Evitare la caduta del governo: quattro presidenti per blindare Tria

Mattarella chiede sostegno ai vertici dello Stato per puntellare il ministro dell’Economia contro le spinte populiste di Salvini e Di Maio.

Le recenti, battagliere esternazioni dei due capi della maggioranza Luigi Di Maio e Matteo Salvini sul rapporto con Bruxelles in vista della prossima Legge di Stabilità sono state prese molto sul serio dal Capo dello Stato. Pur non rappresentando dichiarazioni di guerra nei confronti dell’Ue e pur proiettando in un futuro imprecisato il superamento dei vincoli europei, il tono arrembante delle dichiarazioni ha indotto il Quirinale ad accendere i riflettori sul percorso che porterà alla stesura della Legge di Bilancio. Ecco perché il Capo dello Stato, per Costituzione garante del rapporto tra Italia e Ue in rapporto ai vincoli di bilancio, ha deciso un giro informale di incontri. Col presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha già visto e con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati e con quello della Camera Roberto Fico, che incontrerà nei prossimi giorni, al fine di prevenire degli attriti che potrebbero portare a una crisi di governo.

Naturalmente il Capo dello Stato non ha alcuna intenzione di interferire sul percorso legislativo e neppure su quello che precede la presentazione alle Camere del testo della Legge di stabilità, ma la sua moral suasion sarà indirizzata ad evitare un combinato disposto di norme fuori dai parametri e di dichiarazioni che suscitino pericolosi corti circuiti. Anzitutto con la Commissione europea. Ma anche con i mercati. Da Bruxelles la raccomandazione che ha raggiunto anche il Quirinale negli ultimi giorni è chiara: davanti ad atteggiamenti di sfida la prima sanzione verrebbe dai mercati e dallo spread. Una sanzione sostanziale che rischierebbe di manifestarsi prima di quella formale da parte della Commissione europea, chiamata a pronunciarsi in autunno sul progetto di Legge di Stabilità che il governo è tenuto a presentare entro il 15 ottobre.

Se l’imperativo del Capo dello Stato è scongiurare corti circuiti pericolosi per la stabilità del Paese, del tutto conseguente la sintonia tra il Quirinale e il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Nell’intreccio di dichiarazioni ed interviste ad opera dei principali ministri del governo, proprio Tria non ha dato margini ai “contestatori” di Bruxelles.

In una intervista al “Washington post”, il ministro dell’Economia ha messo a verbale alcune affermazioni inequivocabili. La prima: «Non c’è nessuna discussione sul fatto che l’Italia appartenga o meno all’Ue o all’Eurozona». Come finanziare una riforme costosa come la flat tax? «Se abbassi alcune tasse devi aumentare il gettito proveniente da altre tasse».

Dichiarazioni che, non soltanto al Quirinale, sono parse distanti da quelle dei due leader di governo, ma anche da un personaggio influentissimo tra i Cinque Stelle come Davide Casaleggio. Il vicepremier Matteo Salvini ha annunciato: «Andremo oltre i numeri Ue». Una frase che può voler dire tante cose: al momento opportuno può essere rincarata ma anche occultata. Certo, Salvini ha usato parole di sfida, anche rispetto a tabù che finora sono stati tollerati in silenzio: «Cercheremo di cambiare anche alcuni numeri scelti a tavolino a Bruxelles, che molti paesi Ue – come Francia, Spagna e Germania – ignorano bellamente». E Di Maio, pur usando espressioni da Prima Repubblica («Non dobbiamo tirare a campare») si è messo sulla stessa sintonia, indicando come obiettivo la modifica dei «parametri europei».

Posizioni distanti da quelle di Tria e che ripropongono quella solitudine dei ministri dell’Economia che è una caratteristica di molti degli “inquilini” di via Venti Settembre. Nel passato diversi di loro, compreso Pier Carlo Padoan (solidissimo e apparentemente imperturbabile), sono stati presi dalla tentazione di gettare la spugna davanti alla generale ostilità che circonda tutti i propugnatori di una spesa misurata. È ancora presto per capire se un sentimento di questo tipo abbia preso anche il ministro Tria, ma indubbiamente il “monitoraggio” del Capo dello Stato e la sua iniziativa con i tre presidenti (Consiglio, Senato e Camera) se non può essere banalizzata come una “blindatura” del ministro dell’Economia, segnala però un sostegno di Mattarella a Giovanni Tria.

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2 commenti

  1.   

    ottimo cesare ma perchè non scrivi più spesso’ ‘ 

    Originariamente inviato da Cesare58: La situazione del governo in tema di riforme, copertura finanziaria delle stesse, accettazione da parte di Bruxelles e oscillazione dei mercati finanziari è indubbiamente problematica perchè il governo stesso non è totalmente indipendente e non ha il comando di tutti gli strumenti in grado di imporre le sue scelte. Se qualsiasi riforma può essere messa in dubbio o addirittura cancellata per effetto del ricatto posto in atto dai mercati finanziari tramite lo spread, significa che alla fine il governo del Paese è in mano alle istituzioni finanziarie che manovrano i mercati, tanto vale nominare presidente del consiglio il presidente di Goldman Sachs. Quindi bisognerebbe cancellare lo spread come arma finanziaria, solo che per poterlo fare occorrerebbe una Banca d’Italia di proprietà del Tesoro e acquirente di ultima istanza nelle emissioni di titoli di Stato, a quel punto lo spread non avrebbe più nessun influsso. Ma non è solo questione di spread, vi sono solide legioni di europeisti ideologici convinti che illuminati dalla stella cometa di Bruxelles eseguono le direttive impartite da Berlino senza se e senza ma, convinti che l’unico fulgido futuro sia rappresentato dalla futura “Europa confederata” a guida tedesca. I politici che si identificano in questa visione assolutista del futuro politico europeo, sono privi di qualsiasi capacità critica, sono dei semplici esecutori senza incertezze capaci di tutto pur di soddisfare il dettato programmatico eurocentrico. Il problema nasce quando similii personaggi rivestono cariche apicali come Presidente della Repubblica, ministeri importanti, magistrati e altro. In pratica è come avere degli stranieri al comando del Paese o che influiscono in modo più o meno determinante nella guida del Paese. Ma quale è la posizione studiata per l’Italia nel progetto europeo? Per quanto possa sembrare assurdo, la Germania la cosa che teme di più è una crescita reale, corposa e decisa della nostra economia basata sul rafforzamento della nostra industria sia manifatturiera che tecnologica. La Germania ci vuole stremati, ultratassati, meri consumatori di prodotti possibilmente tedeschi, indebitati e quindi sempre ricattabili, così facendo complementari ad una valuta, l’euro, calmierata nel suo rapporto con le altre valute e funzionale al successo delle esportazioni tedesche. Il panorama futuro sia a livello economico che politico vede un progressivo contrasto di quelle che sono le esigenze vere del Paese in confronto a quelle che sono le esigenze esterne nei nostri confronti, in un acuirsi di tensioni che non possono che sfociare in un divorzio dal progetto europeo. 

     

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    La situazione del governo in tema di riforme, copertura finanziaria delle stesse, accettazione da parte di Bruxelles e oscillazione dei mercati finanziari è indubbiamente problematica perchè il governo stesso non è totalmente indipendente e non ha il comando di tutti gli strumenti in grado di imporre le sue scelte. Se qualsiasi riforma può essere messa in dubbio o addirittura cancellata per effetto del ricatto posto in atto dai mercati finanziari tramite lo spread, significa che alla fine il governo del Paese è in mano alle istituzioni finanziarie che manovrano i mercati, tanto vale nominare presidente del consiglio il presidente di Goldman Sachs. Quindi bisognerebbe cancellare lo spread come arma finanziaria, solo che per poterlo fare occorrerebbe una Banca d’Italia di proprietà del Tesoro e acquirente di ultima istanza nelle emissioni di titoli di Stato, a quel punto lo spread non avrebbe più nessun influsso. Ma non è solo questione di spread, vi sono solide legioni di europeisti ideologici convinti che illuminati dalla stella cometa di Bruxelles eseguono le direttive impartite da Berlino senza se e senza ma, convinti che l’unico fulgido futuro sia rappresentato dalla futura “Europa confederata” a guida tedesca. I politici che si identificano in questa visione assolutista del futuro politico europeo, sono privi di qualsiasi capacità critica, sono dei semplici esecutori senza incertezze capaci di tutto pur di soddisfare il dettato programmatico eurocentrico. Il problema nasce quando similii personaggi rivestono cariche apicali come Presidente della Repubblica, ministeri importanti, magistrati e altro. In pratica è come avere degli stranieri al comando del Paese o che influiscono in modo più o meno determinante nella guida del Paese. Ma quale è la posizione studiata per l’Italia nel progetto europeo? Per quanto possa sembrare assurdo, la Germania la cosa che teme di più è una crescita reale, corposa e decisa della nostra economia basata sul rafforzamento della nostra industria sia manifatturiera che tecnologica. La Germania ci vuole stremati, ultratassati, meri consumatori di prodotti possibilmente tedeschi, indebitati e quindi sempre ricattabili, così facendo complementari ad una valuta, l’euro, calmierata nel suo rapporto con le altre valute e funzionale al successo delle esportazioni tedesche. Il panorama futuro sia a livello economico che politico vede un progressivo contrasto di quelle che sono le esigenze vere del Paese in confronto a quelle che sono le esigenze esterne nei nostri confronti, in un acuirsi di tensioni che non possono che sfociare in un divorzio dal progetto europeo.