Il contesto globale rimane di rallentamento della crescita economica, aumento della vulnerabilità sui mercati e dei rischi finanziari relativamente a molti asset e borse, e un’architettura istituzionale che o nega l’evidenza o non ha una chiara idea di quale mix di politiche economiche e sociali utilizzare per impedire che accada il peggio.
“Economia verso una nuova crisi” senza che nessuno se ne accorga
Ma, soprattutto, in molti, moltissimi paesi le popolazioni locali, che diventano sempre più globali, sembrano voler dire alle classi politiche al governo che non si accontentano di stare tranquilli aspettando qualcosa di meglio che forse alla fine arriverà.
Il popolo è in tumulto a livello globale
Il popolo è in tumulto, come mai era accaduto probabilmente dagli anni 1968-1970, ai tempi delle proteste studentesche. E spesso anche oggi sono i giovani a protestare e scendere in piazza.
In effetti, consideriamo che oggi abbiamo manifestazione pubbliche di massa, seguite spesso da disordini e scontri con le forze dell’ordine e le polizie locali in: Francia per i gilet gialli, in Spagna, a favore dell’indipendenza della Catalogna, in Germania dove non si protesta ma il malcontento contro Angela Merkel è forte (a parte i cortei neo-nazisti sempre più numerosi, mentre ieri il partito estremista di destra AfD ha raccolto il 24% dei voti in Turingia);
c’è poi l’annosa questione Brexit nel Regno Unito; proteste di piazza di massa in Algeria; Iraq, Libano; Egitto; Russia (contro Putin); Hong Kong (da molte settimane, milioni di persone scendono in strada e si verificano episodi di grande violenza, pro indipendenza e contro il controllo politico della Cina);
infine disordini e proteste di centinaia di migliaia di persone si verificano da mesi in Venezuela; Cile; Ecuador; Bolivia, la gente protesta per la recessione e la crisi economica contro i governi in carica.
Ocse: “Economia mondiale mai così male da grande crisi”
Non si può non citare la polarizzazione politica negli Stati Uniti e l’odio tra i seguaci di Donald Trump e i democratici che perseguono l’impeachment, confronti aspri non preludono politicamente a nulla di buono; infine si potrebbero aggiungere anche le manifestazioni di piazza della classe media di Extinction Rebellion in Australia, Canada e le mega-proteste nelle maggiori capitali mondiali organizzate dai seguaci di Greta Thunberg contro l’emergenza climatica.
In breve, non esiste un continente che non accadono disordini in qualche forma, e ci si chiede se il 2019-2020 sarà un nuovo anno (globale) di protesta come lo fu il 1968.
Siamo di fronte a un nuovo 1968 globale di proteste?
Naturalmente, di solito non si possono unire i puntini semplicemente sulla mappa del mondo, ovviamente questa analisi non ha pretese di sistematicità; ma se siamo di fronte a un 1968 globale dovuto alla crisi economica e climatica, i segni di un periodo turbolento dietro l’angolo ci sono tutti. Uno scenario molto più probabile rispetto a quello della pacifica risoluzione dei problemi.
In termini di visione macro, in quel decennio del secolo scorso i fermenti e le frustrazioni popolari portarono alle proteste contro la guerra del Vietnam, poi arrivò la fine dell’ancoraggio del dollaro all’oro e la nascita della prima fase del nuovo ordine mondiale stabilita a Bretton Woods; seguì la fase di altissima inflazione negli anni ’70, alla fine conclusa dall’allora presidente della Federal Reserve Paul Volcker;
L’amaro addio di Kaiser Draghi, che lascia la BCE contestatissimo
molti anni dopo si passò all’attuale fase di globalizzazione neoliberista deflazionistica causata e/o gestita dalle banche centrali globali (Fed e Bce in prima linea) che con la loro politica monetaria dei tassi a zero o negativi con il QE all’infinito, come risultato ha portato soltanto stagnazione e rallentamento economico, e oggi per reazione sta spingendo di nuovo la gente in strada in moltissimi paesi.
L’economia rallenta ovunque. Governi e investitori devono riposizionarsi
Si prepara sembra una nuova età della rabbia, contro le caste economiche, in un mercato finanziario che non sa che pesci pigliare, non sa come posizionarsi e sta ancora valutando, in gran parte con calma, gli effetti dello status quo, chiedendosi quanto a lungo possa durare.