«Controbatterò con forza», avrebbe concluso Obama, secondo la ricostruzione fatta dal New York Times . E il giorno dopo, intervenendo all’ American University, ha denunciato pubblicamente i «lobbisti» che spendono somme enormi – almeno 20 milioni – per disinformare e «strombazzare» la «stessa retorica» che ha portato gli Usa in guerra con l’ Iraq. Una presa di posizione senza precedenti per un inquilino della Casa Bianca, fa notare il quotidiano, che ricorda due soli casi: Ronald Reagan che sfidò le obiezioni di Israele e dell’ Aipac alla vendita di aerei Awacs all’ Arabia Saudita nel 1981 e George Bush che un decennio dopo si definì «un piccolo uomo solo» contro un migliaio di lobbisti a Capitol Hill. Gli stessi lobbisti che da settimane premono sui parlamentari per convincerli a votare «no» all’ accordo con gli ayatollah (qualche giorno fa, più di 700 aderenti all’ Aipac si sono riuniti allo scopo a Washington, rifiutando peraltro un invito alla Casa Bianca).
La posta in gioco, per Obama, è altissima. In più di un’ occasione ha sottolineato come l’ intesa di Vienna sia un cardine della politica estera del suo secondo mandato. E benché sia certo che le Camere a maggioranza repubblicana bocceranno in prima battuta l’ intesa, gli oppositori difficilmente riusciranno a mettere insieme i due terzi necessari per opporsi al successivo veto presidenziale, anche se hanno appena incassato l’ appoggio del democratico Chuck Schumer, il più influente senatore ebreo. E’ una decisione che in realtà sta lacerando la comunità ebraica – tradizionalmente schierata con i democratici – e i suoi rappresentanti. Sander Levin, il deputato ebreo di più lungo corso, si è già dichiarato per il «sì» mentre Grace Meng, democratica newyorchese eletta in un distretto a maggioranza ebraica, voterà «no». Un diplomatico israeliano a Washington, secondo il quotidiano di Tel Aviv Haaretz , avrebbe confermato al suo governo che «la comunità ebraica in America non è allineata dietro Israele».
La spaccatura è emersa anche durante l’ incontro alla Casa Bianca fra Obama e una ventina di leader dell’ associazionismo ebraico, tra cui i «duri» dell’ Aipac, che avrebbero accusato il presidente di bollarli come «guerrafondai». Secondo alcuni testimoni, Obama sarebbe andato oltre nel criticare il gruppo. «Le parole hanno conseguenze, specialmente quando provengono dalle autorità», ha commentato Malcolm Hoenlein. Ma il leader statunitense avrebbe contrattaccato, lamentandosi degli spot tv che lo paragonano a Neville Chamberlain, il premier britannico che firmo l’ Accordo di Monaco con Adolf Hitler nel 1938. Il peso politico – e psicologico – dell’ opinione degli ebrei d’ America è evidente. Entrambe le parti lo hanno compreso e lo scontro, finora relegato dietro le quinte, comincia ad emergere anche in pubblico.
di Sara Gandolfi
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Corriere della Sera