La spesa pubblica in Italia rappresenta sempre più un problema a causa del basso tasso di crescita dell’economia, che le stime indicano sarà inferiore all’1% quest’anno (per il Fmi 0,7%), e a causa dell’enorme peso rappresentato dal debito pubblico, pari al 144% del PIL, secondo quanto scrive The Economist in un articolo intitolato Rising bond yields are exposing fiscal fantasy in Europe. Se un paese ha un deficit troppo ampio, si trova ad affrontare un tasso di interesse troppo alto, o il debito diventerà ingestibile. Ora il pericolo è che si verifichino entrambe le situazioni.
In questo scenario il rendimento dei titoli di stato italiani a 10 anni (i Btp) ha raggiunto quasi il 5%, il più alto degli ultimi 11 anni, e lo spread con il bund tedesco intorno a quota 200 è il più alto nella Ue dalla fine della crisi del debito sovrano della zona euro nel 2012. E questa è una preoccupazione, “perché l’Italia è uno degli stati membri più indebitati del blocco e il suo governo non si è svegliato”, fino ad ora “i suoi piani di spesa appaiono insostenibili”.
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Il deficit di bilancio dell’Italia potrebbe essere pari al 5,3% del Pil quest’anno e al 4,3% l’anno prossimo. Di conseguenza, deficit così gravi e tassi di interesse elevati potrebbero costituire una combinazione tossica per rendere il debito ingestibile in qualsiasi momento. La riconciliazione con la realtà, da parte del governo Meloni, è quasi inevitabile. L’unica domanda è il livello di dramma che ci vorrà perché ciò avvenga.
Mentre si fa strada il timore che i tassi di interesse possano rimanere più alti più a lungo, i rendimenti dei titoli di stato in tutto il mondo occidentale stanno aumentando. I rendimenti dei titoli del Tesoro americani a dieci anni, pari a circa il 4,7%, sono ai massimi dal 2007. La Banca del Giappone ha intensificato gli acquisti di obbligazioni per mantenere il tetto massimo sui rendimenti. In Europa il 4 ottobre il rendimento dei Bund tedeschi a dieci anni ha superato il 3% per la prima volta in più di un decennio.
Negli ultimi 15 mesi l’impennata dell’inflazione nella zona euro è stata contrastata da un’azione drammatica da parte della Banca Centrale Europea (Bce), che ha alzato i tassi di 4,5 punti percentuali. Guardando la spesa pubblica, però, non si direbbe che è in corso una battaglia contro l’inflazione. I budget sono aumentati in modo esponenziale in diversi grandi paesi europei mentre i governi cercavano di aiutare i propri cittadini a riprendersi dal lockdown e dalla crisi energetica. Ma anche se questi shock si sono attenuati, i deficit sono rimasti ampi. La Francia prevede un deficit di bilancio pari a quasi il 5% del Pil quest’anno e al 4,4% il prossimo. L’Italia prevede di avere un deficit del 5,3% quest’anno e del 4,3% nel 2024. Il deficit arriva anche se Roma è sulla buona strada per ricevere quasi 70 miliardi di euro, equivalenti a un altro 2% del Pil annuale, dall’Ue, i soldi del Pnrr, il fondo comune per la ripresa dalla pandemia.
Sul mercato finanziario gli investitori sono ben in sintonia con questi rischi, motivo per cui ottengono un premio per i titoli del Tesoro dell’Italia, rispetto a quelli della Germania. Quando il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, ha rivelato i suoi piani di bilancio il 27 settembre, il differenziale di rendimento è immediatamente aumentato. A meno che non limiti la spesa, la Meloni sembra destinata a entrare in rotta di collisione con la Commissione europea, la Bce e i mercati finanziari.
“In un mondo ideale, l’Italia seguirebbe le regole fiscali dell’UE, progettate per garantire che le sue finanze pubbliche rimangano fuori pericolo. Ahimè, sarà difficile riuscirci”, scrive il settimanale britannico. Tanto per cominciare, le regole non sono realistiche. Aspettarsi che l’Italia raggiunga l’obiettivo del rapporto debito/Pil del 60% in un determinato numero di anni, come fanno a Bruxelles, “è ridicolo”. Anche se la Commissione europea spera di rivedere tali regole, i paesi aggressivi (detti anche frugali, o falchi) del nord sono restii a cedere molto terreno. Il risultato è lo stallo.
Anche se fossero in vigore regolamenti migliori, farli rispettare sarebbe un’altra difficoltà. L’esperienza passata suggerisce che i governi nazionali raramente scelgono di seguire le regole stabilite a Bruxelles e di tagliare la spesa interna, perché ciò rischia di infastidire gli elettori.
Ciò lascia l’Italia in balìa dei mercati e della Bce. Il ruolo della banca centrale è molto più chiaro di quanto lo fosse durante il pesante crollo del debito della zona euro. Se gli spread sul debito pubblico dovessero andare fuori controllo, la Bce si è impegnata ad acquistare quel debito. Nel luglio dello scorso anno la banca aveva anche affermato che avrebbe cercato di favorire la regolare trasmissione della politica monetaria, acquistando il debito di un paese se gli spread aumentassero più di quanto ritenuto giustificato dai fondamentali economici.
Meloni-dramma
Tuttavia, nulla di tutto ciò significa che la Bce sosterrà una politica fiscale sconsiderata. I suoi programmi entrano in vigore solo se il paese in questione accetta la disciplina di bilancio. L’attenzione della banca centrale è rivolta agli aumenti ingiustificati degli spread, piuttosto che al livello del tasso di interesse stesso – ed è questo che rappresenta un problema per l’Italia. Inoltre, essendo stata un’entusiasta acquirente di titoli di Stato durante la pandemia, la Bce deciderà presto come ridurre il proprio portafoglio, il che potrebbe ridurre ulteriormente la domanda di titoli italiani.
La scena è pronta per ulteriori nervosismi sul mercato. Il governo Meloni potrebbe iniziare a ridurre la spesa prima di allora. Più probabilmente, però, aspetterà che gli investitori nervosi e l’aumento dei costi di finanziamento le forzino la mano. Fare i conti con la realtà è quasi certo. L’unica domanda è quanto dramma sia necessario prima.
Fonte: The Economist