di Carlo Pizzati
(WSC) Roma – Per battere il nemico bisogna diventare come lui. Per vincere contro il virus bisogna agire in maniera virale. Bisogna diventare virus. Cosa significa questa frase? Significa che dove l’umanità ha reagito all’epidemia del Covid-19 in maniera individualista, scoordinata e scomposta, tra arroganze, orgogli e razzismi, la sua diffusione è stata massima. Dove si è agito coordinati e compatti, il virus si è indebolito.
Il modello cinese, coreano, taiwanese, singaporiano nell’affrontare il virus fanno scuola. Non sono accomunati da un’ideologia, ma da una mentalità asiatica radicata nell’idea di collettivismo che si rifà più al Confucianesimo che non al comunismo cinese post-maoista. Come scrive il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, la digitalizzazione è una sorta di ebbrezza collettiva. Ma perché ha funzionato meglio in Asia?
«In Asia domina il collettivismo. Manca uno spiccato individualismo. E l’individualismo si differenzia dall’egoismo, che ovviamente abbonda anche in Asia. I Big Data sono in tutta evidenza più efficaci nella lotta al virus rispetto alla chiusura delle frontiere, ma in Europa, per via della protezione dei dati personali, un’analoga lotta al virus non è praticabile».
Siamo spinti verso una biopolitica digitale abbinata a una psicopolitica digitale, in grado d’influenzare emozioni e pensieri. Chi nella prima settimana di clausura respingeva le violazioni alla privacy del modello coreano, alla terza settimana cominciava a capirne l’inevitabilità. È una tragedia? Sembra che solo con quella che nella robotica si chiama l’intelligenza di sciame possiamo affrontare con efficacia un nemico come la virosfera.
Ciò non significa sottomettersi a una dittatura, bensì ispirarsi alla natura, a uno stormo di uccelli che non agisce su ordine di un leader, ma vola come un singolo individuo, composto da una miriade di unità. Gli agenti di questo stormo seguono regole semplici, con reazioni immediate che compongono un’intelligenza, appunto, di sciame. Si comportano così le formiche, i falchi quando cacciano, gli animali da mandria, i batteri, i pesci e i microbi.
Questo è quanto sta accadendo in Corea del Sud dove, con l’ausilio della tecnologia, gli umani evitano i luoghi di contagio e i contagiati, come uccelli in volo in fuga da un predatore. Appena si accende una spia di allerta sulla App, tutti sciamano via. Ciò entra in conflitto con l’individualismo occidentale, in profonda crisi in questa Era della Pandemia.
Lo spiega bene l’economista Gaël Giraud, direttore del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica di Parigi:
«Impossibile mantenere la finzione antropologica dell’individualismo implicita nell’economia neoliberista e nelle politiche di smantellamento del servizio pubblico che la accompagnano da quarant’anni: l’esternalità negativa indotta dal virus sfida radicalmente l’idea di un sistema complesso modellato sul volontarismo degli imprenditori “atomizzati”. La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza».
Bisogna tornare allora ai commons inglesi, alle terre comuni medievali? È finita l’era dei mercanti allegri del neoliberismo, ora che tornano di moda parole come stato sociale e social democrazia? Non necessariamente. Vero, solo i fondi pubblici possono salvare la situazione. Soluzione d’emergenza, inefficace a lungo termine. Siamo, però, in un’era in cui non si può eludere il ruolo della tecnologia, già subentrata nell’influenzare il senso di etica, morale e di società, vedi la metamorfosi del concetto di privacy nei social media. Dovrà cambiare il nostro senso dello Stato, dei diritti e doveri, di cos’è la società e la famiglia.
Se il virus colpisce più gli anziani è inevitabile pensare a una separazione generazionale nel breve termine. Ora che molti migranti stranieri rientrano nei loro Paesi, chi raccoglierà le mele e i pomodori, chi taglierà il fieno in pianura quest’estate? Le macchine, naturalmente, aprendo uno scenario interessante sul ruolo dell’automazione in questa fase. Ma dove non arrivano ancora i robot, ci vorranno i giovani, come accadeva fino agli Anni 80. Nascerà una spaccatura tra cittadelle di giovani asintomatici separati dagli ultra-cinquantenni a rischio?
Cosa comporterà per il senso di identità in una nazione fondata su lavoro e famiglia? E chi gestirà la prossima crisi? Forse, come suggerisce il filosofo centenario James Lovelock, famoso per la teoria di Gaia, costerebbe meno vite umane affidare le strategie del pianeta all’Intelligenza Artificiale, per stabilire il piano più efficace nel mitigare il riscaldamento globale e rispondere in modo coeso a un attacco come quello dei coronavirus. Ma se ci affidiamo all’intelligenza di sciame che regola i comportamenti tramite le App, questo scenario futuristico sta già avvenendo.
Questo articolo è stato originariamente pubblica da La Stampa, che ringraziamo