Maduro senza freni, aziende italiane in fuga dal Venezuela

Nominati figlio e moglie nella Costituente, l'opposizione parla di “nuova dittatura” e gli investitori esteri scappano.

Dopo il voto di domenica 30 luglio che autorizza la (finta) Assemblea costituente, peraltro non riconosciute dai governi di quasi tutti gli Stati occidentali, Maduro può tranquillamente prendersi il futuro del Venezuela.

Tra i primi effetti di questa presa di potere c’è la fuga di oppositori e rappresentanti delle istituzioni giudiziarie. Infatti, altri due magistrati del Tribunale supremo di giustizia, Beatriz Ruiz e Josè Fernando Nunez, nominati dal Parlamento su indicazione delle opposizioni, si sono rifugiati nell’ambasciata cilena a Caracas e sono sotto la protezione delle autorità di Santiago, che si dicono pronte a concedere l’asilo se i due magistrati ne faranno richiesta.

E mentre il presidente degli Stati Uniti chiede a Maduro il rilascio di tutti i prigionieri politici, il plenipotenziario presidente venezuelano ha nominato il figlio 27enne Nicolas Ernesto Maduro Guerra tra i 545 membri della nuova Assemblea costituente. Che diventa così un vero e proprio affare di famiglia, perché assieme a “Nicolasito” riscriveranno la Costituzione anche la matrigna e la moglie del capo dello Stato, Cilia Flores.

Intanto la tensione cresce nel Paese, tanto che le opposizioni hanno deciso di rinviare a giovedì 3 agosto la manifestazione prevista per per mercoledì 3. Ufficialmente la decisione è stata presa per far coincidere la protesta con l’insediamento della nuova Costituente, ma ormai si parla apertamente di “nuova dittatura”, che nei giorni scorsi Maduro ha ordinato di sedare senza farsi troppo scrupolo ad usare le armi e insaguinare le strade del suo stesso Paese.

Questo clima rovente produce anche ripercussioni inevitabili su un’economia già disastrata. Gli investitori esteri, che avrebbero potuto portare ossigeno alle casse venezuelane, richiudono in fretta i bagagli pur di allontanarsi il prima possibile da una situazione diventata ormai insostenibile. Italiani compresi, ovviamente.

La grande fuga delle imprese

Le imprese italiane se ne sono andate dal Venezuela e, per ora, lo considerano un buco nero sulla carta geografica. Eppure la comunità italovenezuelana è numericamente forte e gli interessi, da un punto di vista economico, sono stati cospicui: Astaldi, Salini Impregilo, Enel non sono più presenti da tempo e le prospettive di ripartenza, per ora, vengono giudicate irrisorie.

Il gruppo Astaldi ha lavorato per lunghi anni in Venezuela e durante la stagione dell’ex presidente Hugo Chavez, deceduto nel 2013, è stato impegnato in progetti infrastrutturali importanti: la costruzione di tratte ferroviarie. «Poi – spiegano fonti di Astaldi – tutto è rimasto sospeso, le scadenze sono state allungate e i progetti, di fatto sospesi». La grave crisi economica che affligge il Paese non ha consentito a Maduro di procedere con l’assegnazione di grandi opere. Per questo il personale è stato dislocato in altri Paesi latinoamericani, Cile, Perù e Argentina.

Dal 2014 la ritirata è stata definitiva. «Rimangono a Caracas due italiani come presidio per il committente, Astaldi, perché il contratto è formalmente ancora in vigore.

Ancora più categorica la dirigenza di Salini Impregilo, secondo cui «il Venezuela viene ormai considerato alla stregua della Libia. Al di là del Mediterraneo c’era un volume di affari di 9 miliardi di dollari, ormai persi. Non consideriamo più il Venezuela come un problema, il business è stato inserito in un congelatore virtuale».

Enel è un altro gruppo presente in America Latina, in vari Paesi. «Ma dal Venezuela ce ne siamo andati da molto tempo». Unica eccezione è l’Eni, presente da decenni e decisa a mantenere la sua presenza in un Paese così ricco di petrolio.

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Anche altre realtà manifatturiere italiane attive in Venezuela hanno già tirato il freno da tempo, con il progressivo deterioramento del quadro politico e congiunturale locale. È il caso di Pirelli, fino a poco tempo fa il principale produttore di pneumatici per motocicli in Venezuela. Il gruppo, come hanno fatto altre realtà dell’automotive, ha deconsolidato dalla fine del 2015 la controllata Pirelli Venezuela, per ridurre al minimo eventuali rischi. A metà giugno l’azienda, attiva nel Carabobo, ha annunciato che per mancata disponibilità di materia prima ci sarebbe stata una sospensione temporeanea della produzione. A oggi l’operatività non è ancora ripresa. Situazione simile per Cnh Industrial. Lo stabilimento della controllata Iveco Venezuela ha sede nell’Aragua e si occupa dell’assemblaggio di componenti industriali per veicoli leggeri e medio-pesanti. Il difficile quadro congiunturale ha impattato sulle scelte strategiche. La produzione – confermano fonti aziendali – è stata ridotta al minimo negli ultimi anni, in attesa di cogliere segnali di ripresa. Nel 2014 e nel 2015 dallo stabilimento sono uscite poche centinaia di componenti, poi nel 2016 e nel 2017 la produzione si è praticamente azzerata.

Altre realtà di piccola-media dimensione hanno progressivamente raffreddato, nell’ultimo decennio, eventuali tentativi di approccio al mercato venezuelano, complice l’obbligo di reinvestire l’attivo di cassa sul territorio, rendendo così impossibile consolidare gli utili nel conto centrale in Italia.

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Non è più attiva sul mercato venezuelano neppure Italferr, la controllata di Ferrovie dello Stato attiva nei grandi progetti infrastrutturali ferroviari. La società ha sviluppato la progettazione definitiva delle opere civili per la tratta El Palito-La Encrucijada e la progettazione preliminare per le infrastrutture e le opere ferroviarie del collegamento Moron-Porto Intermodale di Puerto Cabello (27 km), per conto del Consorcio Gruppo Contuy, oltre alla progettazione definitiva ed esecutiva delle opere ferroviarie della linea El Palito-La Encrucijada. Le attività sono state portate a termine nel dicembre del 2010.

D’altra parte il Venezuela è difficile anche da raggiungere: Alitalia ha sospeso i voli da molti mesi e negli ultimi giorni anche Air France e Iberia hanno fermato i voli per Caracas. «Troppo rischioso».

di Roberto Da Rin

Fonte: Il Sole 24 Ore

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