Non possiamo negare che stiamo vivendo in un’epoca particolare, in cui tutti sembrano dover nascondere qualcosa, celare la propria vera natura, schermarsi dagli altri che vengono visti come antagonisti, rivali, persone che vogliono qualcosa o che hanno sempre un secondo fine. Il risultato di questa realtà è che ci abituiamo a mettere delle barriere per difenderci, barriere talmente alte che in alcuni momenti diventano inaccessibili persino a noi stessi e ci portano a dimenticare chi siamo davvero.
In virtù di questa abitudine ci sembra scontato credere che ogni cosa sia complicata, che i rapporti con gli altri siano falsati e che ogni frase, ogni affermazione, nascondano qualcosa di diverso rispetto a ciò che sentiamo attraverso il suono della voce. Dunque una risposta non viene mai presa per quella che è, le parole vengono continuamente interpretate anziché ascoltate, i gesti vengono considerati come mezzi per ottenere qualcosa che non ci viene confessato… e così via in un gomitolo infinito di dubbi, perplessità, sospetti, diffidenza. La cosa paradossale è che più il filo della sfiducia si avvolge su se stesso, più dimentichiamo di considerare il centro, il punto di partenza, quello in cui la fiducia non si era sgretolata e il sospetto non aveva ancora soffocato la nostra vera essenza.
E’ davvero così?
Ci fa bene partire sempre dal presupposto che la persona davanti a cui ci troviamo, non sia sincera e che sia necessario dover interpretare le sue parole, i suoi gesti e la sua personalità?
Come possiamo indovinare le intenzioni di qualcuno se non crediamo a ciò che ci dice e ci inoltriamo in un percorso a ostacoli in cui tutto diventa, per forza di cose, complicato e contorto proprio in virtù della diffidenza?
Non è forse sbagliato basarsi sulle esperienze passate per rapportarci a un presente che è necessariamente diverso e nuovo, essendo diverse le persone con cui ci rapportiamo?
E ancora, siamo sicuri che le complicazioni delle vicende precedenti non siano state a loro volta generate dalla nostra interpretazione che può aver complicato qualcosa che invece avrebbe potuto essere semplice?
Molto spesso si tende a leggere i comportamenti degli altri attraverso il filtro della nostra personalità, mettendoci nella loro testa ma con il nostro modo di pensare, attribuendo alle loro azioni un significatoche è quello che avrebbe per noi se ci comportassimo allo stesso modo, dimenticando che potrebbe non essere affatto ciò che invece significa per loro, chiedendo, a volte anche pretendendo, che diano le risposte che ci aspettiamo con le stesse parole che useremmo noi. Salvo poi chiuderci a riccio se le stesse cose, le medesime accuse, le uguali pretese, vengono chieste a noi, perché noi siamo così e il resto del mondo ci deve accettare per come siamo.
Il disequilibrio tra ciò che riteniamo giusto che gli altri rispettino di noi e ciò che noi, al contrario, non riusciamo a rispettare negli altri, è la causa di un’infinità di maschere che indossiamo, giorno dopo giorno, fingendo a seconda della convenienza del momento, di essere più o meno disposti a cedere, alimentando in noi la convinzione che anche gli altri facciano lo stesso. E il filo si arrotola sempre di più facendo crescere il gomitolo di intrecci, incomprensioni, sospetti, diffidenze.
Ma se ci prendessimo un attimo per tirare il capo di quel filo, per svolgerlo fino ad arrivare a quello opposto, nascosto nel centro del gomitolo, potremmo scoprire con sorpresa che tutto il tempo passato a nasconderci tra le sue trame è servito solo a farci perdere di vista la semplicità, la facoltà di guardare l’altro in fondo agli occhi, ascoltare davvero le sue parole, capire chi è indipendentemente da come lo interpretiamo noi. Se ci prendessimo un attimo potremmo capire che in fondo tutte le complicazioni che abbiamo sempre dato per scontate erano in realtà solo un nostro modo attraverso il quale ci volevamo schermare da delusioni e che senza quello schermo le cose sono molto più semplici.
Magari non più facili ma sicuramente più semplici.
di Marta Lock
dal blog L’attimo fuggente