
Più difficile, invece, trovare consenso tra i leader del Vecchio Continente sul Buy European Act, altro cavallo di battaglia di Macron. Il francese vorrebbe vietare l’accesso agli appalti pubblici a tutte quelle aziende che non hanno almeno il 50 percento della loro produzione in Europa. Progetto già bocciato da alcuni esponenti della Commissione (il vicepresidente Jyrki Katainen su tutti) e da diversi capi di Stato e di governo. Una misura giudicata troppo protezionistica: a Bruxelles si preferisce puntare sul concetto di «reciprocità». Gli appalti pubblici restano aperti alle imprese di quei Paesi che concedono l’accesso alle imprese europee.
L’Ue, si legge sempre nella bozza delle conclusioni, «manterrà il mercato aperto» e «combatterà il protezionismo» per «promuovere un’agenda per un commercio libero». Libero, ma «equo». Quindi con alcuni limiti: dovrà quindi proseguire il lavoro per definire «strumenti di difesa commerciale moderni e compatibili con il Wto per combattere le distorsioni». Proprio ieri la commissione Commercio internazionale dell’Europarlamento ha approvato il nuovo sistema di dazi anti-dumping, che aggira il problema del riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina. Tra le novità, l’eliminazione dell’onere della prova a carico delle imprese (spetterà agli esportatori) e l’uso dei prezzi internazionali come criterio per valutare se c’è una distorsione di mercato.
E i rapporti con Trump? Nelle conclusioni del vertice non c’è traccia dell’asse transatlantico. Anzi, l’Ue guarda altrove e punta a chiudere gli accordi commerciali con i Paesi del Mercosur, il Messico e il Giappone. Il Ttip è «congelato», dice la commissaria Cecilia Malmstroem. Per non dire sepolto.
Fonte: La Stampa
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