Dalle grandi banche alle startup FinTech, da JP Morgan a Revolut, si sa che è da qualche anno che i principali player internazionali del mondo finanziario stanno studiando come delocalizzare e spostare le sedi e i posti di lavoro dal Regno Unito all’Unione Europea. Ma l’ultimo studio di Ernst & Young offre numeri sorprendenti sulla fuga in massa di affari e capitale umano dalla City londinese.
Ben mille miliardi e 200 milioni di sterline (1.317 miliardi di euro circa) facenti capo al settore dei servizi finanziari hanno lasciato il paese in vista della Brexit, che diventerà definitiva a fine anno. E nel frattempo Londra ha perso 7.500 posti di lavoro dell’industria sin qui. Tali numeri, già importanti, sono destinati ad aumentare nelle prossime settimane, secondo la ricerca.
A gennaio il 41% delle compagnie finanziarie interpellate da Ernst & Young (92 su 222) aveva deciso di spostare staff all’estero. La percentuale sta salendo ogni mese che passa. Da quando i britannici hanno votato a favore del Leave nel referendum di giugno 2016 fino a gennaio 2020, il settore aveva trasferito 2.850 posizioni di lavoro in UE, con Francoforte, Dublino e il Lussemburgo le destinazioni preferite. Questa cifra è quasi triplicata nel corso del 2020.
Perché la Brexit fa tanta paura alle banche
A parte la Brexit in sé, è anche l’incertezza sulle modalità con cui questa avverrà a fungere da deterrente. Più di un decimo delle aziende intervistate (24) ha citato questo come motivo alla base della decisione di trasferire le attività all’estero. L’ultima fase dei negoziati è tuttora in corso e alcune questioni, prima fra tutte il nodo del confine nordirlandese, rimangono irrisolte. Spine nel fianco sono considerate anche la concorrenza leale, la pesca, il commercio di beni e servizi, l’energia e la cooperazione giudiziaria.
Quello che si sa per certo in attesa del summit Ue del 15 ottobre è che a partire dall’anno prossimo le imprese della (ex) capitale finanziaria europea perderanno il permesso di offrire servizi in tutto il blocco europeo. Dopo il Brexit Day, per fare affari con i clienti della regione, che rappresentano fino a un quarto di tutte le entrate di Londra, le società dovranno fare affidamento sulla magnanimità delle autorità europee. Ancora non si sa, infatti, se l’UE concederà la cosiddetta “equivalenza” al Regno Unito.
Vista la grande incertezza, le imprese stanno cercando di rafforzare la loro presenza nell’Europa continentale. “Mentre ci avviciniamo rapidamente alla fine del periodo di transizione, diverse aziende sono alle fase finali della loro pianificazione pre Brexit, incluse le delocalizzazioni“, ha riferito a Bloomberg Omar Ali, partner di EY per la gestione dei servizi finanziari del Regno Unito.
“Tutto ciò nonostante la pandemia e le conseguenti restrizioni alla circolazione delle persone”. Molte aziende preferiscono mantenere un approccio prudente, secondo Ali. Sono ancora in modalità “wait and see” ma presto potrebbe esserci una raffica di ulteriori traslochi. JP Morgan Chase ha già pensato a spostare sia le attività sia il personale nelle ultime settimane, mentre Goldman Sachs ha pianificato il trasferimento di altre 100 persone in Europa.