I parlamentari hanno l’immunità, non l’impunità totale “a divinis”

L'ex deputato Udc Luca Volonté a processo per essersi venduto un voto, per la Cassazione non c'è insindacabilità: è reato e va perseguito.

Il lavoro di un parlamentare è insindacabile. Ma quando un parlamentare, per espletare le funzioni legate al suo mandato riceve dei soldi per orientare il proprio voto, allora non è più lavoro, ma reato. Sembra un principio sacrosanto di etica, quasi banale, eppure c’è voluto un pronunciamento della Cassazione per riaffermarlo.

Tutto nasce dal ricorso presentato alla Procura di Milano contro il proscioglimento dell’ex deputato dell’Udc, Luca Volontè, finito sotto accusa per aver ricevuto da politici azeri una tangente da oltre 2 milioni di euro per far passare un provvedimento favorevole al governo dell’Azerbaijan nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

“«L’immunità prevista dall’articolo 68 primo comma della Costituzione (‘i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e di voti dati nell’esercizio’, ndr) non preclude la perseguibilità del reato di corruzione per esercizio della funzione in relazione all’attività del membro del Parlamento»”, riporta Il Fatto Quotidiano. “Il gup di Milano, nel decretare il non luogo a procedere, non ha fatto alcuna valutazione sulla sostenibilità in dibattimento dell’accusa, ma si è limitato ‘ad elevare erroneamente l’insindacabilità delle condotte ascritte all’imputato e quindi l’operatività della clausola di immunità’. I supremi giudici hanno quindi annullato senza rinvio quella decisione trasmettendo gli atti al tribunale di Milano”.

La Cassazione ci è andata con mano pesante. “Secondo l’accusa, avrebbe compiuto ‘attività politica volta ad orientare le votazioni del proprio gruppo parlamentare in senso contrario all’approvazione del cosiddetto rapporto Straesser sulle condizioni di prigionieri politici in Azerbaijan’. Va valutato, scrive la VI sezione penale nella sentenza n. 36769 relativa all’udienza dell’8 giugno, ‘con estrema attenzione il profilo concernente la qualificazione dell’utilità data o promessa come ‘indebit’”, aggiunge il quotidiano.

E ancora “Tuttavia, ‘se lo svolgimento dell’attività politica si caratterizza, anche istituzionalmente, per una costante ed anche doverosa attività di compromesso e di composizione di interessi di parte, in tale ambito non può ritenersi rientrare la ricezione di utilità, anche estremamente rilevante, come ad esempio cospicue somme di denaro a titolo meramente personale: in questa ipotesi, infatti, si fuoriesce dall’attività di composizione e di rappresentanza di interessi e si perviene ad uno sfruttamento ai fini privati dell’esercizio dell’altissimo ufficio pubblico ricoperto’”.

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