La trappola scatta lentamente, la politica all’interno delle istituzioni e non sul web logora chi ha soltanto ambizioni personali e chi contraddice ogni giorno quel che ha detto il giorno prima. Ci vorrà tempo, forse un mese, o di più, di paziente attesa. Poi i borbottii non saranno più un rumore di fondo ora appena percepibile: diventeranno malumori e frustrazioni, e cresceranno come un’onda che travolgerà le ambizioni di Luigi Di Maio.
È questa la convinzione che rasserena le notti di Matteo Salvini. È quello che crede, o spera: «Io avrò pure i miei problemi a tenere unito il centrodestra, ma Di Maio a breve avrà i suoi». Fino a quando il M5S resterà compatto dietro al suo leader che insiste a pretendere per sé la presidenza del Consiglio? Il tempo erode le certezze. Il resto, potrebbe farlo la paura di tornare al voto, e di rimettere in gioco l’elezione da parlamentare, di tanti debuttanti. Alla Camera e in Senato, negli oziosi pomeriggi ancora troppo pieni di inattività, comincia a farsi spazio, nelle analisi dei parlamentari, la domanda sulla tenuta del gruppo grillino.
È il più eterogeneo, frutto di una composizione di identità diverse nata in tutta fretta nell’ultimo mese di campagna elettorale, senza un collante ideologico forte.
Diversi leghisti hanno riportato a Salvini il contenuto di chiacchierate informali con alcuni colleghi del M5S, neoeletti ma anche deputati della vecchia guardia: «Dicono già che Di Maio non si può impuntare così. L’elettorato non capirebbe». Non capirebbe perché il Movimento che più di altri ha detto che sarebbe stata data priorità al programma, preferirebbe rinunciare al governo in nome di Di Maio premier. Salvini ha intuito la potenziale contraddizione e ha detto ai suoi colonnelli e a tutti i volti noti della Lega di dire in tv, in radio, sui giornali la stessa cosa: «Parlate solo di programmi e non di poltrone. Lasciamo le poltrone a Di Maio».
Così, calcola il leghista, se andrà a vuoto il primo giro di consultazioni si arriverà a un punto di sfinimento. Ed è vero che nel M5S c’è già chi pensa all’esito finale, l’unico che potrebbe salvare la legislatura in caso di stallo sulla premiership: «Se tutti e due non faranno un passo indietro, il presidente Sergio Mattarella proporrà un terzo nome a cui sarà difficile dire di no». Ma i 5 Stelle, che adesso evocano come probabile questo scenario, arriveranno a parlare anche apertamente della necessità di questo compromesso, sfidando volontà e desideri del proprio leader?
È su questa crepa che vuole lavorare Salvini, su una fronda governista che vede crescere all’orizzonte, soprattutto tra gli eletti grillini che hanno aderito al Movimento pochi mesi fa e potrebbero farlo implodere tra un mese. Uomini e donne della società civile che hanno risposto alla chiamata di Di Maio e che non vogliono appendere al chiodo delle aspirazioni del leader il sogno del governo. Sarà pure una coincidenza, ma il nuovo regolamento votato dai 5 Stelle accentra tutti i poteri sul capo politico, che da qui ai prossimi dieci anni sarà Di Maio. Comunicazione, gestione dei gruppi, azione politica. Tutto è sotto il controllo del leader. Al punto 5 dell’articolo 21 è prevista una multa di 100 mila euro per chi esprime dissenso politico, e viene espulso o si dimette. Un invito esplicito ad autocensurarsi con cui dovranno misurarsi i parlamentari che non saranno allineati al verbo di Di Maio, quando si giocherà l’ultimo tempo della partita del governo.
Ormai l’alleanza con la Lega è nei fatti. Vive nelle parole dei parlamentari grillini, che leggono solo come velleitari e inutili i tentativi di rivolgersi all’altro forno, quello del Pd. I 5 Stelle lo chiamano «il governo del cambiamento», alcuni leghisti «il mondo nuovo». Un universo per ora parallelo, raccontato nei retroscena, ma prossimo ad avverarsi. Ne parlano Di Maio e Salvini, nelle tante telefonate quotidiane («l’altra sera al ristorante non riuscivamo a parlare con lui» raccontano alcuni leghisti). Senza intermediari: Salvini non li vuole, né con Di Maio né con Silvio Berlusconi. Il leader con l’iPad sempre in mano ha chiesto il filo diretto. Per capire quali siano gli ostacoli, e come superarli, senza fraintendimenti. Di Maio gli sta ripetendo sempre le stesse cose. Le stesse che ha fatto arrivare anche al Colle: «Non cediamo su due punti. Io premier e Berlusconi fuori dal governo». Per il resto, è pronto a concedere i ministeri più importanti. Condizioni inaccettabili, per Salvini: «Non mi vedo a fare il ministro di un governo Di Maio». E sa di avere detto proprio «un governo Di Maio», non un governo «con» Di Maio.
Fonte: La Stampa
robyuan
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aglaia
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ps: che belle le vacanze a scuola!
robyuan
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aglaia
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allego di Mattia Feltri:
Tema: la democrazia diretta. Svolgimento: il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, che ha scelto i capilista dell’uninominale, ha vagliato le intere liste, designato i candidati ministri, può segnalare dissidenti e oppositori ai probiviri. I probiviri li ha nominati lui e li può revocare lui. Secondo il regolamento dei gruppi parlamentari approvato nella notte fra martedì e mercoledì, il capo politico ha anche indicato i presidenti dei gruppi di Camera e Senato, Giulia Grillo e Danilo Toninelli, poi votati all’unanimità. Se il capo politico ritiene, può rimuovere i presidenti. Il presidente, che può essere rimosso dal capo politico, nomina il comitato direttivo (vicepresidenti, tesoriere ecc.) su proposta del capo politico. I parlamentari del Movimento si eleggono il capogruppo in commissione, che però può essere rimosso dal presidente, che può essere rimosso dal capo politico.
Il presidente nomina direttore amministrativo, organo di controllo, capo dell’ufficio legislativo, capo del personale, nomine che può revocare in qualsiasi momento, così come il capo politico può revocare la sua. Il capo politico, insieme col presidente, decide l’azione politica e la comunicazione. I parlamentari che non condividono le decisioni del capo politico, o pregiudicano l’immagine e l’azione politica decisa dal capo politico, sono espulsi e pagano una penale di 100 mila euro. Invece i parlamentari che vogliono entrare nel Movimento, se accettati dal capo politico, lo fanno gratis. Il capo politico, forse, sarà anche capo del governo.
nerio
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Per me volendo tutto è possibile e il governo M5S-Lega è sempre stata l’unica ipotesi esperibile a partire dal 4 marzo: del resto sono le due uniche forze uscite vincitrici e per entrambe non avrebbe senso imbarcare i perdenti, che porterebbero solo intralcio.Di più le coalizioni, con il Rosatellum, esistono solo sulla carta ma non rappresentano dei veri schieramenti politici e parlarne è, letteralmente, fare il gioco di chi ha concepito una legge elettorale frutto di un intreccio perverso tra proporzionale (i due terzi) e maggioritario, che ha tutti i presupposti dell’incostituzionalità. Prova ne sia che all’interno del cdx ogni forza politica non solo ha un distinto programma politico ma questo è incompatibile con quello del proprio vicino.Quanto all’asserita diversità tra programmi economici, è tale se si resta in superficie: entrambi hanno di mira una riforma delle istituzioni europee che consenta all’Italia di recuperare sovranità economica.Che questo debba passare subito per il ripudio dell’euro oppure per una sua implosione controllata (tertium non datur) saranno gli eventi a deciderlo: al momento, sia M5S che Lega possono cancellare da domani la riforma Fornero, il jobs Act, le sanzioni con la Russia, il pareggio del bilancio in Costituzione (con i tempi necessari!); ma si può fare una legge seria sul conflitto d’interessi, una riforma del sistema bancario separando quelle commerciali dalle case d’investimento.Sulla flat tax, si può trovare agevolmente una mediazione, tenuto conto che gli stessi proponenti sono dell’idea di mitigarla sensibilmente con un articolato sistema di detrazioni fiscali: in fondo la flat tax ha il senso di semplificare il rapporto con il fisco, rendendo il pagamento delle imposte meno contorto ed incerto per il contribuente.Non certo quello di eliminare la progressività, sancita dalla costituzione.Quanto al reddito di cittadinanza può essere introdotto in modo graduale ampliando per step il bacino dei destinatari: nessuno ha mai detto che un programma di legislatura debba attuarsi in 100 giorni! Lo stesso Bagnaiha molto ridimensionato la road map dell’euroexit, per la quale ci si deve attrezzare in tempo: per non finire come Tsipras e Varoufakis. Ma gli obiettivi di lungo termine restano quelli e non sono negoziabili: si deve restituire al Paese la dignità e, diciamolo pure, l’orgoglio della propria autodeterminazione.Ridurre un’alleanza d’interessi, espressi alla luce del sole, tra M5S e Lega, ad un governo di scopo per la legge elettorale, significa non voler comprendere l’occasione storica che si è improvvisamente spalancata per la democrazia italiana: per la prima volta nella sua storia unitaria.Bisogna lottare tutti in quella direzione.