di Cercius Group*
(WSC) Roma – Impegnata in una faticosa ripresa dalla pandemia, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) ha annunciato già nel mese di marzo che la macchina industriale del paese avrebbe ripreso a produrre quanto prima. Più per necessità che virtù, la mossa sia è resa obbligatoria sia per la crescita dell’economia nazionale che per la sopravvivenza del Partito (PCC) stesso. I primi giorni dopo la “fine” del lockdown sono stati assai difficili per i lavoratori cinesi: non solo per gli scontri scoppiati con la polizia in diverse zone del paese, primo tra tutti l’incidente verificatosi il 27 marzo sul ponte che collega lo Hubei con il Jiangxi, ma anche per la pressione a cui sono stati sottoposti gli stessi da parte dei produttori, nel tentativo di far ripartire le catene di montaggio del paese, mentre il resto del pianeta è entrato in quarantena e autoisolamento.
Una prima valutazione dei danni
Non si ha memoria dell’ultima volta in cui il China’s National Bureau of Statistics 国家统计局, riportando i dati economici di gennaio e febbraio – in un rapporto combinato – abbia rilevato cifre così catastrofiche. Tutti i dati principali indicano che l’economia cinese era, e probabilmente lo è tuttora, in contrazione. Questo complica notevolmente la vita al Partito, la cui stabilità dipende, come tutti ben sanno, dalla propria capacità di garantire una crescita economica costante e un sistema di welfare più efficace. Non sorprende dunque che il regime, conscio del terribile stato in cui verte l’economia nazionale – duramente colpita dalla guerra commerciale con Washington, dalla pandemia diffusasi poi a livello globale e dal conseguente crollo dei consumi interni durante il Capodanno cinese – abbia attuato una serie di programmi di allentamento fiscale e monetario ad ampio raggio, volti a rilanciare una macchina economica inceppata. Sfortunatamente per Pechino, non ci sarà una soluzione a breve termine a sostegno dell’economia e a questo punto è piuttosto incerto se le carte messe in campo dal governo centrale sortiranno l’effetto sperato.
Allentamento fiscale e monetario per ripartire
Come accennato, Pechino ha adottato una serie di misure di allentamento fiscale e monetario ad ampio raggio per aiutare l’economia a superare questo momento difficile. Tra le principali, ne elenchiamo alcune:
- La China Banking and Insurance Regulatory Commission (CBIRC) 中国银行保险监督管理委员会, ha concesso a tutte le PMI un periodo di grazia dal 25 gennaio al 30 giugno, durante il quale i prestiti possono essere rinnovati senza alcuna penalizzazione;
- Lo State Council 中华人民共和国国务院 ha temporaneamente modificato la ripartizione del gettito fiscale tra il governo centrale e i governi locali – garantendo a quest’ultimi fondi supplementari fino a fine giugno per un valore complessivo di circa 110 miliardi di CNY (15.72 miliardi di dollari);
- Il governo centrale ha iniettato un totale di 1.26 trilioni di CNY (180 miliardi di dollari) nelle casse dei governi provinciali e locali a sostegno dell’emissione di assicurazioni sanitarie, dell’implementazione dei servizi di igiene pubblica, e dei fondi per contrastare la crescente disoccupazione, per un totale complessivo di 6.28 trilioni di CNY (897.24 miliardi di dollari);
- I dipartimenti finanziari a livello provinciale e locale, sparsi sull’intero territorio cinese, hanno stanziato un totale complessivo di 110.48 miliardi di CNY (15.78 miliardi di dollari) per limitare i danni della pandemia. Il Ministero delle Finanze ha contribuito direttamente con 25.75 miliardi di CNY (3.68 miliardi di dollari) dell’importo totale;
- Lo State Council ha ridotto inoltre la pressione fiscale sulle aziende, alleggerendole di circa 1.000 miliardi di CNY (142.87 miliardi di dollari) di prestazioni previdenziali a loro carico.
Questi sono solo alcuni dei punti salienti in cui ci siamo imbattuti. Con ciò, è plausibile un proseguimento nell’implementazione di politiche volte all’allentamento fiscale e monetario per gran parte del 2020, almeno fino a quando – si spera – la pandemia non si stabilizzerà su scala globale. Tuttavia, se questi programmi sono un assaggio di ciò che verrà, ci si può aspettare che il 2020 sarà un anno di grandi riforme strutturali nella RPC. Occorre, a questo punto, dare atto che Pechino, conscia della straordinarietà di questi tempi, ha dimostrato di sapere ampiamente gestire situazioni di questa criticità. Nonostante questi programmi di rilassamento fiscale, sembra che il Partito sia tornato in larga misura alla sua vecchia abitudine di rispondere ai problemi irrorando l’economia interna con ingenti quantità di denaro.
Ad esempio, i governi provinciali e locali hanno emesso un totale di 1.200 miliardi di CNY (171.45 miliardi di dollari) di obbligazioni nel periodo gennaio-febbraio, di cui quasi il 70% è stato incanalato verso il finanziamento di infrastrutture, mentre solo il 14% è andato ai servizi pubblici a livello locale. Naturalmente, questa mossa è più che comprensibile dal punto di vista di Pechino: i grossi progetti infrastrutturali rappresentano l’unico mezzo che il governo ha di mantenere in funzione le grandi imprese statali e, di conseguenza, dare lavoro a milioni di lavoratori.
Tuttavia, se l’obiettivo finale è quello di diminuire la dipendenza dell’economia interna dalle distorsioni derivanti dalla sovrapproduzione e dagli investimenti in progetti infrastrutturali che, il più delle volte, si rivelano inefficienti, il PCC dovrà trovare nuove misure economiche per stimolare l’economia nei periodi di crisi. È doveroso, tuttavia, rimarcare l’eccezionalità dei tempi in cui viviamo e, forse, politiche economiche di stampo keynesiano potrebbero rivelarsi efficaci per permettere all’economia di ripartire. Eppure, la preoccupazione di fondo è, da sempre, che il paese “ricada” nella trappola degli investimenti in progetti infrastrutturali. Ciò che ci lascia più sconcertati è il motivo per cui Pechino, in questo particolare momento, abbia scelto di non stanziare più fondi per i servizi pubblici a livello locale. Se l’obiettivo dichiarato è proprio quello di permettere all’economia di fare maggior affidamento sui consumi interni e servizi pubblici, allora dovrà iniziare a migliorare la qualità, l’accesso e la fornitura degli stessi servizi. Il coronavirus, infatti, ci ha esposto il pessimo stato dei servizi pubblici in Cina: gravemente sotto finanziati, inadeguati e con personale insufficiente.
In ogni caso, fino a quando l’economia non mostrerà importanti segni di ripresa – improbabile per il 2020, anche a causa dei venti contrari provenienti dall’economia globale – sarà essenziale per Pechino mantenere bassi livelli di disoccupazione. Per il momento, la vecchia tattica di gettare denaro su progetti infrastrutturali sembra essere sufficiente. A nostro avviso, il Partito pare aver già accettato implicitamente il seguente compromesso: immediata liquidità a sostegno dei lavoratori e delle imprese in cambio di maggiori rischi per il sistema finanziario a lungo termine.
*Cercius Group è una società di intelligence geopolitica e di consulenza strategica. Con sede a Montreal ed uffici ad Hong Kong e Firenze, Cercius Group si specializza in analisi e previsioni dei principali trend politici ed economici della Repubblica Popolare Cinese. Per maggiori informazioni info@cerciusgroup.com