La reazione, quasi liberatoria da ambo le parti, conferma come l’addio fosse già avvenuto nei fatti. Perché c’è un qualcosa che rivela una certa insofferenza nelle parole di Pisapia che liquida l’intervista di Roberto Speranza al Corriere con un “buon viaggio, non voglio fare un partitino del tre per cento”. E nelle risposte, altrettanto polemiche, dei big di Mdp con Gotor, che sarcastico, ricambia gli “auguri” in “speranzosa attesa del partitone di Pisapia” ed Enrico Rossi che già prefigura l’alleanza dell’ex sindaco col Pd e con Alfano. Insomma, game over di un progetto mai nato e consumatosi in mesi di non detti, incomprensioni, avvitamenti politicisti.
L’alleanza tra M5S e Lega è già una realtà consolidata
Con i suoi, Pisapia è più esplicito: «Non sono interessato ad una piccola sinistra di reduci: lì ormai comanda solo D’Alema e anche Bersani si è rivelato succube». La rottura a sinistra dunque si consuma, e tocca a Mdp prendersene la responsabilità. È la fine di un tormentone iniziato in luglio con la manifestazione di Santi Apostoli, dove Pisapia ha lanciato la propria candidatura a leader di una fantomatica sinistra extra-Pd e si è subito ritrovato presidiato dai due dioscuri di Mdp, che gli inzepparono la piazza di bandiere rosse, innervosendolo subito. La diatriba si è trascinata fino all’autunno, con il Pd a fare da spettatore interessato, perché dai cocci della sinistra ha tutto da guadagnare.
Non a caso, nell’ultima riunione di direzione, Matteo Renzi ha usato toni (fintamente) affettuosi con gli scissionisti, spiegando che «non sono loro i nostri avversari» e ha aperto le porte a chi volesse allearsi con il Pd per fare una sinistra di governo. La legge elettorale in discussione alla Camera ha dato un grosso contributo alla conclusione del tormentone: i collegi uninominali e il meccanismo delle coalizioni rendono appetibile l’alleanza con il partito più grande. Mentre un micropartito come Mdp non ha alcuna speranza di eleggere parlamentari nei collegi uninominali, e poche certezze di raggiungere la soglia del 3% a livello nazionale. Non a caso è, insieme ai grillini, ferocemente contraria alla nuova legge.
Al momento sono una decina i parlamentari dati in uscita dal gruppo con Mdp, tra cui Michele Ragosta, Filiberto Zaratti, Toni Matarrelli che, stamane, era con l’ex sindaco a Mesagne. Al Nazareno risulta che, nel segreto dell’urna, voteranno per il Rosatellum. Lo schema, mutatis mutandis, riproduce quel che accadde prima del referendum, quando Pisapia si schierò per il Sì proprio con l’idea di una coalizione col Pd. Ora, al posto della riforma, c’è la legge che mira a far fuori Mdp e Cinque stelle. E non è un caso che, parlando a Mesagne, il leader di Campo progressista ha usato parole morbide definendo le liste bloccate una “anomalia” e auspicando un po’ più di maggioritario. Non proprio l’annuncio di una opposizione che impensierisce. Al Senato, invece, l’operazione gruppi pare più complicata perché non c’è un gruppo che si stacca, ma vari senatori in ordine sparso: Manconi è nel Pd, Stefano e Uras nel misto, anche se votano nel Pd, quelli dell’Idv che aspettano di vedere come vanno le cose.
Finisce così. Con un matrimonio che non si celebra quando c’è da decidere la “data” della famosa costituente a sinistra del Pd. Sei mesi buttati, tre dal giorno in cui Pisapia concluse la manifestazione in piazza Santi Apostoli. Ora invece c’è un punto fisso, il 19 novembre, ma tutto il resto è ancora da definire, nell’ambito di un progetto che, nel Pd, viene già definito come la “nuova Cosa Rossa” o una sinistra “alla Bertinotti”. Ne hanno già parlato nei giorni scorsi Speranza, Civati e Fratoianni, convergendo sulla necessità di un appuntamento “il più ampio possibile, partecipato, e democratico”, che non dia il senso di una ridotta identitaria e susciti entusiasmo dopo mesi incomprensibili. È ancora tutto da definire: modalità, questione del nome, simbolo, un minimo di programma comune. E le modalità con cui prenderà parte quella sinistra del Brancaccio di Anna Falcone e Tomaso Montanari che il primo luglio non fu neanche invitata a parlare. Ed è, soprattutto da definire, chi sarà il leader e come si scegliere.
L’idea, al momento, è quella di non avvitarsi attorno alla discussione sul frontman “per non perdere un altro mese di tempo” e di costruire un “processo democratico” degno di questo nome attono ai quarantenni: Speranza, Fratoianni, Civati. In molti però hanno notato un qualcosa di diverso nell’intervento di Errani a Ravenna: “È un nuovo Vasco, col piglio da leader, molto più passionale del solito”. Uomo di governo, cultura istituzionale, grandi capacità di mediazione: chi potrebbe dire con uno così che sta nascendo la Cosa Rossa? Chissà.
robyuan
1884 commenti
popolarità 930
Buccino
43 commenti
popolarità 19
robyuan
1884 commenti
popolarità 930