A pesare “la crisi economica e l’adozione di politiche che hanno determinato un aumento della pressione fiscale, fattori che hanno fortemente limitato le disponibilità delle famiglie”.
Per la casa, le bollette, la salute, le assicurazioni se ne va il 42% delle spese sostenute dalle famiglie: si tratta delle cosiddette spese ‘obbligate’ che, solo 20 anni fa, erano pari al 36,6%. A calcolarlo è Confcommercio, che evidenzia il grande balzo delle spese sostenute per la casa (+110%), arrivata ad assorbire un quarto dei consumi. A pesare sono anche “la crisi economica e l’adozione di politiche che hanno determinato un aumento della pressione fiscale, fattori che hanno fortemente limitato le disponibilità delle famiglie”.
Confcommercio distingue tre grandi aree nelle quali si suddividono i consumi delle famiglie: spese obbligate, beni commercializzabili (voce che comprende la spesa alimentare) e servizi commercializzabili. Rispetto al 1995 sono aumentate la prima e la terza (dal 17,4% al 21,4%), mentre si è contratta la seconda (dal 46% al 36,7%). Tra le spese obbligate rientrano le spese per la casa (cioè l’affitto reale, quello virtuale per i proprietari e la manutenzione), acqua e altri servizi per l’abitazione, energia elettrica, gas ed altri combustibili, sanità, spese d’esercizio dei mezzi di trasporto, combustibili e lubrificanti, assicurazioni, protezione sociale, servizi finanziari.
Negli ultimi venti anni, quindi, la spesa delle famiglie si è progressivamente spostata, anche a causa dell’aumento dei prezzi, verso questo genere di consumi e verso i servizi il cui consumo rappresenta una libera scelta, fenomeno ascrivibile alla tendenza alla terziarizzazione. Queste dinamiche, osserva Confcommercio, hanno compresso l’area delle spese destinate ai beni cosiddetti commercializzabili in cui rientrano molte funzioni di consumo considerate mature (alimentari, abbigliamento, mobili ecc.).
Se lo spostamento di quote di spesa da prodotti a servizi è un fenomeno fisiologico nelle economie avanzate, anche per l’emergere di nuovi bisogni “immateriali”, meno lo è l’avanzamento di quote di consumi che non rappresentano una libera scelta dei cittadini legata al soddisfacimento dei bisogni individuali e/o familiari.
La situazione, già evidente negli anni ’90 e nella prima parte dello scorso decennio, si è acuita con l’emergere della crisi economica e con l’adozione di politiche che hanno determinato un aumento della pressione fiscale, fattori che hanno fortemente limitato le disponibilità delle famiglie (il reddito disponibile reale è sceso, complessivamente, tra il 2007 e il 2014 del 10,6% e del 14,1% in termini pro capite). Con l’attenuarsi della fase recessiva la tendenza alla progressiva espansione della quota di spesa destinata ai consumi obbligati da parte delle famiglie sembra essersi arrestata segnalando, nelle stime dell’associazione, una contenuta diminuzione tra il 2013 ed il 2015.
Per quanto riguarda la parte relativa alle spese che attengono alle scelte individuali e familiari la decisa riduzione della quota destinata ai beni, circa 10 punti percentuali in meno rispetto al 1995, è sintesi di andamenti molto diversificati. L’affermarsi di nuove forme di comunicazione ha sostenuto la spinta per i prodotti della telefonia, dinamica che, in un contesto di riduzione delle risorse a disposizione delle famiglie, ha determinato un’ulteriore compressione di consumi di prodotti più tradizionali. Tra questi, particolarmente penalizzate sono state le spese relative all’alimentazione domestica (inclusiva delle bevande alcoliche e non) la cui incidenza è scesa di quasi tre punti percentuali.