Il cybercrimine non è nato con lo sviluppo dei sistemi tecnologici, ma è un problema che risale addirittura all’800. Già, i primi hacker esistevano molto prima che fosse soltanto concepito il più remoto pensiero che potesse portare poi alla costruzione dei personal computer o della rete Internet.
Secondo quanto scrive la rivista Focus, infatti, già il telegrafo era uno strumento “attaccabile” dai pirati delle comunicazioni. “Nel 1834 due fratelli, François e Joseph Blanc, a capo di una società d’investimento di Bordeaux, trovarono il modo per bucare la rete governativa, facendo inserire un codice quando c’erano state delle fluttuazioni considerevoli sulla Borsa di Parigi”, scrive il magazine, “in questo modo sapevano in poche ore quello che gli altri operatori finanziari avrebbero saputo 5 giorni dopo, con l’arrivo delle informazioni ufficiali attraverso la diligenza postale. E così potevano giocare d’anticipo nella Borsa di Bordeaux”.
C’entrava la finanza anche allora, perché “i due fratelli pagarono un operatore compiacente della sede del telegrafo di Tours per inserire a fine messaggio, nella sequenza di controllo, una frase in codice (ad esempio: errore- cancellare l’ultimo simbolo trasmesso), per segnalare che le rendite dei titoli di Stato erano aumentate del 3%. Il codice non modificava il messaggio principale – e dunque non destava sospetti o creava problemi -, ma una volta intercettato dall’operatore di Bordeaux, era infine comunicato ai due fratelli. In due anni i fratelli Blanc utilizzarono questo stratagemma 120 volte, guadagnando 100.000 franchi”.
Anche Marconi fu vittima degli antenati dei moderni hacker, mentre era impegnato in “una presentazione alla Royal Institution di Londra del suo telegrafo senza fili. In quel momento Marconi si trovava nella stazione radio di Poldhu, in Cornovaglia, pronto a trasmettere. A Londra, davanti al pubblico, c’era il suo assistente, il fisico John Ambrose Fleming. Proprio mentre quest’ultimo si stava preparando a ricevere, tra lo stupore generale, arrivò la parola ‘rats’ (topo di fogna). Poi una filastrocca che accusava Marconi di voler ‘fregare il pubblico’. Nello stupore generale fu chiaro a tutti che la linea era stata hackerata (anche se nessuno probabilmente utilizzò questo termine)”.
Cosa accadde? “Nevil Maskelyne, un pioniere delle prime trasmissioni elettromagnetiche, frustrato dai brevetti imposti da Marconi sullo sviluppo della tecnologia wireless. Il suo scopo era uno solo: dimostrare la vulnerabilitá del sistema di trasmissione appena inventato”. Oggi quell’uomo sarebbe definito un ‘hater’, secondo la terminologia moderna.
Anche i virus non sono una ‘novità’, perché “il 2 novembre 1988 Robert Tappan Morris, allora studente della Cornell University (e oggi docente di informatica al Mit) voleva capire quanto fosse grande e insicura internet. Costruì un piccolo software in grado di replicarsi e di diffondersi tra i computer e lo diffuse in rete. Qualcosa andò storto – racconta ancora Focus -, perché il worm bloccava anche i computer che infettava. L’attacco portò al collasso circa 6.000 macchine, quasi tutte appartenenti a istituzioni pubbliche. E procurò ingenti danni, anche economici”.