Vuole apparire più incisivo di Paolo Gentiloni e più sobrio di Matteo Renzi. Ambizioso certo ma si mostra meno scostante di Carlo Calenda. indifferente. Insomma l’uomo giusto per vincere la paura. Paura è la parola chiave del lessico di Marco Minniti che, un tassello dopo l’altro, con discrezione ma senza timidezze, sta costruendo la sua immagine di leader. Certo il ministro dell’Interno non è il tipo che si sbraccia per farsi notare, non ne ha bisogno.
Non affolla i social con i suoi tweet e non occupa a tempo pieno le poltrone televisive ma sul suo successo vanta alcune certezze. Al momento è il ministro più popolare del governo Gentiloni, i cittadini lo apprezzano e non dispiace al centrodestra per le sue scelte rigorose in tema di sicurezza ed immigrazione.
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Così nella strategia del responsabile del Viminale sembra sia arrivato il momento di scoprirsi un pochino di più. Ovvio che per un politico definito Lord of the Spies un paio di mesi fa dal New York Times il gioco non prevede attacchi frontali. È una partita a scacchi nella quale ieri Minniti ha deciso di muovere un pezzo pesante, una torre diremmo, invocando «la solidarietà nazionale» sui temi del terrorismo e dell’immigrazione.
In una lunga intervista al Corriere della Sera Minniti è tornato a parlare della sua ossessione: la paura «tema cruciale della società moderna». Paura prima di tutto del terrorismo islamico ma per combatterlo «abbiamo un know-how. Sappiamo come fare», assicura l’uomo forte Minniti. Ma su questo fronte bisogna esser uniti, niente divisioni all’interno degli schieramenti ma anche con le altre forze politiche.
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«La profonda unità delle grandi forze politiche su questi temi dovrebbe essere un valore sentito da tutti» dice Minniti, l’uomo di Stato che dunque si propone come possibile punto di convergenza tra destra e sinistra per supportare il bene superiore della tenuta democratica. La solidarietà nazionale infatti ha un preciso riferimento storico agli anni di piombo e alla lotta comune di tutti i partiti politici contro il terrorismo.
Per Minniti «sui grandi temi di fondo un grande Paese non si divide. La mia scelta di metterci la faccia, senza entrare nel campo aperto della contrapposizione politica, ha questo significato». Il quadro delle prossime elezioni politiche è incerto. Nessuno dei candidati leader in corsa probabilmente avrà i voti sufficienti per entrare a Palazzo Chigi. Al presidente della Repubblica toccherà il compito di trovare l’uomo giusto.
Minniti ha dunque bisogno di affrancarsi dall’immagine di uomo di partito proponendosi come uomo delle istituzioni con una prerogativa in più rispetto agli altri candidati: la sua esperienza alla guida dell’intelligence, preziosa in un momento in cui l’Italia ed il mondo vivono sotto la costante minaccia del terrorismo e la pressione dei flussi migratori incontrollati.
E Minniti ha le risposte giuste. «Se vogliamo fermare il traffico di esseri umani, dobbiamo stabilizzare la Libia – afferma Minniti -. I trafficanti hanno bisogno di istituzioni deboli, di sovranità sfumata, di controllo del territorio». E tra i migranti l’infiltrazione dei terroristi è una realtà. «Ora che l’Isis viene sconfitto, i legionari tornano a casa – ammonisce Minniti -. E qualcuno potrebbe tentare la sorte lungo la rotta dei flussi migratori».
Fonte: Il Giornale