di Franco Cardini
L’appello di papa Francesco per una cessazione delle ostilità in Ucraina, già lanciato più volte e ora raccolto in un libro di prossima pubblicazione, non cade nel vuoto. Così come per l’enciclica Laudato sii, che parlava di ecologia e del rapporto fra l’umanità e la natura, incontra le preoccupazioni di una larga, maggioritaria parte della società rispetto a quanto sta avvenendo in questi giorni.
La necessità di una tregua e di un ritorno al tavolo dei negoziati, immediatamente abbandonati poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, oggi si impone come necessario, e difatti insieme all’appello del pontefice ne giungono altri, come quello promosso da alcuni intellettuali (Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni e io stesso) ma sottoscritto già da molti riuniti sotto l’etichetta “fermare la guerra” (fermarelaguerra@avvenire.it).
>>> Un altro appello da firmare è Fuori l’Italia dalla Guerra
Al suo interno vi sono richieste chiare: la neutralità per l’Ucraina, che possa entrare nell’Unione Europea, ma non nella Nato, secondo l’impegno verbale degli Stati Uniti alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del Muro di Berlino e lo scioglimento del Patto di Varsavia; il riconoscimento della Crimea russa, così com’è sempre stata; l’autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina con il ritorno ai Trattati di Minsk, a suo tempo garantiti da inglesi e francesi, ma di fatto mai rispettati; la definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass e delle sue ricchezze minerarie, per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni è storicamente presente e che dev’essere garantito; una fine dell’impegno militare russo nella regione a fronte del ritiro delle sanzioni europee e internazionali; un piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.
Si tratta di richieste perfettamente razionali che mirano a evitare il rischio, mai così reale come oggi, di una catastrofe nucleare. Certo, per farlo bisogna riconoscere anche alcune ragioni alla Russia, e non fermarsi alla dicotomia aggressore-aggredito. Dal punto di vista russo, la guerra non è cominciata nel febbraio del 2022, ma nel 2014 e si è sviluppata con le vessazioni contro i russofoni d’Ucraina e con il mancato rispetto degli accordi di Minsk. È un casus belli sufficiente? Lo è di più o di meno delle armi di distruzioni di massa che in Iraq non c’erano, ma che hanno condotto all’invasione a guida anglo-americana del Paese? Sarebbe poi opportuno mettere da parte i discorsi atti a leggere il conflitto come scontro fra due blocchi, democrazie da una parte, totalitarismi o autocrazie dall’altra. Questo modo manicheo di leggere i conflitti in atto altro non è che la stanca ripetizione del clash of civilization già ripetuto a proposito di Occidente e Islam, e adesso riproposto per leggere situazioni ben più complesse.
È evidente ormai la politica dei Brics (Brasile, India, Russia, Cina, Sudafrica) sta acquistando nel mondo molti consensi; l’idea di una Russia condannata da tutti e ridotta a paria si scontra con la realtà dei tanti Paesi che sono stanchi del gioco neocoloniale occidentale e che leggono l’ipocrisia di quanti chiedono la fine della guerra in Ucraina, ma hanno seminato e seminano morte e distruzione altrove. Un discorso serio sulla pace avrebbe bisogno di uscire da facili moralismi e, in primo luogo, comprendere che l’Europa, non tanto quella degli Stati, quanto soprattutto quella dei popoli, è fra le vittime di questo conflitto, che ci porta verso una catastrofe economica, verso il rischio che non soltanto l’Ucraina avrà bisogno di un piano internazionale di ricostruzione: ne avremo presto bisogno anche noi.
È evidente che sono gli Stati Uniti ad avere un vantaggio in questo conflitto: di recente, sia pure sottotono, i francesi e i tedeschi si sono lamentati del fatto che il gas americano costa quattro volte ciò che gli americani lo pagano in patria. A fronte di tutto questo, la pace, o almeno una tregua e un negoziato, non sono soltanto una necessità morale, ma anche la condizione per poter uscire dall’impasse gravissima nella quale siamo finiti. Una riduzione delle forniture di armi, aumentando peraltro gli aiuti umanitari, è il primo passo per spingere l’Ucraina a trattare, mentre inebriarla con miliardi di forniture in armi, lasciando che i suoi uomini vadano a morire (e le perdite sono altissime anche se non se ne parla), è folle per loro quanto per noi stessi. Il pontefice ha una caratura morale importante, ma perché le sue parole non si perdano nel vento, bisogna che la società civile, nella quale il malcontento è forte, ma che sembra aver perso la capacità di esprimerlo, le faccia sue e le manifesti dinanzi a una classe politica accecata da altri interessi.
Questo articolo è stato orginariamente pubblicato da La Stampa, che ringraziamo.
peter pan
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Anch’io non conosco questo Sig. Cardini, però dico solo che io lo manderei subito in Ucraina e vedere cosa hanno combinato i russi prima di sputare opinioni. Quando si siederanno al tavolo delle trattative, sarà interessante affrontare alcuni problemini di scarso conto, del tipo: chi paga tutti i danni di guerra? Chi rimborserà a famiglie distrutte la loro povera ma onesta vita familiare? Chi verrà mandato nei tribunali internazionali per crimini di guerra? Sul piatto delle trattative non ci saranno solo i “diritti” della Russia ma anche le loro colpe macroscopiche e, in ultima analisi, il loro insano desiderio di appropriarsi delle ricchezze dell’Ucraina che, sembrerebbe, siano al 60% almeno collocate nel Donbass.
Io sono una persona umile, senza alcuna preparazione “bellica e strategica” (pensa che non ho nemmeno fatto il militare) e pertanto i miei sentimenti sono più colpiti dalle cose orrende che abbiamo visto in televisione anziché la negazione o meno di trattati ecc. ecc.
Te saludi, va a lavurà!
belfagor
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