La «Grexit», l’ipotesi avanzata dal ministro delle Finanze tedesco all’ultimo Eurogruppo che la Grecia abbandoni l’euro per cinque anni, è ancora sul tavolo. Salvo poi raccomandare al gruppo parlamentare dei conservatori tedeschi di votare oggi il mandato per trattare un nuovo salvataggio greco. La discussione non sarà affatto facile, per Angela Merkel. Una fetta del suo partito è con il suo ministro delle Finanze e avrebbe preferito tagliare i ponti con Atene. Ma a dare manforte alla cancelliera, sono arrivati ieri i solidi argomenti di Mario Draghi. A seicento chilometri di distanza, il presidente della Bce ha approfittato della rituale conferenza stampa successiva al consiglio direttivo dell’Eurotower, per mettere in chiaro un paio di punti.
Anzitutto, che la Bce agisce, dopo l’accordo di domenica scorsa, «nell’assunto che la Grecia è e rimane un membro dell’eurozona». Certo, «se questo assunto è giustificato resta totalmente nella responsabilità della Grecia e dei partner europei», ma nel frattempo la cacciata di Atene resta nell’iperuranio delle idee. Al momento, il voto positivo al Parlamento greco e la svolta «realpolitisch» di Alexis Tsipras, sono argomenti che aiutano Angela Merkel nello sforzo di convincere il suo partito a votare il mandato per trattare il nuovo pacchetto di salvataggio da 86 miliardi. Naturalmente, senza «l’onere della prova» chiesto dall’ultimo Eurosummit, senza il principio che prima i greci devono votare le riforme e poi arriveranno i soldi, la fronda di oggi dei conservatori tedeschi sarebbe stata molto più pesante. Il fatto che ieri il capo dell’ala ultraconservatrice e bavarese dei conservatori, Seehofer (Csu) abbia detto che il pacchetto va votato, è un buon segnale. Così come il fatto che nella Spd sia nata una rivolta contro il ministro delle Finanze della «Grexit». Ma la cancelliera rischia comunque: è ormai chiaro che Schäuble non rinuncia all’idea di buttare fuori la Grecia. Per ora è uscito sconfitto dalla partita, ma il primo errore o voltafaccia dei greci rischia di rovesciare la situazione e danneggiare la cancelliera. E con lei, chi finora ha assecondato e influito sulla sua apertura di credito, cioè Mario Draghi.
La prima sorpresa della riunione dei banchieri centrali della Bce, che sicuramente non è piaciuta ai tedeschi, è che Draghi ha deciso di aumentare già di 900 milioni di euro i fondi emergenziali Ela che erano rimasti limitati a 89 miliardi dal 26 giugno scorso. La seconda è che Draghi ha detto che il debito greco è insostenibile è che «va alleggerito». Anche questo un argomento non popolarissimo, tra gli adepti di Schäuble. Certo, il presidente della Bce ha ammesso che i paletti normativi sono stretti, ma ha pronunciato quella frase in modo talmente assertivo da non lasciare dubbi sul fatto che una soluzione vada trovata. Quanto alla querelle sui fondi emergenziali, Draghi ha rivelato ieri che prima della fine di giugno qualcuno aveva chiesto persino «un abbassamento del limite dell’Ela a zero», mossa che «avrebbe causato un immediato collasso del sistema bancario». Facile immaginare chi. Quel qualcuno suggerì in sostanza di far fallire la Grecia prima della fine di giugno, nel consesso dei guardiani dell’euro.
Adesso «le cose sono cambiate – ha aggiunto Draghi – ci sono state una serie di novità, con l’approvazione del prestito-ponte, i voti nei Parlamenti, a cominciare da quello greco, per cui abbiamo considerato ristabilite le condizioni per aumentare l’Ela». Dopo questi fatti, il presidente della Bce si è anche detto «certo» che la Bce e il Fmi «saranno rimborsate»: la prossima scadenza importante sono 3,5 miliardi che Atene deve all’Eurotower entro lunedì prossimo, oltre ai circa 2 miliardi che deve ancora al Fondo. Certo, restano dubbi «sulla volontà e sulla capacità della Grecia di fare le riforme; spetta a loro dimostrarlo». Draghi ha respinto anche con veemenza gli argomenti di chi ha accusato la Bce di aver sostenuto troppo poco la Grecia congelando ad un certo punto l’Ela – «critiche inconsistenti» – ma anche chi ha accusato l’Eurotower di aver addirittura causato la fuga dei capitali della Grecia. A conferma, il presidente della Bce ha citato qualche solido numero: «Nel mese delle elezioni greche, le fuoriuscite dei depositi sono state di 13,3 miliardi, contro 35,2 miliardi di Ela». A giugno, mese nero del collasso delle trattative, le fughe hanno raggiunto gli 8,1 miliardi di euro, mentre gli aumenti dell’Ela sono stati da 10,3 miliardi di euro. Nessuna corrispondenza, tra questi numeri.
di Tonia Mastrobuoni
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Stampa