Ha i toni e i personaggi di un giallo (di serie B) l’indagine in corso al palazzo di giustizia meneghino, che ha rilevato gli atti dalle Procure siciliane di Trani e Siracusa. Tra i reati ipotizzati, l’«esistenza di un complotto contro Eni e in particolare il suo amministratore delegato Claudio Descalzi (nella foto)».
Il «legale esterno di Eni spa» Pietro Amara (avvocato siracusano di processi ambientali del cane a sei zampe in Sicilia), il suo collaboratore Alessandro Ferraro, il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi, e «altre persone interne ad Eni spa in corso di identificazione», sono indagate dalla Procura di Milano per l’ipotesi di «associazione a delinquere» per aver «concordato e posto in essere un vero e proprio depistaggio» attraverso «esposti anonimi e denunce» alle Procure di Trani e di Siracusa nel 2015-2016, e «false dichiarazioni al pm di Siracusa» circa l’«esistenza di un complotto contro Eni e in particolare il suo amministratore delegato Claudio Descalzi».
Intralcio ai processi in corso
Un «depistaggio» (tramite «più delitti di calunnia, diffamazione, false dichiarazioni e favoreggiamento») che il pm Laura Pedio ipotizza compiuto per «intralciare lo svolgimento dei processi in corso a Milano contro Eni e i suoi dirigenti» (come Descalzi e Scaroni). E «per screditare i consiglieri indipendenti di Eni spa, Luigi Zingales e Karina Litvack»: l’uno dimessosi, e l’altra allontanata dal gruppo (per poi essere richiamata su pressione dei fondi stranieri 4 mesi fa nel Comitato Controllo), a cavallo dei fascicoli dei pm di Trani e soprattutto di Siracusa sul supposto complotto anti-Descalzi, che li avevano indagati l’8 luglio 2016 per l’ipotesi di diffamazione aggravata con l’amministratore delegato di Saipem, Umberto Vergine.
Rischia dunque di ridiventare una cosa seria la prospettazione a Trani e Siracusa di un complotto internazionale volto a far dimettere Descalzi per sostituirlo con Vergine, animato da Zingales e Litwak nell’interesse di 007 nigeriani e imprenditori iraniani, con la regia di avvocati Telecom legati all’ex presidente Franco Bernabè quali Antonino Cusimano, Bruno Cova e Luca Santamaria, e con la fumosa partecipazione del petroliere (e ora banchiere di Carige) Gabriele Volpi, dell’ignaro imputato milanese Pietro Varone, e dell’imprenditore Marco Bacci amico del premier Matteo Renzi.
Anonimi e pen-drive
Rischia di ridiventare una cosa seria non perché lo sia mai stata questa spy-story franata con il passaggio degli atti a Milano e il loro disvelamento nella richiesta il 20 marzo 2017 di archiviare i 3 indagati da Siracusa; ma perché serio — si scopre ora dalla contestazione rivolta a Gaboardi, avvalsosi a Milano della facoltà di non rispondere — affiora un legame di soldi tra Ferraro e Gaboardi.
Il factotum dell’avvocato siracusano esterno dell’Eni (Amara) avrebbe infatti in parte promesso e in parte già versato denaro a Gaboardi (tramite un parente di Gaboardi) per indurlo a rafforzare con le proprie improbabili dichiarazioni al pm di Siracusa sul complotto anti-Descalzi quelle del precedente dichiarante (lo stesso Ferraro). Le une e le altre, guarda caso, sovrapponibili al contenuto di tre scritti anonimi e di un altrettanto anonimo audio su pen drive fatti pervenire tra gennaio e luglio 2015 ai pm di Trani, e di un esposto di Ferraro in agosto ai pm di Siracusa su un confuso tentato suo sequestro da parte di rapitori di pelle nera.
Gli anonimi mossero i pm pugliesi Capristo-Savasta-Pesce che il 10 maggio 2015 acquisirono in Eni gli atti sugli interventi di Zingales (e uno degli anonimi mostrò poi di sapere ciò che solo Eni oltre ai pm poteva sapere, e cioè che fossero state acquisite anche mail tra Zingales e la presidente Marcegaglia); mentre l’esposto mosse il pm siracusano Giancarlo Longo (oggi trasferitosi a Napoli come giudice dopo che il Csm per tutt’altre ragioni ha avviato mesi fa una procedura di incompatibilità ambientale), il quale il 22 aprile 2016 ricevette l’intero fascicolo da Trani e il 10 maggio indagò Gaboardi per il tentato condizionamento del vertice Eni, società che con l’allora capo ufficio legale Massimo Mantovani si affrettò per la nomina di persona offesa e una cautelativa querela di parte.
Periti, fatture, giudici
Amara — 48enne difensore molto attivo anche in Cassazione e Consiglio di Stato, anni fa discusso per la vicinanza a toghe siracusane fra i quali un ex procuratore capo e un ex pm finirono condannati per abuso d’ufficio dalla Cassazione — dopo aver avuto nel 2009 una pena sospesa di 11 mesi per accesso abusivo (tramite un cancelliere di Catania) a notizie segrete, due anni fa è stato archiviato dalla Procura di Cassino (al pari di un vicepresidente Eni) in un’altra indagine: quella nata dal perito chimico del Tribunale di Gela che aveva denunciato (e registrato) un imprenditore frusinate mentre, asseritamente nell’interesse di Eni, offriva soldi per aggiustare la perizia ambientale sulla raffineria di Gela.
Altre traversie giudiziarie Amara ha attraversato con Ferraro, entrambi archiviati nel 2014 in un filone di indagini sui pm di Siracusa, e nell’aprile 2017 indagati dalla Procura di Roma per l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata a false fatture: qui è emerso (allo stato senza riverberi penali) che l’avvocato è socio di un giudice amministrativo (già presidente ad interim del Consiglio di Stato) in una società maltese che si proponeva di investire in una start-up tecnologica (in parte di Amara e in parte di Bacci) 750.000 euro di un’eredità del magistrato.
Fonte: Corriere della Sera