«La mia amministrazione ha ottenuto più di ogni altra amministrazione americana nella storia». Questa affermazione, usata da Donald Trump per aprire il suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu, ha scatenato l’ilarità dei presenti in sala.
Trump è rimasto un po’ spiazzato dalla risata collettiva: «Non mi aspettavo questa reazione ma va bene lo stesso» ha commentato il presidente Usa, incassando il colpo con discreto senso dell’umorismo. «Un anno fa ero qui a dirvi cosa avremmo fatto, oggi sono qui davanti a voi per parlarvi degli straordinari progressi che l’America ha fatto» ha affermato Trump. «Gli Stati Uniti sono più forti, sicuri e ricchi di quando ho assunto l’incarico due anni fa».
Risate sì, applausi no – Al termine del suo intervento, durato circa 35 minuti, Trump ha ricevuto solo un breve applauso di cortesia. Le sue affermazioni sono state accolte dai delegati riuniti a New York con molta freddezza.
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Donald Trump comincia il suo discorso davanti all’Assemblea dell’Onu, come se fosse in un comizio nel Minnesota. Ma ad ascoltarlo non ci sono i suoi fan con i cappellini rossi del «Make America great again», bensì una platea di capi di stato e di governo, ambasciatori e delegati, piuttosto diffidente, nella media. Così quando «The Donald» si issa addirittura sul piedistallo più alto della storia, sostenendo «di aver realizzato in neanche due anni più di qualunque altro presidente americano», dall’emiciclo sale una risata spontanea.
A quel punto, anziché buttar via gli appunti, Trump si rifugia in una battuta: «Non mi aspettavo questa reazione, ma va bene lo stesso».
Il testo è stato scritto in gran parte dal giovane consigliere Stephen Miller, teorico della alt-Right, la destra radicale, cresciuto alla scuola di Steve Bannon. Questo spiega l’impianto ideologico, pesante, barocco: «il patriottismo» e il «sovranismo» come alternativa virtuosa al «globalismo» e tutto l’ormai collaudato repertorio che Trump sintetizza con una frase: «L’America non si scuserà mai perché difende i suoi cittadini». Il leader della Casa Bianca cita un solo predecessore: James Monroe, che nel 1823 elaborò la dottrina che porta il suo nome: isolazionismo e «America agli americani». Lo slogan antenato del trumpiano «America First».
Ma non è uno schema astratto, come il mondo ormai ha imparato a conoscere. Questa volta Trump attacca i produttori dell’Opec, perché minacciano la stabilità del mercato con prezzi «orribilmente» alti; annuncia che gli Stati Uniti taglieranno gli aiuti ai Paesi «che non sono nostri amici e non ci danno nulla in cambio». E ancora: nessun ripensamento sul ritiro dal Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani; nessuna adesione al «Global Compact sull’immigrazione», messo a punto dal Palazzo di Vetro.
Poi arriva laddove la platea lo stava aspettando: Nord-Corea, Iran, Cina. «Il nostro approccio ha già prodotto incredibili cambiamenti. Con l’appoggio di molti Paesi oggi ci stiamo confrontando con il presidente Kim che voglio ringraziare per il coraggio che ha dimostrato e per ciò che ha già fatto». Le sanzioni contro il regime di Pyongyang resteranno, comunque, in vigore. Ma il modello adottato in Asia, pressioni, accerchiamento economico per spingere alla trattativa, può funzionare anche con l’Iran. Dal podio delle Nazioni Unite, Trump investe con asprezza il governo di Teheran: «Il popolo iraniano è oppresso dai suoi leader che rubano miliardi di dollari dalle casse pubbliche e che seminano guerre nella regione». Ma nelle dichiarazioni alla stampa e nei tweet, Trump si dice pronto a incontrare il presidente Hassan Rouhani: «Probabilmente è anche una persona amabile, ma gli iraniani devono cambiare atteggiamento». In un’intervista alla Cnn, Rouhani replica: «Non siamo noi che abbiamo chiesto un incontro con il governo americano. Sono loro che nel 2017 ci hanno invitato otto volte. Ma per ora non ci sono le condizioni per il dialogo».
Silenzio su Putin. Ancora avanti ed ecco il messaggio alla Cina. Trump ringrazia «l’amico» Xi Jinping per l’«aiuto» nella crisi coreana. Ma subito dopo chiarisce che ciò non cambia nulla nello scontro sul commercio. «Gli Stati Uniti hanno perso più di tre milioni di posti di lavoro, circa un quarto di tutti gli addetti nel settore dell’acciaio, da quando la Cina è entrata nel Wto. E abbiamo accumulato un deficit di oltre 13 mila miliardi negli ultimi vent’anni. Tutto ciò non sarà più tollerato» . Confermati i dazi e confermata la linea politica: trade e Corea del Nord sono due dossier separati.
Infine una tirata da Guerra Fredda contro «i crimini» del socialismo e del comunismo, con un riferimento concreto però al Venezuela: «Annuncio che applicheremo ulteriori sanzioni», dice Trump e a margine aggiunge che l’esercito potrebbe «deporre rapidamente il leader Maduro».
Ma c’è qualcosa che non torna, anzi che manca vistosamente. Trump non cita mai la Russia, se non in un rapido passaggio per criticare la scelte della Germania «che dipende direttamente dal gas e dal petrolio russi». Nessun accenno al rapporto con Vladimir Putin, né tantomeno, alle interferenze nelle elezioni americane, considerate una minaccia ancora attuale dai servizi segreti di Washington,
Consuelo
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robyuan
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Consuelo
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Postilla. I miei non li leggerai più perchè tolgo il disturbo, cosa che avrei già dovuto fare prima.
Ciao
robyuan
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robyuan
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peter pan
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Mah!