Michael Cohen, ex avvocato personale di Donald Trump, in una testimonianza sotto giuramento al Congresso ieri ha detto: il presidente “è un razzista, truffatore, corrotto, bugiardo”. Insomma alla Casa Bianca siede un uomo meschino e mendace, che ha arruolato coloro che lo circondavano per propagare una cultura dell’inganno, negli affari, durante la sua campagna elettorale e dopo aver vinto le elezioni del novembre 2016.
In una testimonianza davanti al Comitato di supervisione della Camera, Cohen ha rivelato come, a suo avviso, Trump ha infranto la legge anche come presidente, e ha suggerito minacciosamente che i pubblici ministeri federali rimangono “interessati” a vari di coinvolgimento del presidente in vari reati.
Cohen ha accennato ripetutamente a possibili rischi legali per Trump, dicendo di essere disposto a raccontare tutto ora per paura che se Trump dovesse perdere le elezioni del 2020, “non ci sarà mai una transizione pacifica del potere”.
“La mia lealtà nei confronti di Trump mi è costata tutto”, ha detto Cohen. “Non me ne starò seduto a non far nulla, non starò zitto permettendogli di fare ciò che vuole con il paese”.
Alcune delle affermazioni di Cohen sono state supportate da prove, mentre altre dipenderanno dalla sua carente esperienza di affidabilità. Cohen ha ricevuto una condanna a tre anni di prigione che dovrebbe iniziare a maggio, in parte per aver mentito in precedenza al Congresso.
Nel frattempo Trump, in Vietnam per il summit poi fallito con il leader nordcoreano Kim Jong Un, aveva twittato prima che la testimonianza di Cohen iniziasse, che il suo ex consigliere personale stava “mentendo per ridurre gli anni di condanna in prigione”.
L’ex avvocato ha parlato anche dei contatti che tenne con funzionari governativi russi per la costruzione di un grattacielo a Mosca durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016, nonostante Trump avesse sostenuto il contrario; dell’ordine che dice di aver ricevuto «implicitamente» da Trump di mentire davanti al Congresso a questo riguardo; dei contatti tra il collaboratore di Trump Roger Stone e Julian Assange riguardo alla pubblicazione da parte di Wikileaks delle email sottratte al comitato elettorale di Hillary Clinton, di cui Trump sarebbe stato a conoscenza; dei pagamenti che fece all’attrice porno Stormy Daniels perché non rivelasse la sua relazione sessuale con Trump, e le cui somme gli furono rimborsate da Trump con assegni firmati quando era già presidente, e che Cohen ha mostrato al Congresso. In totale, sostiene Cohen, negli anni Trump gli ha ordinato di minacciare persone o gruppi di persone circa cinquecento volte.
Cohen per molti anni non è stato soltanto l’avvocato di Trump, ma anche l’uomo incaricato di risolvere i suoi problemi giudiziari personali e quelli delle sue aziende. Il suo rapporto con il presidente durò fino allo scorso maggio, poche settimane dopo che Cohen era finito sotto indagine da parte dell’FBI sui rapporti tra il comitato elettorale di Trump e la Russia. Lo scorso agosto Cohen si era dichiarato colpevole di otto capi d’accusa, accettando di collaborare con il procuratore speciale Robert Mueller, responsabile dell’indagine federale su Trump. La decisione di Cohen aveva fatto subito discutere, in molti sottolineavano come le testimonianze di una persona così vicina a Trump avrebbero potuto mettere in grande difficoltà il presidente. Quest’ultimo ha iniziato subito a screditare pubblicamente l’ex collaboratore.