di Elena Basile
È divenuto impossibile ragionare. Non gli estremisti politici, ma simpatici giornalisti, intellettuali moderati, progressisti benpensanti si ostinano ad alimentare in ogni contesto il sonno della ragione. Non si rendono forse conto che stanno preparando il terreno a nuove catastrofi. Sono capaci di analizzare le derive nazionaliste, militariste e autoritarie del secolo scorso e subito dopo, quasi fossero robot i cui comandi sono attivati altrove, si impegnano in discorsi ideologici e oscurantisti in grado di rendere fertile il terreno per il peggior fascismo.
L’atroce violenza eseguita da Hamas ha bisogno di una risposta efficace. Per rispetto delle vittime bisognerebbe tornare alla Politica, a una strategia coerente con obiettivi realistici di breve e di lungo periodo. Lo scenario è complicato da innumerevoli attori e dall’inerzia con la quale si è lasciata incancrenire la situazione a Gaza e in Cisgiordania. Come Gideon Levy scrive su Haaretz, la mostruosa e barbarica violenza di Hamas è figlia delle atrocità e dei crimini contro l’umanità dello Stato di Israele a Gaza, prigione a cielo aperto, denunciate dalle Nazioni Unite e dalle stesse organizzazioni umanitarie israeliane, del sistema di apartheid creato in Cisgiordania.
Hamas, che ha nel suo statuto l’eliminazione dello Stato di Israele, è stato dall’inizio un interlocutore difficile, reso inesistente dalla follia normativa dell’Occidente che lo ha considerato una organizzazione terroristica e non eletta a Gaza. I ragazzi assoldati da Hamas non sono bestie e mostri, ma come spiega Domenico Quirico su La Stampa, il prodotto di una vita nella miseria, nella quotidiana assuefazione alle ingiustizie e violenze. Gli accordi di Abramo, a cui le migliori menti diplomatiche fino all’altroieri si dedicavano, sono una composizione di interessi e di collaborazioni economiche e militari per conseguire una normalizzazione dei rapporti in funzione anti Teheran. Sono stati recepiti a ragione come l’affossamento definitivo della causa del popolo palestinese.
I condizionamenti delle lobby ebraiche sull’elezione del presidente Usa non hanno permesso una strategia occidentale in grado di contribuire alla pace. L’Unione europea, la cui struttura istituzionale ingessa ogni decisione, ha tradito i propri interessi nel Mediterraneo con anni di inerzia rispetto al conflitto di pace in Medio Oriente. La vecchia Europa, i Paesi fondatori, ma anche la Svezia di tradizione socialdemocratica e sensibile alla causa palestinese, si sono appiattiti sul sodalizio con Israele senza se e senza ma, facendo inorridire con i doppi standard il resto del mondo. L’atlantismo muscolare ha posto fine alla cooperazione con Russia e Cina, che avrebbe potuto essere produttiva di azioni per la pace in Medioriente dell’Onu e del quartetto.
L’Iran, attraverso gli Hezbollah e in collaborazione con Hamas, ha portato avanti una politica provocatoria intesa a dare fastidio alle monarchie del Golfo e a presentarsi come unico rappresentante della causa palestinese. La Russia ha eccellenti rapporti con Israele, Arabia Saudita e Iran. Mantenendo una posizione più pacata e neutrale, ha qualcosa da dire sulla questione non avendo perso la credibilità. I veri possibili mediatori sono oggi la Turchia più dell’Egitto e il Qatar, tradizionali amici dei fratelli musulmani. Questo molto sinteticamente è il quadro.
Cosa auspicare a breve? Che i Paesi europei maggiormente illuminati prendano le distanze dalle dichiarazioni bellicistiche di Stoltenberg e Von der Leyen. Bisognerebbe esercitare una pressione morale su Tel Aviv affinché non si lasci andare a un uso incontrollato della forza. La rabbia è comprensibile, ma va mitigata per salvare Israele da se stesso. Bisogna far aprire il valico dell’Egitto per i mezzi di sostentamento alla popolazione di Gaza. Creare corridoi umanitari. Evitare sfollamenti forzati della popolazione, che darebbero mano libera alla repressione senza rispetto del diritto umanitario.
Operare mediazioni che abbiano gli ostaggi e la mitigazione della violenza quali strumenti di negoziato. Bisognerebbe apprendere la lezione di una crisi che colpisce Israele al cuore per ritornare alla politica. Si difendano i diritti dei palestinesi in Cisgiordania, fermando gli insediamenti, anche ventilando sanzioni alle esportazioni. L’unica soluzione possibile resta il riconoscimento dello Stato di Palestina accanto a quello di Israele, il ritiro dei coloni, la terra per la pace. Concessioni sostanziali alle richieste del popolo palestinese farebbero diminuire i consensi di Hamas. Per costruire la pace bisogna dialogare con i nemici, la Russia come l’Iran. Ricorrere alla sola forza militare non aumenterà la sicurezza, ma ingrandirà il problema del terrorismo.
Fonte: Il Fatto Quotidiano